Un fine settimana all’inferno

Thu, 13/07/2017 - 10:03
di
Francesco Scardaccione

Il G20, l’ennesima vetrina del potere in cui le decisioni da prendere a livello mondiale sono solo una parentesi rispetto al vero obbiettivo: mostrare la propria egemonia e il (falso) benessere sociale e politico dei paesi che ne fanno parte o che ospitano il summit; incentivare la crescita del sistema capitalista sotto false promesse e accordi quali “Libero commercio”, clima e migranti. Tutti temi in cui le decisioni prese, portano solo al peggioramento di quella che è la situazione attuale e come al solito a pagarne le conseguenze è chi questi temi li affronta e li vive ogni giorno, dal migrante che muore nel mediterraneo all'agricoltore che lotta per produrre in maniera sostenibile. Benvenuti ad Amburgo.

Come per ogni grande vertice, la sfida più grande sta nell’organizzare in maniera concreta ed efficace un “contro Vertice” che metta in risalto che sono i movimenti sociali nella loro varietà e multiforme composizione ad essere ‘rappresentativi’ della vita quotidiana di chi vive in basso; un contro Vertice che provi a mostrare che le lotte contro il capitalismo non sono solo slogan ma pratiche diffuse in tutta Europa e in tutto il mondo. Questo organizzando workshop, mostre, piazze pubbliche da mattina a sera e manifestazioni.
E come per ogni vertice viene messo in atto una repressione atta a nascondere o distorcere la realtà, e dare la colpa a chi va in giro con una felpa nera.

Prima dell’inizio delle tre giornate di mobilitazione, la Germania ha mostrato sin da subito come sarebbe andato questo fine settimana di fuoco nella città che è il cuore storico del cosiddetto antagonismo di sinistra. Con veri e propri divieti e raid nei campeggi dove avrebbero dovuto dormire gli attivisti, sono iniziate le intimidazioni che avrebbero dovuto scoraggiare i partecipanti: fortunatamente la macchina della solidarietà si è messa in moto e sono stati trovati posti alternativi, da scuola a teatri, dallo stadio del Sant Pauli sino a privati cittadini che hanno messo a disposizione il proprio giardino. In questo clima la polizia ha continuato ad intimidire e nella giornata di giovedì, prima del summit, ha messo in atto la provocazione più forte e dura attaccando, poco dopo la partenza, il corteo di lancio della tre giorni chiamato non a caso “Welcome to Hell”. Corteo che fortunatamente e con ingegno è riuscito a rispondere alla provocazione delle forze dell’ordine e a proseguire lungo il percorso stabilito, senza farsi inghiottire dalle lampanti provocazioni. Da quel momento in poi i 15.000 agenti chiamati per l’occasione hanno completamente perso il controllo, dando inizio a tre giorni di vera e propria guerrilla urbana per le strade dei quartieri storicamente di sinistra, o che avrebbero dovuto ospitare il Summit. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, giusto o sbagliato che sia.

La giornata di venerdì è iniziata con diversi blocchi, come il fermare e rallentare (sino al martedì) la produzione del Porto, quello che in questa città è uno dei simboli del libero scambio delle merci e molto meno delle persone, oppure bloccare alcune delegazioni che infatti hanno dovuto rimandare alcuni incontri. Sabotare gli incontri è stata la parola d’ordine per chi prova davvero a fermare la storia del capitalismo, provocare e cercare la reazione di chi protesta è stata invece la parola d’ordine di chi come al solito agisce ai comandi di un capo polizia di estrema destra, ben conosciuto ad Amburgo e non solo, per la sua linea dura e fallimentare nei confronti degli attivisti ed attiviste.

La giornata di sabato è stata la giornata in cui ci si è giocato molto, in cui tutte le realtà hanno cercato di portare in piazza le proprie rivendicazioni e conflittualità sociali, dai curdi contro Erdogan ai messicani contro i ‘muri’ di Trump, dagli attivisti contro il TTIP ai movimenti LGBT. La grande manifestazione ha proceduto tranquilla e colorata, con urla, slogan. Ha percorso le strade di una città militarizzata e deserta. E’ terminata con un grande concerto in cui si rivendicava la solidarietà invece della chiusura delle frontiere.

