La chiamano "obiezione", ma si tratta di violenza

Wed, 12/03/2014 - 17:46
di
Claudia De Rosa e Alessia Manzi*

Numerosi sono stati i cortei che nella giornata di sabato 8 marzo hanno visto migliaia di donne, uomini, transgender invadere le piazze di ogni città italiana, spagnola e turca per rivendicare i propri diritti riproduttivi e di autodeterminazione. Sotto l'hastag #Iodecido, che ci ha unite in una manifestazione tanto allegra quanto determinata, avevamo chiaro che si trattasse solo di un trampolino di lancio per una lunga battaglia che ci attende. Quella agli obiettori di coscienza, per avere il diritto di scegliere sul proprio corpo.

Alle nostre voci levatesi dalle strade, si è aggiunta la presa di posizione di qualche giorno fa della Corte Europea.

"A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza".

In Italia è sempre più alto il numero di medici e di personale medico obiettore, che negano la libertà di scelta di una donna negando la possibilità di praticare l'interruzione volontaria di gravidanza. Ci sono regioni come il Lazio, dove il numero di medici non praticanti l'aborto per ragioni etiche oscilla tra l'85 e il 90%: di conseguenza risulta impossibile sottoporsi a un intervento che permetta di non portare a termine una gravidanza. Questo sia per mancanza di personale, sia perchè ci sono fasce orarie in cui si trovano solo obiettori.

Per noi questo è controllo sui corpi, è rendere impraticabile la libertà di scelta.

Una storia terribile, accaduta a Roma, sta facendo il giro sulle principali testate giornalistiche.
Ed è roba dei nostri giorni, anche se pare appartenga al medioevo.
Valentina è una ragazza di 28 anni rimasta incinta di una bambina, ma al quinto mese scoprirà che il feto è affetto dalla grave malattia genetica di cui è portatrice. Una volta nata, la piccola non avrebbe avuto la possibilità di svolgere un'esistenza serena, sana. Dopo una gravidanza extra uterina terminata con aborto spontaneo, la giovane donna si ritrova insieme al suo compagno a decidere di abortire.
E qui ha inizio un vero e proprio calvario, cominciato scoprendo che è paziente di una ginecologa obiettrice, la quale si rifiuta di farla ricoverare. Dopo vari tentativi invece, incontra l'unica ginecologa non obiettrice dell'ospedale Sandro Pertini di Roma, che le rilascia un foglio per il ricovero.

Ricoverata in ospedale il 27 ottobre del 2010, le viene somministrata una terapia a base di candelette. Un travaglio che dura per ben 15 ore, tra dolori lancinanti e conati di vomito: si tratta di un vero e proprio parto, poiché la ragazza sta abortendo al quinto mese di gestazione. Nessuno soccorre Valentina, accudita solo dal marito Maurizio che non sa cosa fare e chiede aiuto agli infermieri che però non le prestano alcun soccorso. In quelle ore tremende è costretta a stare accanto a neo mamme, ad ascoltare i vagiti dei neonati e le accuse di assassinio da parte degli anti abortisti entrati nella stanza in cui si trovava, armati di crocifisso e Vangelo a sconfiggere la grave “colpa” di aver solo saputo scegliere cosa fosse meglio per una bambina che non avrebbe goduto di una condizione di salute sana.
Una sofferenza non solo fisica dunque, ma anche psicologica.
Le ore scorrono e c'è il cambio turno: sono tutti obiettori, e la ragazza partorisce nel bagno del nosocomio: sola, senza assistenza medica.

Intanto però, Valentina vorrebbe avere un bambino o una bambina ma per la legge 40/2004 in materia di procreazione assistita non può ricorrere alla diagnosi di impianto, che invece permetterebbe di conoscere in anticipo le condizioni dell'embrione; ma l'Unità fisiopatologia della riproduzione e fecondazione assistita all’Asl Roma A, Centro per la salute della donna S. Anna, non vogliono sottoporla al procedimento perchè non può accedere alla fecondazione assistita visto che può mettere al mondo dei figli.

Insieme all'Associazione Luca Coscioni la coppia presenta un ricorso al Tribunale di Roma che per ben due volte, a distanza di pochi mesi, valuta la norma incostituzionale. Si spera che la fecondazione assistita possa essere riconosciuta anche a chi è portatore di malattie genetiche.

Non ci sono altre parole per poter descrivere il dramma vissuto da Valentina, se non una parola: violenza, altro che obiezione!!!

Violenza sui nostri corpi, restrizione alla nostra libertà di scegliere se come e quando essere madre.
Violenza compiuta da chi, in nome di un credo che non tutti e tutte professano, pensano di essere portatori di verità assolute; costringendo le donne a vagare ore da un quartiere ad un altro, o addirittura da una parte all'altra della Regione per una pillola del giorno dopo. Perchè? Tra gli obiettori tanti sono i farmacisti che si rifiutano di vendere un farmaco di emergenza, non abortivo.
Sempre in nome della loro morale, mai della coscienza e della libertà di tutte.

La massiccia presa di posizione degli obiettori di coscienza all'interno delle nostre strutture ospedaliere pubbliche sta permettendo solo il pericoloso ritorno all'aborto clandestino o alla cosiddetta “mammana”: solo nel 2012 si sono registrati 106 mila aborti illegali, che la legge 194 voleva invece combattere. Aborti compiuti in clandestinità che espongono le donne a gravi rischi per la propria salute, arrivando anche ad ucciderle o a renderle sterili. Aborti illeciti che finanziano il mercato del contrabbando di quei medicinali, per esempio contro l'ulcera, venduti e poi somministrati senza alcuna ricetta medica. E senza che siano il rimedio indicato.
Per non parlare di interventi privi di qualsiasi aspetto medico.

Per questo crediamo nella necessità di costruire un percorso largo e condiviso, aperto a tutte le realtà sociali che intederanno parteciparvi e che già vi hanno preso parte costruendo il percorso che ci ha portate alla giornata dell’8. Ma vogliamo andare oltre, vogliamo costruire un percorso di lotta, che ci porti a vincere e che cancelli la presenza degli obiettori di coscienza, dei movimenti per la vita all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. La storia di Valentina, purtroppo è soltanto una delle tragedie che si consumano ogni giorno nel nostro paese in nome di una coscienza cattolica inaccetabile. Il diritto di scegliere sul proprio corpo e il diritto alla salute devono essere garantiti a tutti, ai cittadini e non. Per questo intendiamo lottare e per questo intendiamo vincere!

*di Degender Communia