Se le "Giunte del cambio" dimenticano il "diritto alla città"

Wed, 21/03/2018 - 18:14
di
Emmanuel Rodríguez*

È da decenni che sociologi, architetti, geografi e soprattutto attivisti disquisiscono sul concetto-slogan di “diritto alla città”. Nelle loro discussioni fanno riferimenti a Jane Jacobs e alla sua descrizione dei quartieri statunitensi abitati dalle comunità polacca, italiana o ebraica, qualche decennio prima della grande migrazione dei bianchi verso i sobborghi delle città, ma anche a Lefebvre al quale alcuni attribuiscono la paternità del termine e perfino ai situazionisti per quanto concerne il concetto di deriva urbana e l’idea della città come gioco e come esperienza.

Più concretamente, il diritto alla città negli anni ’70 significava, almeno per gli abitanti dei quartieri operai delle grandi città spagnole, la semplice omologazione con quello che era allora il resto della città: belle case al posto di catapecchie e baracche, asfalto e illuminazione invece di fango e spazzatura e poi scuole, ambulatori, campi sportivi. A partire da queste rivendicazioni si sviluppò uno dei maggiori movimenti urbani a livello europeo, quello degli abitanti dei quartieri più periferici e popolari. I risultati ottenuti allora garantiscono ancora oggi, in buona parte, che le nostre città siano abitabili.

Oggi è più complesso definire cosa potrebbe essere il diritto alla città. La mancanza di un dibattito pubblico sui problemi urbani e l’egemonia della cultura speculativa (per cui la casa è fondamentalmente una forma di investimento più che un luogo in cui abitare) ostacolano sensibilmente la possibilità che tale discussione entri nell’agenda cittadina. Ciononostante non è difficile sapere quando tale diritto è completamente negato. Vari accadimenti verificatisi a Madrid negli ultimi dieci anni, possono essere giudicati come sintomi della soppressione di fatto del diritto più elementare: il diritto ad avere diritti.

Il primo di questi episodi è la morte raccapricciante di Mame Mbaye, madrilegno. Era in Spagna da 14 anni e nonostante ciò per vivere faceva il venditore ambulante (mantero). Secondo testimoni lui ed altri suoi compagni sono stati l’obiettivo principale di una pesante operazione della polizia municipale. Circondati, colpiti, inseguiti da Puerta del Sol sono arrivati senza fiato a Lavapies. Mentre fuggiva, Mame ha detto ad uno dei suoi compagni: “Non ce la faccio più. Non ce la faccio più”. Ma ha continuato a correre per non perdere la merce che, se fosse stato raggiunto, gli sarebbe stata confiscata dalla polizia. Ha corso fino a crollare davanti alla porta di casa. I medici sono stati incapaci di rianimarlo. La diagnosi: arresto cardio-respiratorio. Se non fosse stato per una retata “pesantissima e bestiale” Mame oggi sarebbe ancora vivo, indipendentemente dal suo stato di salute.

È da mesi che le associazioni di migranti irregolari e il sindacato dei manteros denunciano la repressione da parte della polizia, molte volte manifestatasi con un eccessivo uso della forza. Era chiaro che qualcosa sarebbe successo. Ed è successo. Forse non è questa la sede per soffermarsi ancora una volta sulla funzione della normativa in materia di immigrazione, valvola con rango di legge che serve per regolare il mercato del lavoro più precario e peggio pagato, e nemmeno per tornare a denunciare che tutti i monopoli artificiali (e quelli della proprietà intellettuale applicata ai marchi di borse, vestititi e profumi lo sono) tendono a generare un proprio mercato nero. Quello che ora interessa rilevare è che a Madrid e Barcellona la polizia municipale ha imposto una propria posizione di forza con la quale riesce a fare pressione nei confronti delle rispettive amministrazioni comunali, giudicate troppo blande per poter gestire la questione con la dovuta fermezza.

Gli scontri e le cariche verificatisi a Lavapies in seguito alla morte di Mame, hanno fatto svanire di colpo la sciocca presunzione che a Madrid la polizia non sia violenta e che non ci sarebbero state proteste come quelle di Parigi, Londra, Los Angeles o Charlotte. L’offensiva mediatica si è messa in marcia. Si parla di “antisistema”, di “inferno”, di “attentati” e si rimuove la morte, assolutamente gratuita, di un ragazzo che ha vissuto in Spagna più della metà della sua vita.

