Preti, fascisti e astensionismo: un’analisi delle strane elezioni di Ostia

Tue, 07/11/2017 - 11:01
di
Leonardo Bianchi (da Vice)*

Ostia è il quartiere di Roma sul mare, quello delle domeniche in spiaggia, ma allo stesso tempo è distante da Roma — a livello non tanto geografico, quanto sociale e culturale. Per i non romani, Ostia è anche altro: l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, i film di Claudio Caligari come Amore Tossico e Non essere cattivo, e uno degli sfondi degli intrecci criminali di Suburra.

Giornalisticamente, invece, Ostia è diventata sia la terra del degrado (che sembra addirittura "uscito da una guerra") sia una terra di criminalità organizzata; nonché il teatro di una delle elezioni locali più attese e particolari degli ultimi tempi, al punto tale da attirare l'attenzione di testate straniere quali El Pais, Mediapart e BuzzFeed. Gli ingredienti, del resto, c'erano tutti: un municipio a guida PD commissariato per infiltrazioni mafiose da due anni; una nutrita schiera di partiti e di aspiranti consiglieri (quasi 400, per soli 24 posti); un prete a capo di una lista civica; e l'estrema destra data in forte ascesa da tutti i sondaggi.

I risultati di ieri sera — ma arrivati solo poche ore fa, per un ritardo nello spoglio — hanno visto il MoVimento 5 Stelle e la sua candidata Giuliana Di Pillo al 30 percento, seguita da Monica Picca del centrodestra unito al 26; saranno loro due a sfidarsi al ballottaggio. Con il 13 percento dei voti il Partito Democratico è il terzo partito, mentre i "fascisti del terzo millennio" di CasaPound sono arrivati ad un ragguardevole 9 percento. Quinto, con l'8 percento, è arrivato il sacerdote (autosospesosi a divinis) Francesco De Donno con la lista Laboratorio Civico X.

A ogni modo, pur essendo locali, le elezioni del municipio X e di Ostia (che in tutto arrivano a ben 230mila residenti) hanno avuto caratteristiche tali da assumere la qualità di "laboratorio politico," utile a vedere cosa potrà poi succedere su scala nazionale. Per questo, dunque, ho messo in fila i punti più significativi emersi dal voto di ieri. Anzitutto, non si può non partire dall'aspetto più sconvolgente, ossia che

A votare non è andato praticamente nessuno

L'affluenza definitiva è chiarissima: appena il 36 percento dell'elettorato, cioè 67.125 cittadini iscritti alle liste, calato di circa 20 punti rispetto alle comunali del 2016 (dove i cittadini del municipio potevano scegliere solo il candidato sindaco).

Probabilmente il maltempo ha inciso sulle operazioni di voto — con alcuni seggi allagati o al buio — ma non è una spiegazione sufficiente. Un dato del genere, oltre a porre seri dubbi sulla rappresentatività degli eletti, evidenzia l'impatto profondo che ha avuto il commissariamento del 2015 sulla popolazione.

Già durante la campagna elettorale, infatti, diversi cittadini intervistati hanno manifestato indifferenza e sconforto rispetto a questa tornata. E più in generale — come ha scritto il ricercatore Stefano Portelli, autore di una tesi di dottorato sui quartieri di Nuova Ostia e Idroscalo — molti ostiensi hanno considerato il commissariamento "un rituale di capro espiatorio" dove "una parte del corpo sociale viene invistata dal male che affligge tutta la società, un Municipio viene espulso simbolicamente dalla città, relegato alla cronaca nera, sospeso dalla comunità democratica per purificare tutto il resto." Insomma, secondo Portelli gli ostiensi se la sarebbero presa non solo con il municipio commissariato, ma con chi ha commissariato un municipio che, a loro dire, non sarebbe poi tanto diverso da molti altri.

A questo proposito, dice sempre il ricercatore, per la maggior parte dei cittadini di Ostia "il commissariamento finora ha rappresentato, oltre allo stigma, soprattutto il blocco dell'erogazione di contributi al sociale, con l'interruzione di servizi fondamentali come il trasporto disabili, l'assegnazione delle palestre comunali," e altro. Le "strutture corrotte e clientelari" che si pretendeva di combattere, invece, non sono state intaccate più di tanto; al contrario, a uscirne indeboliti sono stati stati i territori, che ieri hanno risposto con un rifiuto generalizzato.

Il partito democratico ha subito un inevitabile tracollo, ma poteva andare peggio; il centrodestra unito, invece, ha ancora qualcosa da dire

Viste le premesse, a farne le spese è stato — inevitabilmente — il PD. Lo scorso luglio il precedente minisindaco del municipio X, Andrea Tassone, è stato condannato in primo grado a cinque anni di reclusione. Ieri notte, parlando in diretta alla maratona di Enrico Mentana su La7, Roberto Giachetti l'ha riconosciuto onestamente: "Ostia per noi è una missione impossibile."

