Spunti di riflessione per chi non mangia pop-corn

Tue, 22/05/2018 - 17:39
di
Thomas Müntzer

Loro dicono che stanno facendo la Storia, che sarà il Governo del cambiamento, pur proponendo a quanto pare un amico di Confindustria come premier, l’avvocato di Andreotti alla Giustizia, un banchiere all’economia e un leghista agli Interni. Lui dice che è felice di star a guardare e ha preparato i pop-corn, l’altro che non mette veti finchè non gli daranno fastidio, mentre entrambi gli esclusi guardano con invidia alla Francia di Macron. I principali responsabili delle politiche degli ultimi anni e la stampa manistream lanciano poco credibili appelli per la difesa della democrazia dai “nuovi barbari”, ma ripropongono semplicemente l’Europa dell’austerity. E in ciò che rimane della parte politica a noi più vicina c'è soprattutto disorientamento e comprensibile apprensione.

Senza dubbio il Governo “Salvimaio” torce i Cinque stelle pesantemente a destra, con un esito che di fatto mette un terzo del paese nelle mani del partito più compiutamente e aggressivamente razzista, vero vincitore anche della sfida programmatica perché Flat tax e politiche securitarie segnano il “contratto di Governo” ben più del blando Reddito di cittadinanza e delle proposte ambientaliste. L’operazione è sicuramente più rischiosa per i Cinque stelle che per la Lega, che mantiene pur sempre un piano B in caso di fallimento (ossia il ritorno nel perimetro di Centrodestra) mentre Di Maio dovrà comunque fare i conti con una parte del suo elettorato proveniente da sinistra. Ma alla fine tra i pentastellati ha prevalso il bisogno di confrontarsi subito con il Governo e l’alleanza con chi – come loro – è percepito esterno all’establishment che ha governato negli ultimi venticinque anni. Ed è proprio per questo che, dopo decenni di Governi in minoranza nel paese, ci troviamo di fronte a un Governo che se parte avrà il più largo consenso sociale dai tempi della Prima Repubblica, con già secondo i sondaggi 6 italiani su 10 pieni di speranza.

Il famoso contratto di Governo ha tenuto insieme spinte molto diverse, alcune parole d’ordine che i Cinque stelle hanno mutuato dai movimenti sociali seppur annacquate (come il No parziale alla Tav, l’acqua pubblica e il Reddito di cittadinanza), qualche venatura keynesiana con apertura al ricorso al deficit spending, il liberismo sfrenato della Flat tax e le parole d’ordine razziste e securitarie su rimpatri, rom, moschee e welfare solo agli italiani. Un governo "maschile", che le donne non le vede proprio se non come madri da tutelare o per le pene contro la violenza sessuale da inasprire, ma senza mettere in discussione nessun modello. E un governo che non prevede diritti civili, che alle donne farà pagare le politiche familiste e quando propone qualche intervento sul piano del welfare chiede in cambio l'adesione al razzismo istituzionale contro le famiglie non italiane.
È sparita invece l’intenzione di abolire il Jobs act ripristinando l’articolo 18, anzi si prevede la reintroduzione dei voucher, cosa che ha fatto prendere le distanze dal Governo al fantaministro del lavoro designato da Di Maio in campagna elettorale, Pasquale Tridico, una delle pochissime voci in dissenso all’interno del mondo a Cinque stelle apparso quasi monolitico.

L’insieme ha le sue fragilità, e viene dai “responsabili” accusato di non essere credibile dovendo trovare 100 miliardi di euro. Ma una redistribuzione di 100 miliardi di euro sarebbe il minimo che dovrebbe fare un reale Governo del cambiamento. Il problema infatti non è di natura quantitativa ma di segno politico. Perché fare un seppur parziale Reddito di cittadinanza e una revisione della legge Fornero introducendo praticamente un paradiso fiscale per i ricchi (la Flat tax), è difficile se non vuoi tagliare su scuola, sanità e servizi di welfare e tantomeno vuoi introdurre tasse patrimoniali. La stessa idea di non pagare in qualche modo un pezzo del debito è stata subito fatta stralciare dal contratto dal ligio Mattarella. Per questo l’insieme è effettivamente fragile, ma proprio la sua fragilità sommata al largo consenso popolare di partenza non lo rende meno pericoloso, perchè le probabili difficoltà in politica economica renderanno ancora più aggressive le politiche repressive e securitarie.

