Cosa insegnano i Paesi Bassi al movimento LGBIT (parte I): dalla conquista dei diritti all'omonazionalismo

Tue, 25/02/2014 - 13:57
di
Mauro Muscio

La politica interna dei Paesi Bassi è stata, fin dal secondo dopo guerra, giudicata positivamente ed erta a modello dalle opinioni pubbliche europee. In particolare, un welfare state solido da una parte e un’economia fondata sull’imprenditoria privata hanno conquistato la simpatia dei partiti liberali d’Europa dagli anni Cinquanta, mentre dagli anni Ottanta e Novanta le politiche antiproibizioniste e di apertura per i diritti civili hanno concentrato sul Paese l’attenzione della società progressista, laica e libertaria. Tra queste ultime trovano spazio il raggiungimento della parità completa dei diritti per gay e lesbiche e normative severe nella lotta contro l’omofobia e la transfobia, innovazioni che aprirono quel precedente che rafforzò la determinazione delle organizzazioni e delle associazioni lgbit europee.
Dalla definizione di “Capitale gay europea”, con la quale alcuni hanno voluto ribattezzare il paese, ci siamo interrogati/e sulla situazione del movimento lgbtiq dei Paesi Bassi, cercando di analizzarne la storia, le battaglie attuali e le nuove sfide con cui settori radicali queer e anticapitalisti tentano oggi di misurarsi, ponendo un’alternativa alla commercializzazione delle identità e dei corpi.

Abbiamo per questo voluto intervistare Peter Drucker(1), attivista gay, militante nella sinistra rivoluzionaria dalla fine degli anni Settanta, residente in Olanda da ventuno anni e autore di “Worped: Gay Normality and Queer Anti-Capitalism”, la cui pubblicazione è prevista per la fine del 2014. Di seguito riportiamo il risultato del nostro incontro, avvenuto a Rotterdam, il 26 gennaio. Abbiamo tralasciato le considerazioni circa la situazione delle soggettività trans* e intersex, che sono state invece oggetto principale del secondo incontro, avvenuto con vreer verbeke (2) (minuscolo per sua volontà), di cui pubblicheremo il testo in un prossimo articolo.
Quali fattori culturali e politici hanno determinato una tale apertura nei confronti dei diritti per gay e lesbiche? Come si è potuta arrivare a tale tolleranza nonostante le resistenze delle forti comunità cristiano-protestanti?

Peter Drucker.Per comprendere la società neerlandese attuale, e quindi la tolleranza che ha espresso per le questioni dei diritti di gay e lesbiche, è necessario ripercorrere, almeno sommariamente, alcuni momenti storici del paese. Determinante per i Paesi Bassi furono l’occupazione prima spagnola, conclusa con la pace di Vestfalia nel 1648, e soprattutto la dominazione francese dal 1795. Da entrambe le occupazioni le comunità protestanti rafforzarono la loro identità, oggetto di repressione prima, nel periodo delle guerre di religione, dalla Spagna, e dopo minacciate da dalla visione illuminista francese. In Particolare l’occupazione Napoleonica introdusse due novità determinanti per l’avvenire dei Paesi Bassi. Il primo fu il Codice Napoleonico, tollerante nei confronti dell’omosessualità, e il secondo fu il centralismo di Stato. Dopo il Congresso di Vienna e l’indipendenza dei Paesi Bassi, il Codice Napoleonico non venne abrogato, ma mantenuto in vigore con alcune modifiche; di fatto però il nuovo Stato adottò un codice penale non repressivo nei confronti della popolazione omosessuale. Il centralismo di Stato, invece, mise a dura prova la classe dirigente, che dovette misurarsi nel ristabilire istituzioni forti e includenti, capaci di equilibrare i diversi elementi dei settori della popolazione: luteranesimo, calvinismo, cattolicesimo, laicismo, e i valori della neo-borghesia mercantile e industriale. Questa necessità portò al fenomeno della depolarizzazione, che da allora fino ad oggi rimane centrale nella politica interna. Le risoluzione politiche nacquero, e nascono, sempre da un compromesso tra tutte le posizioni, tale che il risultato finale riflettesse, e rifletta, una posizione politica moderata rispetto alla posizione iniziale, ma una posizione che mantenga comunque unite tutte le parti. Nei confronti dell’omosessualità le comunità religiose non furono mai troppo tolleranti, ma di fatto non ci fu mai una politica repressiva da parte dello Stato. L’eredità laica e liberare francese venne consolidata nella Costituzione del 1848, e fu ripetutamente oggetto di attacchi da parte delle aree religiose, e non solo. Nel 1911 una coalizione di cattolici e protestanti propose una modifica del Codice Penale per criminalizzare l’omosessualità, con l’appoggio di diversi settori e del Partito Antirivoluzionario (3), rappresentante della comunità calvinista. L’esito della proposta fu, ovviamente, il risultato di un compromesso tra le parti liberali, socialdemocratiche e confessionali: fu introdotto infatti nel Codice Penale l’articolo 248 bis, il quale manteneva i 16 anni come età minima per i rapporti tra persone di sesso opposto, e alzava a 21 anni l’età minima per rapporti tra persone dello stesso sesso. Questo articolo rimase in vigore fino al 1973 e fu oggetto della prime battaglie del movimento di liberazione omosessuale. Successivamente, tutte le proposte di legge per l’estensione dei diritti per la comunità lgbt furono risolte con lo stesso approccio di compromesso in nome di un’unità statale. Tolleranza di stato che non va confusa però con tolleranza sociale e politica, perché forme di discriminazione omofoba hanno sempre attraversato trasversalmente i settori cristiani, liberali e socialdemocratici.