A tal proposito, per cercare di limitare i danni, il partito ha scelto come agnello sacrificale Athos De Luca—un candidato di 70 anni con una lunga esperienza nella politica romana, ma che non abita nemmeno nel municipio. Fiutando la pessima aria (molto simile a quella che si respira in Sicilia) Matteo Renzi e altri leader del partito si sono guardati bene dal farsi vedere a Ostia. Nonostante questo, il 13 percento è un risultato tuttosommato accettabile.

Chi invece può ritenersi abbastanza soddisfatto dal voto è il centrodestra che, a differenza delle amministrative del 2016, è riuscito ad aggreggarsi per sostenere Monica Picca, coordinatrice locale di Fratelli d'Italia. Anche in questo caso, come in Sicilia, si è trattato di un banco di prova per la tenuta della coalizione in vista delle prossime elezioni.

Il Movimento 5 Stelle, per ora, non ha replicato il successo dello scorso anno

Se il Partito Democratico è a pezzi e il centrodestra unito raccoglie consensi, il MoVimento 5 Stelle può esultare solo fino a un certo punto. Lo scorso anno, la lista aveva incassato il 44 percento e Virginia Raggi addirittura il 76 percento. Oggi si parla di 14 punti percentuali in meno.

Che non si sarebbe replicato quel successo travolgente lo si era capito già nei mesi precedenti al voto, quando l'immagine di presidente in pectore di Giuliana Di Pillo — scelta da Virginia Raggi come delegata del Campidoglio al litorale — ha iniziato a incrinarsi. La senatrice Paola Taverna, ad esempio, aveva parlato della necessità di "più impegno" per tutti, anche perché il voto del municipio X rappresentava un banco di prova di mezzo termine per la giunta grillina.

Secondo un articolo dell'Huffington Post, nel M5S romano si era ormai presa coscienza del fatto che "a prescindere da torti, ragioni o responsabilità pregresse, 17 mesi sono un lasso di tempo sufficiente per instillare, nell'elettorato, la percezione di M5S capitolino come di un soggetto di governo," e dunque privo di quell'allure di rinnovamento che aveva sospinto alla vittoria Virginia Raggi. I risultati di ieri, insomma, potrebbero essere un primo indicatore di questa tendenza.

Casapound entra nelle istituzioni locali dopo una campagna elettorale in stile Alba dorata

Giusti a questo punto, è inutile nasconderselo: se le elezioni a Ostia sono state prese in considerazione anche dalla stampa estera, è perché CasaPound rischiava di fare un buon risultato ed essere decisiva per il ballottaggio. Cosa che, come suggerivano i sondaggi, si è puntualmente avverata.

Con il 9 percento per il candidato Luca Marsella e un consigliere eletto, in aumento di 8 punti rispetto alle scorse elezioni municipali, la strategia dei neofascisti ha pagato—e si tratta di una strategia che parte da lontano, contrassegnata da pratiche messe in atto già ai tempi della rivolta delle periferie romane del 2014.

L'ispirazione al modello di Alba Dorata — il partito neonazista greco con cui CPI intrattiene proficui rapporti — è palese: mascheramenti dietro sedicenti comitati di quartiere (ne avevo parlato in questo vecchio articolo), ronde in spiaggia, blitz contro gli abusivi a favore di diretta Facebook, azioni contro i candidati ritenuti più pericolosi (come Francesco De Donno), consegna di pacchi alimentari (rigorosamente "solo agli italiani"), "presidio" di territori difficili come Nuova Ostia, e così via.

Non sono mancate le accuse di violenza contro gli avversari politici (smentite a più riprese dal partito), e le polemiche per quella specie di endorsement su Facebook di Roberto Spada — membro incensurato del clan Spada, che secondo gli inquirenti avrebbe preso "il controllo di una parte del litorale attraverso il racket, l'usura, lo spaccio e violente intimidazioni." Qualche tempo fa Roberto Spada era stato ritratto insieme a Marsella, che tuttavia non si è mai sentito in imbarazzo per quelle foto.

Oggi, il candidato di CPI a Ostia ha promesso che "la lotta al degrado sarà il mio primo impegno da consigliere, vogliamo chiudere i centri d'accoglienza e sconfiggere i mercatini rom abusivi." Simone Di Stefano ha mostrato tutta la sua soddisfazione, dicendo che "a Ostia abbiamo ottenuto una vittoria senza precedenti che ci proietta diritti in Parlamento."

Nel vuoto lasciato dai partiti, insomma, CPI è riuscita a infilarsi con queste modalità. Resta da vedere se quella di Di Stefano resterà una sparata propagandistica, o se i "fascisti del terzo millennio" riusciranno a replicare altrove le avanzate di Bolzano, Lucca e — appunto — Ostia.

Fonte: Vice