Repressione a Palermo. Sui 17 ci mettiamo la firma!

Thu, 19/03/2015 - 12:19
di
Sportello Legale Communia Roma

Il 10 marzo 2015 sono state notificate ai militanti dei centri social Anomalia e Ex Carcere di Palermo, 17 ordinanze applicative della misura cautelare dell’obbligo di firma, per il reato di associazione a delinquere previsto dall’art. 416 del codice penale, al quale vengono ricollegati una serie di reati satellite.

In particolare si afferma nel teorema accusatorio come dietro i cortei, le assemblee e in generale le mobilitazioni avvenute a partire dal 2010 (l’anno della riforma Gelmini e della compravendita di voti in parlamento) ci fosse una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla turbativa dell’ordine pubblico.

L’inchiesta giudiziaria in atto, ipotizza che i centri sociali palermitani “Spazio anomalia” ed “Ex Karcere”, si siano organizzati al fine di commettere reati contro l’ordine pubblico durante le manifestazioni, condotte poste in essere dagli indagati che avrebbero travalicato i limiti della convivenza civile.

I 17 indagati, militanti politici che da tempo animano le lotte palermitane, vengono accusati di avere "incanalato, con atti di violenza preorganizzata, la legittima protesta sociale, per veicolare la tensione di piazza in un circuito criminoso". Gli attivisti si sarebbero costituiti in un gruppo organizzato sotto la sigla "Spazio Anomalia/Ex Karcere", "al fine di commettere delitti contro l'ordine pubblico, l'incolumità pubblica, il patrimonio e la persona", tra i quali l'occupazione abusiva di edifici pubblici, danneggiamento aggravato, di deturpamento e imbrattamento di beni immobili, oltraggio a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali in occasione di manifestazioni non autorizzate.

Il primo salto di qualità repressivo e accusatorio è che l’accusa mossa non riguarda la radicalità di questa o quella azione politica (per alcune delle quali paradosso vuole si siano conclusi i relativi processi con assoluzione degli imputati), ma l’idea stessa di riunirsi e organizzarsi in gruppo per mobilitarsi.
Associarsi politicamente, significa per la magistratura inquirente palermitana, riprodurre la dinamica propria della criminalità organizzata, che si associa al fine di commettere reati, utilizzando la forza del vincolo associativo al fine di trarre profitto.
I tratti paternalistici e giuridicamente grotteschi dell’ordinanza emergono dal giudizio della magistratura, secondo cui gli indagati non vengono considerati sovversivi ma vi è il concreto rischio che… potrebbero diventarlo!

I fatti che – a distanza di anni – hanno portato all’emanazione delle predette ordinanze riguardano tutti il movimento studentesco dell’Onda che, tra il 2008 e il 2010, ha rappresentato l’unico argine sociale e l’ultima mobilitazione di massa contro le politiche, portate avanti dal Governo Berlusconi, tanto sull’istruzione che sulla politica nazionale generale.

Oltre alle interminabili giornate di manifestazioni, all’occupazione delle scuole e delle università, alle iniziative politiche e culturali, all’occupazione simbolica dei monumenti, alla giornata del 14 dicembre 2010, l’Onda ha lasciato in eredità a molti dei suoi partecipanti anche denunce e procedimenti penali, promossi da una magistratura scatenata che da Genova 2001 ha inaugurato una nuova stagione di repressione del conflitto sociale!
L’operazione nei confronti dei compagni palermitani s’innesta proprio in questo filone.

Ancora una volta a essere utilizzato è il reato associativo ma, a differenza di altri ben noti procedimenti, non viene scomodato l’ormai famigerato articolo 270 bis del codice penale, vale a dire l’associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico ma in maniera quasi inedita, per le condotte e i fatti contestati, l’associazione a delinquere semplice.
Le ragioni per le quali la magistratura si rivolge alla categoria dei reati associativi è ben evidente.
Il nostro ordinamento, se da un lato prevede come diritto costituzionalmente garantito la possibilità di associarsi liberamente e lecitamente, dall’altro punisce con particolare forza gli accordi per fini delittuosi, per il sol fatto dell’essersi associati. Di conseguenza, contestando il reato associativo diventa possibile applicare misure cautelari, ovviare al problema della prescrizione allungandone i tempi, utilizzare strumenti di ricerca della prova più penetranti come le intercettazioni, allungare i tempi d’indagine. Tutte misure altrimenti non previste per reati come quelli contestati in questo caso ai militanti palermitani come manifestazione non autorizzata, travisamento, occupazione abusiva di edifici, interruzione di pubblico servizio (con esclusione ovviamente della resistenza a pubblico ufficiale e della devastazione e saccheggio).
Da tempo, parti del movimento si sono scagliate contro l’abuso del reato associativo ed in particolare del 270 bis, attraverso il quale Pm d’assalto hanno inventato veri e propri teoremi giudiziari, nella maggior parte dei casi terminati con assoluzioni piene, ma che nelle more del processo hanno portato ad anni di carcerazione preventiva, aventi il solo scopo di intimidire, senza riuscirci, e allontanare dai proprio ambienti di lotta chi ne veniva colpito.