Concentriamoci sulla nascita del movimento di liberazione omosessuale. L’articolo 248bis rimase in vigore fino agli anni Settanta, il che significa che dopo l’occupazione nazista del Paese si decise di reintegralo nel Codice Penale?

Peter Drucker. Esattamente. L’occupazione nazista impose la modifica in parte del Diritto Neerlandese, la chiusura delle prime associazioni omofile e la deportazione della comunità omosessuale. Dopo la Liberazione però il 248bis venne, appunto, reintegrato. La liberazione dall’occupazione nazista determinò alcune caratteristiche di quello che sarebbe diventato il movimento lgbt. Alla Resistenza contro i nazisti parteciparono attivamente numerosi omosessuali, i quali, dopo il 1945 fondarono le prime associazioni omosessuali o entrarono in contatto con i partiti della sinistra progressista o rivoluzionaria. Questo legame diretto con la Resistenza antinazista da una parte fece ereditare al movimento lgbt una forte identità antifascista, e quindi antirazzista, e dall’altra pose nel dibattito politico della sinistra la questione omosessuale prima dei movimenti di liberazione degli anni Settanta. Centrale fin dal dopo guerra fu il ruolo del COC (4), un’organizzazione che se inizialmente si era caratterizzata nella creazione di spazi ludici e culturali “protetti” per omosessuali e lesbiche, dalle metà degli anni Sessanta si radicalizzò politicamente e ingrandì le proprie fila, tanto da riuscire a fare una forte pressione politica che si concluse con l’abrogazione del 248 bis. Oltre al COC si formarono successivamente altre organizzazioni e gruppi lgbt, ma questo mantenne sostanzialmente un ruolo centrale, attraendo al suo interno prima femministe e lesbiche, e successivamente, negli anni Ottanta, attivisti legati alla questione dell’AIDS. I movimenti di liberazione sessuale e delle donne degli anni Settanta diedero un contributo enorme, che fu raccolto dal COC o da altre organizzazioni e utilizzato per rafforzare le proprie battaglie. Il COC oggi è diverso, si è legato molto con le Istituzioni, ma lavora sul territorio sia in campagne antirazziste sia nell’aiuto concreto a migranti lgbt.