Un gruppo di 15 italiani al termine della manifestazione ha deciso di riposarsi un po', e dopo aver visto le solite provocazioni della polizia ed essendo a conoscenza dell’arrivo di Hooligans nazisti (che volevano riportare l’ordine nella città) ha optato per muoversi in gruppo per cercare qualcosa da mangiare, ma è stata prontamente identificata dalla polizia che aveva praticamente bloccato ogni via di accesso.
Dopo essere stati circondati da circa 30 poliziotti antisommossa, il motivo del fermo viene subito dichiarato: “oggi è stato dato ordine di fermare gli stranieri, questa volta europei, venuti per la manifestazione”. Motivazione che ci ha fatto sorridere, ma il cui è esito è stato ben diverso e da rabbrividire quando ci è stato detto che in specifico l’ordine era quello di fermare gli italiani.
Dopo il controllo dei documenti e dopo essere stati perquisiti e provocati c'è stato il fermo, cioè l’arresto. Questo perché avevamo con noi alcuni vestiti di ricambio tra cui felpe anche di colore nero e occhiali da sole. Senza dimenticare che quel giorno essere di nazionalità italiana era a prescindere un reato. Viene arrestata con noi anche una Europarlamentare che in “teoria” avrebbe diritto all’immunità parlamentare.
Dopo essere stati divisi in due gruppi, siamo stati portati lontano dalla strada dove iniziavano ad assembrarsi avvocati e giornalisti. Dopo diverse ore sotto il sole in celle piccole e anguste, finalmente giungiamo a destinazione: il Gesa di Harburg, centro di detenzione costato 4 milioni e costruito appositamente per i pericolosi sovversivi del G20. Una volta lì siamo stati nuovamente e definitivamente divisi e per la procedura di identificazione nei casi di detenzione: essere spogliati, controllo dei propri beni personali, essere scortati da braccia solide pronte a spezzarti un braccio, essere portati al bagno ed osservati ecc come se avessimo commesso un omicidio in fragrante. Le celle sono dei container ovviamente senza arredo, con una sola panca dove sedersi. I pasti, l’acqua, le chiamate e il poter parlare con un avvocato sono stati ben difficili da ottenere.
All’interno di questo grande hangar le storie di chi è stato arrestato\a sono diverse ma allo stesso tempo tutte uguali: semplicemente essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato, ed essere stati fermati in maniera indiscriminata solo per far aumentare il numero dei famosi criminali che hanno devastato la città ed essere buttati in pasto all’opinione pubblica. Fermi preventivi effettuati per impedire alla gente di manifestare liberamente. Violenze da parte della polizia che in alcuni momenti hanno riportato le lancette del tempo a Genova 2001, storie che si sono ripetute per fortuna in maniera meno tragica.

La caccia a carattere etnico è continuata, e nella giornata di domenica ci sono stati circa una quindicina di fermati e cinque arrestati, solo tra gli italiani. Chi era stato arrestato con me viene fortunatamente rilasciato senza conseguenze, alcuni hanno un foglio di via, consistente nel divieto d’accesso alle ‘zone calde’, quelle dove i giorni precedenti ci sono stati maggiori disordini. Tutto rimane un brutto ricordo, l’ennesima dimostrazione di come ancora una volta la repressione mira solo a prendere le persone più vulnerabili e cerca di spaccare o isolare il movimento. Ma in questa occasione si è fatto ben più forte, grazie alla solidarietà dimostrata da chi il contro vertice l’ha organizzato o da chi da lontano seguiva la vicenda.

Alla fine di queste giornate rimane nell’aria quello che è stato un vertice abbastanza speciale, in quanto si è parlato del contro vertice più che del Summit vero e proprio. Come al solito si è tralasciato tutto quello che è stato costruito, discusso e fatto durante queste giornate, per lasciar spazio alle solite immagini di distruzione e terrore che tanto piacciono e fanno parlare senza però considerare quanto forte è stata la provocazione e la reazione da parte delle istituzioni, senza considerare che come al solito si dà più importanza a chi questo mondo cerca di distruggerlo in giacca e cravatta e non a chi cerca di cambiarlo ogni giorno nel quotidiano in maniera collettiva, per una semplice ragione: perché le nostre vite valgono più dei loro profitti.