Nel caso di Palermo, evidentemente, non era possibile ricorrere all’associazione eversiva ed ecco così tirare fuori dal cilindro l’associazione a delinquere, probabilmente copiata dal fallimentare tentativo dei PM romani nei confronti dei movimenti di lotta per la casa.
Basta analizzare un minimo le caratteristiche del reato in questione per capire come oggetto della repressione sia proprio l’agire politico dei due collettivi palermitani.
Secondo la giurisprudenza, per esserci un’associazione serve: un programma criminoso, un vincolo associativo e una struttura organizzativa, anche se con articolazioni non complesse, e tali elementi devono sussistere ed essere identificati ben prima che si realizzino i singoli reati che anzi, al momento della formazione del sodalizio, sfuggono alla percezione ideativa spazio-temporale dei medesimi associati.
La figura del reato associativo, così come concepito, è un istituto rispondente a una finalità squisitamente repressiva, contrassegnata da una duplice funzione: agire a prevenzione della reiterazione del programma criminoso e quella di aggravare il carico sanzionatorio nei confronti di chi, associatosi, realizza i reati oggetto del programma.
Se questi sono gli elementi necessari, ad essere criminalizzata è l’intera attività politica svolta in questi anni a Palermo dai compagni sotto misura. Ogni assemblea, corteo o iniziativa viene ricondotta ad una logica criminale poiché espressione del programma dell’associazione volto a turbare l’ordine pubblico. Ricorrendo all’associazione a delinquere, si vogliono azzerare tutte le possibilità organizzative che non siano riconducibili alla politica istituzionale.
Essenzialmente si sta sostenendo come le forme del conflitto sociale si manifestino sempre e comunque attraverso la commissione di reati.
Ogni azione per il diritto allo studio, all’abitare, al lavoro, in difesa dei beni comuni, per i diritti dei soggetti LGBTQ, contro la guerra, diventa un reato.
Si privano in tal modo le lotte della loro legittimità, se ne vuole limitare l’agibilità politica e privarle di uno dei loro scopi ossia creare legalità future urtando quelle presenti.
In un simile periodo di crisi economica e sociale è evidente quanto sia sentita la necessità, per gli apparati repressivi dello Stato, di dotarsi di meccanismi per criminalizzare il conflitto sociale in quanto tale.

Per lo Stato neoliberista in crisi perenne, il mantenimento dell’ordine pubblico è sempre più una priorità che la magistratura deve garantire, con ogni mezzo necessario, come l’utilizzo ossessivo d’imputazioni sproporzionate rispetto ai fatti o semplicemente assurde rispetto alle condotte di riferimento, come in questo caso.
Le pulsioni legalitarie che tanto peso hanno avuto anche a sinistra (e nella sinistra siciliana soprattutto) perdono qualsiasi senso di fronte alle assurdità del sistema Italia: mentre ci ritroviamo a parlare di associazione a delinquere per chi ogni giorno lotta contro la logica del profitto, nel cuore dello Stato e dell’amministrazione pubblica a qualsiasi latitudine esplodono mese dopo mese scandali paramafiosi ed emergono tutti gli elementi di ben più redditizie associazioni criminose
Per chi, come noi e come decine di migliaia di persone in tutta Italia, ha compiuto spesso le stesse scelte e le stesse azioni dei compagni e delle compagne palermitani, a partire proprio da quel 2010 e da quelle piazze che in forme uniche abbiamo riempito, esprimendo la nostra rabbia contro la crisi e chi la governava, questo procedimento è l’ennesima occasione per dimostrare complicità e solidarietà.
Ma non basta.
Ci piacerebbe pensare che il loro piano fallirà, che in qualche modo non ci avranno mai, ma di certo siamo consapevoli della sproporzione di forze e di strumenti e per questo riteniamo necessario, nell’esprimere la nostra solidarietà, aprire una riflessione ed un campo di azione comune, per resistere e colpire questo nemico di sempre, sapendo che solo la costruzione costante di pratiche autorganizzate e di lotta costituisce il primo e più solido argine alla barbarie crescente.

Sui 17 anche #noi ci mettiamo la firma!
Solidarietà alle compagne e ai compagni di Palermo!

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