La strada dei diritti civili per gay e lesbiche fu inaugurata nel 1993, con la “Legge sugli uguali diritti” contro le discriminazioni per l’orientamento sessuale e l’identità di genere, proseguì nel 1998 con legge sulla convivenza domestica (5) - le unioni civili-, e si concluse nel gennaio 2001 con l’entrata in vigore del matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Una rapida accelerazione di vittorie, quindi, frutto di un forte movimento o di coalizione con i partiti politici istituzionali?
Peter Drucker. Sicuramente un’accelerazione molto rapida, frutto di lotte e di legami con alcuni esponenti del mondo politico istituzionale. Il COC e le diverse associazioni riuscirono a fare una forte battaglia per dare visibilità alla popolazione lgbt e alla sue rivendicazioni, e le varie coalizioni al governo trovarono i giusti compromessi in modo da poter accontentare tutti. Senza dilungarmi troppo mi soffermo sulla legge che introdusse il matrimonio egualitario tra persone delle stesso sesso. Il COC fu influenzato soprattutto dalle correnti femministe al suo interno, critiche nei confronti di questa istituzione, e fu piuttosto il quotidiano Gay Krant a lanciare una forte campagna politica. La proposta di legge fu discussa e approvata nel dicembre del 2000, ed entrò in vigore nel gennaio dell’anno successivo. Il 2000 fu l’anno in cui il governo laburista, con una maggioranza che escludeva per la prima volta il CDA (Cristiani Democratici) non solo introdusse i primi enormi tagli al welfare state ma discusse e approvò, proprio a dicembre, una serie di nuove normative restrittive contro l’immigrazione, che entrarono in vigore proprio a gennaio 2001. Gli occhi dell’opinione pubblica interna ed europea si concentrarono, ovviamente, su quella che rappresentava la prima legge europea per i matrimoni omosessuali, ma contemporaneamente si inaugurò un politica ultraliberale e antimigratoria tra le più feroci d’Europa. Furono concessi nuovi diritti ai gay e alle lesbiche e ne furono tolti ai/alle migranti. Questo è l’altro volto dei Paesi Bassi. L’acquisizione dei diritti fu importante per tutt* noi, non lo nego, ma furono utilizzati per distogliere l’attenzione su altre normative. Ma c’è dell’altro. La legge sui matrimoni omosessuali prevedeva delle restrizioni sessiste per le adozioni, infatti le lesbiche dovevano dimostrare di vivere insieme da tre anni prima di poter diventare “legittimi genitori” dei figli delle partner, restrizioni che furono colmate nel 2005, da Balkenende, premier dei cristiano-democratici, lo stesso che introdusse gli esami obbligatori di lingua e cultura straniera a migranti extraeuropei e restrinse le possibilità di ricongiungimento famigliare e di richiesta di diritto d’asilo. Le parti cristiane, che dal 2002 tornarono alla coalizione di governo, non decisero di eliminare la legge, sia per ovvi problemi sociali, ma sia, soprattutto, per l’autonomia che lo Stato prevede per alcune comunità. Nella Bible Belt, per esempio, una striscia di terra dei Paesi Bassi, abitata prevalentemente da protestanti ultraconservatori, queste norme di fatto non hanno valore, tanto che nelle scuole è vietato agli insegnanti omosessuali o lesbiche di dichiarare apertamente il loro orientamento sessuale. Il movimento fece una buona battaglia e i governi, impegnati, tutti, in politiche ultraliberali e antimigratorie, trovarono giusti compromessi per integrare le rivendicazioni e utilizzarle come strumenti per raccogliere consenso.

La campagna elettorale di Geert Wilders (6), leader del PVV (Partito della Libertà) continua ad utilizzare la questione dei diritti lgbt, oramai consolidati, per attaccare l’immigrazione. Quale tipo di consenso raccoglie tra la popolazione?

Peter Drucker. Geert Wilders ha rilanciato quella crociata contro l’immigrazione, e in particolare contro l’Islam, che era stata inaugurata da Pim Fortuyn (7). La diffusione della paura, su cui ogni politica xenofoba si costruisce, ha voluto comprendere anche la comunità lgbt e le donne, minacciate, secondo il PVV, dai valori antiliberali e antidemocratici della cultura islamica. In questo modo la necessità di bloccare l’immigrazione con una politica ancora più severa viene dettata dalla difesa dei valori del Paese, non tanto religiosi, ma piuttosto civili. L’omofobia e la transfobia non sono mai scomparse nel paese, soprattutto nelle regioni a maggioranza protestante, e su queste paure, Wilders ha costruito la sua campagna Islamofoba. Raccoglie diversi consensi, di liberali, conservatori, cristiani cattolici e protestanti e, purtroppo, anche da parte di gay e lesbiche appartenenti alla classe media e salariata.

