Grecia, considerata la culla delle arti, della filosofia, della cultura europea. Il paese di Socrate
e Platone, Aristotele e Pitagora. Questo paese, un tempo fucina di saperi, luogo d'incontro e
contaminazione tra Europa ed Asia, meta privilegiata di ogni uomo di cultura del mondo antico, è
ridotto oggi a un facile campo di conquista per il capitalismo europeo. Interi settori dello stato vengono
svenduti al miglior offerente, la crisi colpisce senza pietà l'intera popolazione, mancano i servizi
essenziali, dalla sanità all'assistenza sociale, per non parlare del lavoro. Dove una volta si tenevano le
prime agorà, oggi divampano i fuochi della rivolta, dove passeggiavano i maestri di filosofia del mondo
antico, oggi marciano plotoni di polizia in tenuta antisommossa, a difesa degli ispettori della troika (o dei
nazisti di Alba Dorata), solerti nel portar via al paese ogni minima speranza di un futuro dignitoso.
E' in questo contesto che si consuma l'ennesimo scempio in nome dell'Europa delle banche e
dell'ultraliberismo. Chiude l' Università Nazionale Capodistriana di Atene. Più di 160 anni di storia,
prima università della capitale con 50mila studenti iscritti, seconda università del paese. In
un duro comunicato, il Senato Accademico annuncia la cessazione delle attività, in seguito ai
continui tagli imposti su tutti i livelli, dalla ricerca alla didattica, al personale amministrativo,
e attacca le scellerate politiche di massacro sociale adottate dai governi ellenici per il ricatto
dell'Europa.
Ed il nodo è proprio l'Europa. Siamo sommersi da una continua retorica europeista, che individua nel
rafforzamento di quelle stesse istituzioni continentali che oggi impongono il massacro alla Grecia, la via
d'uscita dalla crisi del capitalismo. Un processo che parla realmente poco di un'integrazione positiva,
che livelli gli squilibri e punti alla soddisfazione dei bisogni sociali dei popoli europei. E’ sempre più
evidente quanto il rafforzamento di uno spazio politico ed economico europeo sia funzionale ad un
consolidamento delle posizioni dei paesi dominanti e, più in generale, agli interessi del capitalismo
finanziario, rappresentati e difesi dalle istituzioni che compongono la troika.
Quel che è accaduto all'Università di Atene è esemplare rispetto a quanto detto. Tutti gli studenti
e le studentesse d’Europa studiano e si laureano da anni all’interno del Mercato Europeo della
Conoscenza, l’insieme sempre più omogeneo dei vari sistemi formativi dei paesi europei. Decine di
meeting e incontri internazionali, da Parigi, a Bologna, a Lisbona, in cui si sono costruiti gli architravi
su cui assimilare l’istruzione a un bene da mettere in un apposito settore di mercato, quello della
conoscenza appunto. Un mercato in cui gli studenti assumevano il doppio ruolo di consumatori/
utenti e in cui le università avrebbero dovuto sempre più comportarsi come aziende. I crediti formativi
universitari, la gestione aziendalistica, il decentramento amministrativo e finanziario, il doppio livello di
laurea, questi gli elementi costitutivi su cui si sono riformate le università in Europa negli ultimi 15 anni.
Lo scopo dichiarato quello di rendere l’Europa competitiva nell’epoca neoliberista della “società della
conoscenza”, quella dove sviluppo delle tecnologie, dell'informazione, della comunicazione diventano il
principale fattore di produzione o di emancipazione sociale.
In altre occasioni (vedi La fine della grande illusione e La fuga dall'università è appena cominciata) abbiamo già
evidenziato quanto questa fosse pura retorica, ma non pensavamo di dover essere costretti a
commentare con toni simili la chiusura dell’università pubblica in una capitale europea.
Nè vogliamo intenderla come pura e brutale conseguenza della crisi e del ricatto del debito che sta
strangolando la Grecia.
Quello che è successo ad Atene, rende evidente quanto è nell’aria ormai da anni: nell’epoca in
cui viviamo, qualificare e formare la popolazione, la forza lavoro di paesi come l’Italia, la Grecia, il
Portogallo, la Spagna non è più un ‘obbiettivo, non serve, è solo uno spreco.
In questi paesi la dismissione degli apparati produttivi è in corso da anni, le qualifiche professionali
e formative richieste per lavorare si abbassano mese dopo mese; sempre più giovani rinunciano ad
iscriversi all’università perché il valore aggiunto acquisito con la laurea sul mercato del lavoro è sempre
più ridimensionato. L’università, un tempo considerata l’investimento su cui basare le aspettative di mobilità sociale adesso
è strumento per la creazione ed il mantenimento di una massa di lavoratori dequalificati, un'ampia
fetta di popolazione priva di lavoro e di assistenza sociale ed in quanto tale disposta a tutto pur di
sopravvivere, anche con la laurea in tasca.
Far chiudere un ateneo è ovviamente l’ultimo passo, prima vengono i tagli al diritto allo studio,
l'aumento delle tasse, la creazione di sistemi multipli di selezione, con continui test d'ingresso e
concorsi e, parallelamente l'istituzione di poli di eccellenza per pochissimi eletti, funzionali alla
formazione della futura classe dirigente. Ma non basta. Serve uno strumento con cui garantire
copertura ideologica a questo scellerato sistema di esclusione sociale e stratificazione della futura
forza-lavoro, ed ecco la retorica meritocratica nell’epoca di maggiore disuguaglianza, in termini di
distribuzione di ricchezze e opportunità, che il capitalismo ricordi.
In questo quadro, la chiusura dell'Università di Atene rappresenta il colpo più violento, ma
perfettamente coerente, inferto dal neoliberismo europeo alla stessa retorica su cui ha costruito i propri
interessi rispetto al mondo dell'istruzione. La Grecia è ormai un paese da saccheggiare, da spolpare
fino all'osso per foraggiare le casse delle banche e dei creditori in crisi. Un paese in cui mantenere in
piedi un’università costa tanto e serve poco se a lavorare devono essere sempre di meno per mansioni
sempre meno qualificate.
Vorremmo sentire i fautori del “mercato unico europeo della conoscenza” andare a spiegare ai 50mila
studenti dell'Università ateniese che ora si trovano privi di istruzione e di qualifiche, le loro teorie sul
ruolo della formazione. Sappiamo che ciò non avverrà. Dinanzi ad una crisi così profonda, il capitalismo
finanziario getta via la maschera e si mostra per quel che è. Neanche i paesi più avanzati sono al
sicuro, la Grecia viene ridotta ad un paese del terzo mondo, socialmente massacrato, politicamente
commissariato, economicamente depredato…in cui un’Università a che può servire?
La costruzione del mercato Europeo della conoscenza, iniziata a Bologna nel ‘99 finisce qui,
ad Atene nel 2013, sbattendo contro il portone chiuso dell'Università. Il velo di Maya è caduto.
Le promesse di benessere ed emancipazione si rivelano false, l'Europa unita diventa un arma nelle
mani di chi questa crisi l'ha causata. Non ci sono possibilità di mediazione davanti alla cieca furia del
capitalismo in crisi, i paesi più deboli vengono colpiti, nella stessa logica con cui il ramo secco viene
tagliato via dall'albero.
A noi, ai movimenti, ai settori sociali in mobilitazione, il compito di contrattaccare, nella consapevolezza
che non si può emendare questo sistema, ma solo abbattere per ripensare il nuovo.