La minaccia autoritaria e xenofoba: l’estrema destra e la crisi dell’Europa

Fri, 02/11/2018 - 10:43
di
Miguel Urbán*

Quando guardiamo ai risultati elettorali dell’estrema destra europea negli ultimi dieci anni, non può non coglierci un forte senso di inquietudine per la sua marcata crescita, che capitalizza un voto di protesta dovuto all’insicurezza sociale, lavorativa ed economica. Una tendenza che non solo pare non avere freno, ma che anzi, considerate le diverse manifestazioni dell’estrema destra in Europa, allude alla trasformazione delle prossime elezioni europee in un referendum sull’appoggio popolare ad un modello autoritario e xenofobo.

Il successo dell’estrema destra non è circoscrivibile al solo campo elettorale, ma è anche riscontrabile in un discorso unificante, capace di condizionare le politiche delle istituzioni europee, così come possiamo constatare tragicamente per la crisi migratoria e di diritti che stiamo vivendo in Europa.

Si può dunque parlare di un vero potere di dettare l’agenda politica, inteso come capacità di stabilire le priorità programmatiche, le problematiche più rilevanti e i termini della discussione. Sono ormai ricorrenti gli allarmi lanciati dalle istituzioni europee e dai partiti della grande coalizione, rispetto alla diffusione di atti di razzismo e al consenso crescente verso organizzazioni xenofobe. Ma invece di pensare a contromisure per combattere tali tendenze, questi stessi soggetti accettano il terreno di confronto posto dall’estrema destra, assumendo buona parte dei suoi postulati. È ciò che in Francia conoscono da anni come “lepenizzazione degli spiriti”, fenomeno che oggi attraversa quasi tutta Europa: la capacità dell’estrema destra di condizionare l’agenda politica, senza dover essere per forza in posizioni di governo per poterlo fare.

Negli ultimi anni abbiamo potuto constatare come in Europa, contro tutte le previsioni, la crisi non solo non ha indebolito le misure economiche neoliberiste, esse stesse causa della crisi, ma di fatto ha rinforzato la via delle misure di austerità e dei piani di aggiustamento strutturale, sempre più aggressivi e ambiziosi. In tale contesto di crescenti disuguaglianze, la povertà diventa un nemico, ma l’obiettivo non è tanto quello di porre fine alla povertà, quanto quello di combattere i poveri. L’impegno crescente per rendere invisibile la povertà e chi ne è colpito è un chiaro esempio che non c’è alcuna volontà di combatterne le cause.

L’atto inaugurale dell’attuale xenofobia politica in Europa è stato quello di porre un confine tra chi deve essere protetto e chi invece può essere – o più direttamente è – escluso da qualsiasi protezione. Un’operazione di esclusione dalla cittadinanza, la cui matrice è fondamentalmente economica e che cerca di escludere un gruppo, i migranti, per contribuire così a frammentare ancora di più tutta la popolazione. Un’operazione finalizzata ad alimentare la guerra tra poveri, la lotta di classe degli ultimi contro i penultimi, perché prevalga la competizione tra autoctoni e stranieri per l’accesso alle risorse sempre più limitate in tempo di austerità: il lavoro e le prestazioni ed i servizi dello stato sociale.

L’ordine imposto dalle politiche neoliberiste e di austerità, al di là dei tagli e delle privatizzazioni che comportano, consiste nell’ “imposizione, per l’80% della popolazione europea, di un ferreo immaginario di carenza di risorse”. Un “non ce n’è abbastanza per tutti” generalizzato, che fomenta il meccanismo di esclusione che Habermas definiva come caratteristici di uno “sciovinismo del benessere” e che concentrano in sé la tensione latente tra lo status di cittadino e l’identità nazionale. In tal modo il malessere sociale e la polarizzazione politica provocate dalle politiche economiche liberiste vengono canalizzate contro i soggetti più deboli (il migrante, lo straniero o semplicemente l’ “altro”), salvando così l’elites politiche ed economiche, vere responsabili di questo impoverimento. Perché “se non ce n’è per tutti”, allora siamo in troppi. Questa è la sottile linea che collega l’austerità con l’esclusione.

Così, poco a poco, si passa dalla scabrosa visibilità della povertà diffusa alla tranquilla invisibilità della povertà nascosta, dalla lotta alla povertà tramite l’estensione dello stato sociale alla lotta ai poveri tramite l’estensione dello stato di polizia che stigmatizza e criminalizza le persone. Di fronte alla mancanza di volontà di risolvere l’insicurezza derivante dalle politiche di austerità e dagli aggiustamenti strutturali, dalla precarizzazione del mercato del lavoro e dalla perdita di diritti e prestazioni sociali, anziché fare i conti con questo sistema e con le politiche pubbliche che non risolvono i problemi, si preferisce stigmatizzare il fenomeno migratorio e la povertà.

In questi anni abbiamo potuto comprovare come la precondizione per l’attuale ascesa elettorale e istituzionale dell’estrema destra sia stata l’estensione delle politiche neoliberiste che hanno trasformato la “carenza di risorse” nel motore dei meccanismi di esclusione. Un autentico sequestro della democrazia che ha nelle diseguaglianze il suo volto più visibile e nella frammentazione sociale l’epicentro della crisi economica e politica, da cui scaturisce una crescente disaffezione verso il modello di governo neoliberista della UE e che si è manifestato con un crescente voto di protesta a favore delle posizioni più autoritarie. Un’estrema destra che è riuscita a portare al centro dell’agone politico le posizioni identitarie, escludenti e punitive, condizionando così buona parte del dibattito pubblico. La battaglia di identità e appartenenze mostra il dilemma realmente esistente tra lotta di classe o lotte xenofobe, e sembra che per il momento stiamo perdendo. Dipende da noi la possibilità cambiare la situazione.

Miguel Urban è eurodeputato di Podemos

*Fonte articolo: https://www.eldiario.es/tribunaabierta/extrema-derecha-crisis-Europa_6_8...
Traduzione a cura di Marco Pettenella.