Nei tuoi studi ti sei spesso interessato alla questione dell’omonazionalismo, elemento questo che le democrazie capitalistiche stanno gradualmente sviluppando. In che modo lo ritroviamo nelle politiche neerlandesi?
Peter Drucker. L’omonazionalismo è un fenomeno non sempre facile da analizzare. È l’utilizzo che lo Stato compie per aumentare i proprio profitti e per sviluppare un certo tipo di consenso, appunto nazionalista, a partire dalla questione dei diritti per gay e lesbiche. Nei Paesi Bassi è certamente legato alla commercializzazione della scena lgbt locale. Gli anni Settanta e Ottanta avevano visto la creazioni di subculture gay e lesbiche, non del tutto visibili, ma che nascevano da una necessità di liberazione, autentica, e per questo non codificata né “normata”. La conquista dei diritti è stata accompagnata da una giusta rivendicazione di visibilità, che è stata però completamente risucchiata dal circuito economico: prima discoteche, darkroom, locali, dopo hotel, negozi, ristoranti per gay si sono gradualmente imposti sulla scena commerciale e turistica. Come la conquista dei diritti ebbe una rapida evoluzione, allo stesso modo anche il mondo commerciale evolse rapidamente. Per lo Stato significò quindi, non solo utilizzare i diritti della comunità lgbt per “ripulire” la propria immagine, ma anche per creare un nuovo settore economico e turistico da cui trarre profitto. Il movimento di liberazione sessuale degli anni Settanta fu sconfitto sotto questo punto di vista, perché la libertà a gay e lesbiche è stata concessa attraverso un processo di normalizzazione delle loro identità. Nel libro che verrà pubblicato a fine anno, ho tentato di analizzare le trasformazioni dell’eteronormatività e dei suoi codici, e l’avanzata di un nuovo elemento di controllo e subordinazione: l’omonormatività. Il Pride di Amsterdam è un esempio chiaro di come la lotta per i diritti per gay e lesbiche sia stata assorbita e integrata secondo gli schemi della commercializzazione e dell’omonormatività. Tra le imbarcazioni più visibili che sfilando durante la manifestazione del Pride ci sono quelle dei locali e delle discoteche, quelle dell’esercito e della polizia – le forze dell’ordine quel giorno sono tenute ad indossare divise blu e rosa – e quelle dei ministri e dei rappresentanti delle istituzioni. Per un certo periodo di tempo, fino a qualche anno fa, l’organizzazione ufficiale del Pride era nelle mani di associazioni di commercianti e industriali gay. Al Pride di Amsterdam partecipano tutt*, da tutte le parti dei Paesi Bassi e d’Europa. Sembra non partecipare più lo spirito di Stonewall. La norma, che prevede comportamenti, gusti, stili di vita per i soggetti omosessuali, si impone sia nell’immaginario degli/delle eterosessuali sia in quello di gay e lesbiche. L’omonazionalismo è parte di questa norma, è la sua dimensione prettamente legata al patriottismo, al razzismo e all’Islamofobia. Credo che l’omonormatività rappresenti oggi uno dei problemi politici maggiori per quello che resta del movimento lgbtiq radicale.

Come si configura oggi quello che hai definito appunto come il movimento lgbtiq radicale? Quali battaglie porta avanti e come si relaziona con l’ associazionismo lgbt mainstream e commerciale?
Esistono alcune piccole organizzazioni lgbti politicizzate che propongono un tipo di riflessione ampia, in particolare legata all’antirazzismo e alla cultura lgbt, ed esiste poi un circuito antagonista e queer, che attrae molto le nuove generazioni. Un attivismo queer in parte diverso da quello europeo mediterraneo, più simile invece a quello tedesco o inglese, legato quindi agli ambienti anarchici e soprattutto degli squatter. È un settore non molto diffuso nel territorio nazionale ma si concentra soprattutto nelle grandi città, come ad Amsterdam, dove cerca di portare una riflessione contro il pinkwashing e l’islamofobia dilagante. La relazione con le associazioni mainstream si concentra principalmente nella costruzione del Pink Saturday. Un corteo che avviene una settimana prima del Pride, legato a quello che è la Dyke March statunitense, organizzato da gruppi di diverse località che ogni anno scelgono una città diversa dove manifestare, che mantiene un buon livello di rivendicazioni politiche e che coinvolge anche sindacati e organizzazioni di lavoratori e lavoratrici. L’anno scorso è stato organizzato ad Utrecht e i gruppi queer avevano organizzato un evento culturale dal titolo “Queer Trade Unions”. Bisogna dividere da quelle che sono le teorizzazione del Queer e quelle che sono le pratiche politiche queer dei vari gruppi. Nei Paesi Bassi oggi, come del resto in altri paesi europei, costruire un movimento radicale queer, che riesca a collegarsi con altri settori della società, deve essere connesso con la ricostruzione di una nuova sinistra radicale in generale, altrimenti gli sforzi risulterebbero inutili.
Alan Sears, attivista queer e professore di Sociologia presso l’Università di Toronto, in un’intervista rilasciata a New Politics (8), ha voluto usare l’espressione di queering socialism per riassumere quella che, a suo parere, sia una visione politica necessaria oggi. Cosa ne pensi?

