Argentina: schiantarsi contro il medesimo iceberg

Fri, 11/05/2018 - 14:39
di
Mario Wainfeld*

Pubblichiamo questo articolo di Pagina 12 che analizza il nuovo credito chiesto dal Presidente Mauricio Macri all' FMI. L'Argentina sta ripiombando in un ciclo economico e politico profondamente conservatore e neoliberista ma, allo stesso tempo, i movimenti sociali, in particolare quello femminista, sembrano risvegliarsi dal torpore vissuto nell'ultimo decennio.

Quando il Presidente Nestor Kirchner intraprese la negoziazione e la cancellazione del debito estero era facile capire come non avesse altre soluzioni. L’Argentina aveva bisogno di uscire dal default riducendo un debito spaventoso e impagabile. Guadagnare tempo, recuperare il controllo della moneta, dell’economia, ritrovare la sovranità.

Le trattative non furono semplici, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nonostante non ne abbia preso parte, intralciò l’Argentina e giocò a favore dei fondi “avvoltoi”.
Kirchner e il Ministro dell’Economia Roberto Lavagna hanno lottato fermamente, e qui si trova il loro primo merito. L’altro è di non aver appoggiato quello che volevano le controparti, non solidarizzare con loro, non credergli in nulla, non ammirarli. Il confronto con il presente è deprimente.

Era più complicato, al contrario, appoggiare la manovra del FMI di riduzione del debito pagando in “cash”. Kirchner decise così, insieme al suo collega brasiliano Lula da Silva. A coloro che professano (professiamo) un ideale nazional-popolare (ci) chiedevamo che senso avesse cancellare un debito non scaduto, ed inoltre ad un creditore odioso e odiato. Kirchner spiegò e predicò che ridurre il debito significava sbarazzarsi del FMI come attore nella nostra economia. Di nuovo l’obbiettivo era ottenere autonomia politica, spazio per decidere.

“Svincolandosi” di fatto dalla Banca Centrale di Argentina: Kirchner utilizzò le risorse della Banca, che rapidamente si riempirono di nuovo.

In quell’ epoca, il FMI aveva un ufficio nel bell’edificio della Banca Centrale di Argentina. Una concessione piena di simbolismo. Il FMI non ha bisogno di scroccare una stanzetta però sì che ha bisogno di lasciare un ricordo del suo potere. L’ufficio è rimasto chiuso nell’ultimo decennio.

Il ritorno del FMI evoca immediatamente la crisi che iniziò durante la Presidenza di Carlos Menem e si concluse catastroficamente sotto il mandato di Fernando de la Rua. Lo strategia che si sta concordando con il FMI, oltre questi ricordi, porta con se la nostalgia del tempo in cui il Presidente rappresentava tutto il popolo argentino, e non, come Mauricio Macri, solo le sue classi dominanti.
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Sono recenti gli elogi del Capo di Gabinetto Marcos Pena al Ministro delle Finanze, Luis Caputo, per aver velocemente ottenuto, ad interessi usurai, 9000 milioni di dollari. Dobbiamo ringraziarlo, egli ha sostenuto davanti ad una claque di animali sciolti, “toto” (n.d.t soprannome di Mauricio Macri) è da Champions League. In realtà come il collega Alfredo Zaiat ha sostenuto nelle pagine di questo giornale Macri ha nascosto un fallimento - non è riuscito a ottenere altro credito - sostenendo di non averne bisogno.
I 9000 dollari sono spariti. E ora il Governo si sottomette al FMI per 30.000 milioni. L’educazione obbliga la risposta. Toto, siete da serie B.
Ministro Pena: la smetta di mentire per due mesi, provi a vedere come ci si sente.
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Macrì promise un programma di sviluppo. L’Argentina doveva diventare la nave da crociera del mondo, l’inflazione avrebbe dovuto diminuire facilmente, la povertà sarebbe stata sconfitta poco dopo. All’inizio del mandato, si diceva che la svalutazione non avrebbe intaccato i prezzi, per la prima volta nella storia.

Il Presidente incoraggiò la speculazione, ridusse le trattenute che gravavano sul settore produttivo più ricco. Deregolamentò i controlli in entrata e in uscita dei capitali. Incoraggiò la bicicletta finanziaria, a discapito dell’industria vincolata al consumo locale.

Carlos Menem e Domingo Cavallo hanno svenduto il patrimonio pubblico a prezzi irrisori. Con questi rimedi della nonna hanno messo insieme un cuscinetto che ridusse l’effetto devastante delle loro politiche economiche e hanno allontanato il momento di rottura, per pochi secondi. Il modello M (n.d.t Modello Macri) usò come cuscinetto la riduzione del debito ereditata da Kirchner: quello nazionale, delle province, delle imprese, dei moltissimi cittadini, in particolare dalle classe medie verso l’alto.
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In due anni e mezzo Macri ha aumentato la distribuzione regressiva del reddito. Tra i beneficiari abbondano ministri e segretari di Stato, prescelti sin dal principio. Quanto ha guadagnato il Ministro delle Finanze, Nicolas Dujovne, tra fine aprile e oggi? E il suo collega dell’Energia, Juan Jose Aranguren?