È difficile definire oggi in termini analitici questo impasto di Governo, che fa dell’Italia l’ennesimo laboratorio politico. Siamo di fronte a un Peronismo in salsa nostrana? Somigliano più all’idea di Governo di Putin verso cui entrambi nutrono una certa simpatia? Sono semplicemente un maquillage verso una sostanziale continuità con i Governi precedenti come già mostrato dai Cinque stelle nel Governo delle grandi città?
La nebulosa non si è ancora diradata e il largo consenso in realtà si regge sulla crisi delle classi dirigenti, sul risentimento verso chi ha gestito la redistribuzione della ricchezza al contrario nell'ultimo decennio di crisi, e sull’efficacia della narrazione di un “popolo” privo di specificità di classe e genere (ma di razza sicuramente bianca) contro un’èlite altrettanto priva di contenuto sociale. Un’èlite da sostituire semplicemente con un’altra, chiedendo una delega totale per il presunto “nuovo” solo perché contro il “vecchio”.

Come si vede dalle premesse, è proprio il “vecchio” la vera forza di questa alleanza giallo-verde. Sono le sue opposizioni che rischiano di non far altro che rafforzarla. Del resto questo Governo non era certo l’unico esito possibile del risultato elettorale del 4 marzo ed è stato fortemente voluto, prima ancora che dai due contraenti, dai grandi sconfitti. Coloro che adesso vorrebbero capitanare “l’opposizione responsabile”, e che per decenni ci hanno detto che si doveva fare qualsiasi cosa pur di battere le destre (compreso assumerne ogni contenuto), stavolta temevano solo il ritorno repentino alle urne che avrebbe visto un sostanziale ballottaggio Cinque stelle-Lega e un probabile ulteriore crollo di Pd e Forza Italia. E allora niente di meglio che stare a guardare e sperare che si logorino da soli.

Noi non abbiamo alcuna voglia di stare a guardare. E non ci interessa un’opposizione che si allei con chi è schiacciato sui parametri dell’austerity. Ma non basterà nemmeno essere semplicemente più radicali.
La sensazione è che non riusciremo a scalfire l’attuale consenso popolare di questo Governo solo evidenziandone i tratti più compiutamente reazionari e fascisti, cosa che pure ovviamente andrà fatta con forza. Così come non avrà molta efficacia elencare i contenuti parzialmente o del tutto “traditi” dai Cinque stelle, quelli che avevano creato qualche illusione a sinistra. Non basterà denunciare la parzialità del Reddito di cittadinanza o la sua funzionalità ad accettare qualsiasi lavoro, né l’insufficiente modifica della riforma Fornero.

La sensazione è che per metterci all’opposizione di questo Governo si debba prima di tutto ricostruire una contro-narrazione della realtà, nuove forme di democrazia diretta ed efficaci conflitti sociali. Dobbiamo incrinare l’idea di un “popolo” indistinto e rancoroso, incline alla guerra tra poveri, per rinnovare una lettura di classe della società, dove lavoratrici, precari e disoccupati sono in irriducibile conflitto con chi beneficerà della Flat tax. Dove donne, migranti e studenti non hanno gli stessi interessi di chi possiede capitali produttivi e finanziari, e mette a profitto il cosiddetto “made in Italy”.
Il conflitto con le èlite agito negando le fratture di classe porta facilmente alla guerra tra poveri, in cui i migranti, i precari, i rom e le donne hanno spesso e volentieri la peggio. L’opposizione a questo Governo deve allora scommettere sulla sua contraddizione sociale, saper contrapporre alla guerra tra poveri credibili pratiche mutualistiche e solidali, e allo stesso tempo saper fare conflitto sociale e costruire forme di democrazia radicalmente diverse da quelle dei vecchi arnesi della sinistra politica ormai sconfitta.

Il quadro politico è in subbuglio, le classi dirigenti sono in evidente confusione, le dinamiche di consenso sono indubbiamente volatili e i soggetti politici che vediamo oggi potrebbero presto scomporsi o ricomporsi. Attraversare una fase di crisi epocale come questa senza provare ad affrontarne i nodi di fondo, a ricostruire delle basi sociali, dei conflitti reali, dei processi di autorganizzazione e di nuova politicizzazione, sarebbe quasi come prepararsi alla prossima fase sul divano mangiando pop-corn.