Il secondo episodio a cui faccio riferimento è l’esecuzione degli sfratti del 9 marzo scorso. In una città in cui ve ne sono a centinaia non dovrebbe essere una notizia se non fosse per il piccolo dettaglio che sono stati promossi dall’azienda municipale competente. Il primo sfratto, tra i quartieri Valdezarza ed Estrecho, nella calle Ofelia Nieto, avrebbe lasciato per strada 5 donne: una donna che fa le pulizie ad ore, la figlia disoccupata e le sue tre bambine. Grazie alla pressione esercitata dal comitato di quartiere l’esecuzione è stata rinviata. L’altro sfratto, nel quartiere Moratalaz, è stato portato a termine. A partire da quel giorno l’esistenza della famiglia interessata, composta da una coppia con figli e senza risorse economiche, dipende dai servizi sociali. Se venisse applicata la procedura standard la coppia potrebbe anche vedersi revocata la custodia genitoriale sui figli.

Il Comune di Madrid ha promesso in diverse e ripetute occasioni che non avrebbe sfrattato nessuno che si trovasse in situazione di bisogno, almeno in relazione alle abitazioni di sua diretta competenza. La promessa è stata tradita varie volte da parte dell’assessora alla casa e ai servizi sociali Marga Higueras. A ciò si aggiunge la mancanza di risorse necessarie a soddisfare le necessità abitative della città e l’allontanamento della PAH (Plataforma de Afectados por la Hipoteca) dal tavolo delle negoziazioni con le banche proprietarie di molti degli immobili interessati dalle procedure di sfratto. Il movimento per la casa di Madrid ha promosso la campagna #MartaHiguerasDimisión (MaraHiguerasDimissioni). Di certo non gli mancano le ragioni.

La notizia del terzo significativo evento, l’abbiamo appresa poco fa. Il Comune ha presentato un ricorso per lo sgombero di un immobile di sua proprietà nella calle Gobernador. Nove mesi or sono, l’edificio, antica sede dell’Universidad Nacional de Educacion a Distancia, è stato occupato per ospitare il Centro Sociale La Ingobernable. La giunta comunale ha negato pubblicamente l’intenzione di procedere allo sgombero, ma ciò viene clamorosamente contraddetto dall’azione della Direzione Nazionale del Patrimonio che ha notificato il provvedimento.

La Ingobernable non è l’unico centro sociale minacciato dallo sgombero. A Malaga, la vecchia Casa Invisible è stata oggetto di un assedio politico da parte di Ciudadanos. Il sindaco del Partido Popular, Paco de la Torre, l’unico del suo partito al governo in una grande città, era disponibile a cedere l’immobile, ma ha cambiato opinione in questi mesi a causa della pressione del populismo più becero dell’altro partito di destra. Con oltre di dieci anni di attività, riconosciuta in mezzo mondo come centro artistico e appoggiata da buona parte degli attori sociali e culturali della città, La Invisible è oggi sotto sgombero.

Per il numero di persone che li frequentano, per le attività pubbliche che svolgono e per il riconoscimento sociale che hanno, questi due centri, così come molti altri, posso essere sicuramente equiparati a qualsiasi altra istituzione culturale cittadina. Indipendentemente dalla questione ideologica, la perdita di questi spazi, situati in edifici municipali abbandonati e inutilizzati, indebolisce oggettivamente il tessuto sociale della città. Le cosiddette giunte del cambiamento, specialmente quella di Madrid, mal sopportano la tensione tra la progressiva assimilazione nel quadro politico istituzionale e le aspettative che le hanno portate al governo delle città. Giova ricordare che una parte non piccola dei loro membri sono stati sostenuti e aiutati dagli stessi movimenti che sono schierati a fianco dei manteros (e in difesa della dignità di tutti gli essere umani), per il diritto alla casa e in difesa dei centri sociali. Un figura come Ada Colau non sarebbe potuta esistere se non si fosse costruita, formata e proiettata a livello pubblico attraverso la militanza in questi ambienti. Lo stesso vale per sette otto consiglieri comunali di Ahora Madrid.

La squadra di Carmena vive da mesi arroccata all’ombra della popolarità della sindaca e del gonfiato indice di gradimento dell’amministrazione. Tuttavia vari sondaggi collocano Ahora Madrid fuori da una futura giunta, e alcuni addirittura come fanalino di coda delle prossime elezioni. Sembra dunque che sarà impossibile, a Madrid come in altre città, tornare a vincere le amministrative praticando una politica contraria, se non lesiva, di quei principi e di quelle forze che hanno consentito la vittoria del 2015. Speriamo che non sia troppo tardi per iniziare a invertire la rotta.

Per approfondire: http://www.communianet.org/rivolta-globale/madrid-un-bilancio-dopo-due-a...

Emmanuel Rodríguez è storico, sociologo e saggista. Inoltre è editore di Traficantes de Sueños e collaboratore della Fundación de los Comunes. Il suo ultimo libro si intitola '¿Por qué fracasó la democracia en España? La Transición y el régimen de 1978'.

*Fonte articolo: http://ctxt.es/es/20180314/Firmas/18444/Emmanuel-Rodr%C3%ADguez-Lavapi%C...
Traduzione a cura di Marco Pettenella