Il settore agroindustriale che gestisce il Ministero dell’Agroindustria dal dicembre 2015, guadagna soldi a palate, senza aumentare i bassissimi salari dei lavoratori. Abbiamo scritto in questo giornale, dieci giorni fa, che il Governo veniva colpito da fuoco amico. La sofferente elite di capitalisti agroindustriali conserva la valuta in contanti, in attesa che la svalutazione raggiunga il massimo. Il capitalismo è crudele, anche tra le “brave persone” di Cambiemos.

Cavallo, comparato a Dujovne, è divertente come Alberto Olmedo (cfr. comico argentino), eloquente come Demostene e intelligente come Einstein. Più audace, soprattutto. Nelle ultime settimane dell’Alleanza denunciò il mito “dei mercati”. Non sono gli stati o "il mondo" o un feticcio. Sono travi di maggiori o più piccole dimensioni.

Il sornione discorso ufficiale nasconde, quindi perdona, coloro che in questi giorni stressanti hanno speculato. Potranno essere o meno gli stessi attori, le medesime imprese, anche se parliamo di un’altra fase di gioco. Coloro che entrarono e uscirono saggiamente dal dollaro, si allinearono o meno al Lebac, "volarono verso la qualità" hanno raccolto enormi ritorni. Dieci percento in dollari nello stesso numero di giorni se hanno acquistato al momento giusto.

Quando il governo manovra le variabili, con dei salti giornalieri brutali, qualsiasi giocatore che ha a disposizione informazioni qualificate moltiplica le chance di arricchirsi.

L’ex titolare della SIDE, Fernando de Santibanes, sfruttò queste informazioni nel governo di Alfonsin. Era un dirigente di una banca, la comprò a prezzo d’occasione perché stava fallendo, diventò milionario in alcune settimane quando la fortuna cambiò e si rimise a galla. Un paio di colpi fanno la differenza.

Sarà successo qualcosa di simile durante il caos, nel governo dei CEO, nel Gabinetto che tiene i propri capitali fuori, nella promiscuità tra pubblico e privato? Le condizioni di possibilità sono date.

Non è il problema principale che affligge la gente comune che soffrirà le sette piaghe d’Egitto. Come nota a piè di pagina, vale la domanda.
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Fuggiranno le oscuri rondini. Finiranno di lamentarsi le oche che parlavano di riformismo? Già si può vedere la rettifica. In questo anno aumentarono i licenziamenti nel settore pubblico, le tariffe, la benzina, i trasporti, gli articoli di prima necessità.

Le misure saranno ancora più dure, completando il programma economico tipico della destra. Le reazioni andranno in crescendo.

Macri rafforza l'opposizione nel suo insieme, la ripara, vorremmo quasi dire la forza per resistere.

Il veto alla legge di sospensione dell’aumento delle tariffe dava l’impressione, fino a ieri, di un rituale già visto. La opposizione si mostra coesa e avrebbe dato i numeri necessari, il presidente pone il veto, sciogliendo il dibattito sui costi della politica, la caduta di immagine, etc.

Nello scenario che si sta formando, la Confederazione Generale del Lavoro (CGT) deve per forza mostrarsi più radicale, o per dirla meglio, ad essere meno transigente. Lo sciopero generale è una variabile possibile di azione diretta. Né la più potente, né la più costante di quelle che stanno proponendo.
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Il Governo ha tradotto male il risultato delle elezioni di metà semestre. Le ha lette come un assegno in bianco per approfondire la recessione, tagliare ancor di più i lavori pubblici, passare sopra ai diritti di lavoratori e pensionati. In uno di questi momenti paradossali della storia, non si rendeva conto di quale fosse la sua tattica: regolare la sopportazione, fare investimenti nella spesa pubblica, promettere che le cose sarebbero migliorate nel momento in cui avesse sconfitto il kirchnerismo.

Gli argentini palpitano e soffrono a rivivere un film già visto. Nessun passato torna mai identico, ma delle costanti esistono: non sarà mai eterno un sistema basato sull’indebitamento.

Un governo di destra senza prospettiva è pericoloso. Il macrismo già mostrò i denti reprimendo e arrestando manifestanti, indagando per l’omicidio di Rafael Nahuel, nella repressione feroce che fu causa o contesto in cui trovò morte violenta Santiago Maldonado.

Lo scenario mette paura. Il governo classista ha toccato i suoi limiti, andando a sbattere contro il classico iceberg, ora si arrabbia con la realtà.

L’esaurimento di un modello con fondamenta di argilla era inesorabile, anche se non stava programmato e forse non era imminente. Oggi, semplicemente è quello che sta succedendo.

*Fonte articolo: https://www.pagina12.com.ar/113506-chocar-contra-el-mismo-iceberg
Traduzione a cura di Giulia Vescia