Peter Drucker. Per quella che è la mia storia, non posso dire di ritrovarmi completamente nel termine queer. L’espressione di Alan Sears comunque mi piace, sottolinea la necessità di queerizzare il marxismo e allo stesso tempo suggerisce l’analisi marxista per completare la visione queer. Non è sempre facile utilizzare il termine queer, dipende dai contesti, culturali e politici, dei paesi. Nei Paesi Bassi per esempio non è sempre utile utilizzarlo nei sindacati, perché non viene colto o, peggio ancora, viene male interpretato. Mi rendo conto che è un termine che affascina molto i/le giovani, e con questo credo che dobbiamo farci i conti. L’espressione queering socialism lega dialetticamente i due termini, e riesce a proporre quindi una strategia teorica e politica radicale adatta, forse, al nostro tempo.

(1) Peter Drucker, attivista e scrittore, è autore di alcuni testi sulle tematiche lgbt e sulle identità sessuali e di genere, tra cui “Different Rainbows” (2000) . Ha approfondito le sue ricerche negli ultimi anni sul tema del pinkwashing. È stato direttore dell’Istituto Internazione di Ricerca e Formazione di Amsterdam (IIRE), dove periodicamente tiene alcune lezioni sulle questioni delle identità sessuali. Alcuni testi di Peter Drucker possono essere scaricati dal sito dell’IIRE: www.iire.org

(2) vreer verbeke, olandese, attivista trans-queer, collabora con La Federazione svedese per i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e trans gender (RFSL) ed è tra le organizzatrici delle conferenze internazionali sulle questioni di orientamento sessuale e identità di genere (SOGI), l’ultima delle quali si è svolta la prima settimana di Febbraio presso l’Università di Oakland. Collabora con il GATE (Global Action for Trans* Equality), per il quale ha organizzato un convegno internazionale nel 2012 a Buenos Aires, con l’ HREA (Human Rights Education Associates) e con l’Università di Amsterdam. Per informazioni sui lavori, i progetti e i testi di vreer verbeke: www.vreerwerk.org
(3) Il Partito Antirivoluzionario fu un’organizzazione di cristiano-protestanti. Il nome rappresentava la loro ostilità agli elementi ereditati dall’occupazione napoleonica. Dopo il suo scioglimento nel 1980 alcuni esponenti, rifiutandosi di aderire al raggruppamento del CDA (Appello Cristiano Democratico) fondarono il Partito Costituzionale Riformato(SGP), che solo nel 2006 concesse l’iscrizione al partito alle donne.
(4) Questa organizzazione cambiò spesso il proprio nome negli anni, mantenendo però sempre inalterata la sigla. Oggi è una federazione di 24 associazioni, il cui nome è Federazione delle Associazioni Neerlandesi dell'Integrazione dell'Omosessualità COC Paesi Bassi. www.coc.nl

(5) Già dagli anni ’80 gli stessi diritti in materia di immigrazione, reversibilità della pensione e tasse riconosciuti dal matrimonio civile erano allargati in alcuni comuni alle coppie coabitanti anche dello stesso sesso. Dopo la “Legge sugli uguali diritti” del 1993 alcuni comuni avevano introdotto i registri comunali per le coppie di fatto.
(6) Su Geert Wilders e il PVV rimandiamo alla lettura del seguente articolo de ilmegafonoquotidiano
(7) Pim Fortuyn, omosessuale dichiarato fondò nel 2002, alcuni mesi prima del suo assassinio, la Lista Pim Fortuyn, partito di estrema destra, liberal-conservatore e antislamista. Dopo lo scioglimento definitivo del partito nel 2008 molti sostenitori confluirono nel Partito per la Libertà.
(8) Questo il link dell’intervista completa