Roma, è urgente che a decidere sia la città!

Mon, 11/04/2016 - 10:18
di
Communia Roma

Nel contesto di un nuovo corso della politica romana, lanciato con il governo commissariale della città e fondato sul ricatto di un debito che impone tagli ai servizi e svendita del patrimonio pubblico, è necessario che un movimento dal basso inizi a porre pubblicamente la domanda su chi decide a Roma.

Con questo spirito, sabato 9 aprile si sono svolte, in sei municipi di Roma, delle manifestazioni e delle assemblee in continuità con il grande corteo dello scorso 19 marzo.
Si è però andati oltre al 19: la parola d’ordine non era più “Roma non si vende”, ma “Decide la città”, a significare che il percorso, nato in difesa dei servizi e del patrimonio pubblico e delle realtà autogestite e solidali, vuole ora acquisire una dimensione di proposta politica complessiva.
Come Communia Roma abbiamo partecipato all’iniziativa territoriale che si è svolta a San Lorenzo, quartiere esemplare di cosa sta accadendo nel resto della città.
Il nostro quartiere, al pari di altre zone di Roma, è al centro di un processo di trasformazione le cui origini non sono dovute al caso, ma a precise scelte politiche intraprese negli ultimi anni.

Il debito è il dispositivo centrale attorno a cui si sviluppano queste politiche.
In Grecia come a Roma, il meccanismo è sempre lo stesso: al fine di ripagare un debito smisurato e illegittimo (contratto sulla testa dei cittadini per far arricchire pochi, basti pensare ai milioni di interessi annuali pagati alle banche, tra l’altro principale voce della spesa pubblica nazionale), vengono pesantemente limitati servizi e spazi di decisione democratica. Così, ogni scelta politica deve essere fatta nell’ottica del rientro del debito: se si interviene sui servizi, per esempio, non lo si fa certo per potenziarli, ma per risparmiare, tagliandoli o esternalizzandoli ai privati.
Lo stesso principio spiega l’entusiasmo con cui il comune rilascia a destra e a sinistra permessi a costruire, contribuendo alla cementificazione della città: gli oneri di urbanizzazione (quei soldi che i costruttori versano alle casse comunali in cambio delle licenze), non più vincolati a opere di risanamento e manutenzione sul territorio a causa della riforma Bassanini del 2001, vengono utilizzati per fare cassa e ripagare il debito.

Lo zelo con cui vengono autorizzate costruzioni di ogni sorta, è tale che a volte questi permessi non sono regolari.
La triste vicenda delle ex Fonderie Bastianelli, da cui ci hanno sgomberato nell’agosto 2013 per demolirle fino alle fondamenta per permettere la costruzione di due palazzine di appartamenti di lusso, poi bloccata dal Tar, sta lì a dimostrarcelo.
Più recenti, ma non meno gravi, sono le storie del Parco dei Galli e della particella 26, il primo un giardino pubblico riconquistato dai cittadini e dalle cittadine di San Lorenzo, l’altro uno spazio di cui il quartiere è stato illegittimamente privato, entrambi oggetto dell’ennesimo progetto di speculazione.
Ancora il debito si trova al centro della recente offensiva ai danni del patrimonio pubblico e del suo utilizzo sociale.
Poiché i conti sono in rosso, dice la Corte dei conti, il comune deve rientrare in possesso del patrimonio pubblico per “valorizzarlo”, ossia affittarlo o venderlo al migliore offerente per alzare qualche soldo, con tanti cari saluti alla loro utilità sociale.
E così una realtà come il Grande Cocomero, che da oltre vent’anni lavora con bambini e ragazzi in situazione di disagio senza nessun finanziamento pubblico, e che collabora con il dipartimento di neuropsichiatria infantile, si vede consegnare una lettera con cui il dipartimento del patrimonio del comune chiede ai volontari la discreta somma di 116mila euro.
Oppure la Palestra Popolare, che garantisce la possibilità a tutti e a tutte di accedere allo sport a prezzi popolari, viene invitata ad abbandonare i suoi spazi, negli stessi giorni in cui un comitato di affaristi – dopo aver imboscato i propri soldi sporchi a Panama – vuole indebitare ulteriormente Roma sostenendone la sciagurata candidatura alle Olimpiadi.

A partire dal commissariamento della città, questo processo di privatizzazione ha subito un’accelerazione. Ma al di là dei prevedibili attacchi alla esperienze autogestite e ribelli (come Esc, che si trova a San Lorenzo ed è uno dei cuori pulsanti della politica romana, ma anche esperienze storiche come il Corto Circuito e La Torre, o più recenti come Puzzle), la portata di questo attacco ha raggiunto livelli paradossali. Citiamo alcuni casi, a titolo di esempio.
Il tentativo di sgombero – fallito grazie alla determinazione dei solidali accorsi da tutta Roma – dell’aula studio del centro sociale Auro e Marco a Spinaceto: a che serve, si sarà chiesto Tronca, un’aula studio nel quartiere periferico di Spinaceto, quando i ragazzi possono passare il loro tempo al bar o al punto scommesse sotto casa?
Il tentativo di sgombero, anch’esso fallito, del Sindacato degli Invalidi e dei Disabili a Tor Bella Monaca, per cui ogni commento è superfluo.
Il triste sgombero dell’associazione Viva la vita, che lavora con i malati di Sla e che ha sempre pagato l’affitto.
Last but not least, la minaccia di sgombero della sede del Pd di via dei Giubbonari, riedizione postmoderna della dantesca legge del contrappasso.

Occorre però aver chiaro che questa situazione non è una fase passeggera, ma l’inizio di un nuovo corso della politica romana.
Come risulta evidente dal suo straordinario attivismo, il ruolo del commissario Tronca non è quello di traghettare la città verso le prossime elezioni; piuttosto, sta tracciando il solco all’interno del quale dovranno muoversi la prossima amministrazione comunale e tutti coloro che non avranno la forza di sottrarsi al tallone di ferro del debito di Roma.
Senza mettere in discussione il pagamento del debito, che, ad oggi, è destinato a protrarsi fino al 2048, i margini di azione del governo della città sono pressoché nulli; le giunte potranno tutt’al più decidere cosa tagliare o vendere prima e cosa dopo, o ingegnarsi a trovare modi sempre nuovi per far coprire ai cittadini i buchi dei servizi o per dare la colpa agli "zingari".

Non stupisce quindi la totale assenza di qualsiasi contenuto politico in questa infelice campagna elettorale: senza inceppare il dispositivo del debito, non è possibile alcuna prospettiva credibile di uscita dalla crisi. Questo però non deve spingere all’apatia e al fatalismo.
Molte esperienze in Europa ci dimostrano che mettere in discussione il debito è possibile e necessario per immaginare una nuova politica, su tutte i governi delle città ribelli spagnole, come Barcellona o Cadice. Ma anche esperienze di movimento come ad esempio quella di Massa Critica a Napoli, dimostrano che percorsi dal basso nelle città possono sviluppare una forza notevole.
D’altronde, la crisi migratoria e la grandiosa sollevazione nelle piazze francesi di questi giorni evidenziano tutti i limiti delle politiche di austerity e la necessità di rilanciare una nuova politica che, partendo dalle parole d’ordine del poder popular e del rifiuto del debito, sia in grado di dare una risposta alle grandi contraddizioni del nostro tempo, affrontando i temi del lavoro, delle migrazioni e dell’ambiente.

I governi, le banche centrali e gli istituti finanziari non sono in grado di risolvere questi problemi, anzi li aggravano e li rendono più drammatici. È ora che la risposta arrivi dal basso.
Il cammino è appena iniziato, ed è tutto in salita; tuttavia a Roma, il 19 marzo e il 9 aprile sono stati mossi i primi, piccoli, passi in avanti.
È finalmente arrivato il momento di domandarci: chi deve decidere a Roma? Ed è anche il momento di rispondere: decide la città!