Maxi processo No Tav: una lezione da non dimenticare

Thu, 29/01/2015 - 15:12
di
Salvatore Corizzo

Il tribunale di Torino, per voce del giudice Bosio, ha condannato 47 dei 53 No Tav a più di 140 anni complessivi di galera e ad un risarcimento che supera il centinaio di migliaia di euro, per i fatti del 27 giugno e del 3 luglio 2011. In tutto sono 6 gli assolti.
Confermate quindi le accuse per i reati di lesioni, danneggiamento e violenza con minaccia a pubblico ufficiale e vengono riconosciute le aggravanti per utilizzo di armi, lancio di corpi contundenti, travisamento, lancio di pietre, bombe carta e raggi di segnalazione. Le pene sono più alte per i fatti del 3 luglio rispetto a quelle del 27 giugno.
Questa sentenza conferma per molti dei No Tav le richieste dell’accusa e per altri la pena addirittura supera quella richiesta dalla Procura.
Le condanne emesse dal tribunale di Torino assumono un valore che va oltre l’astratta dogmatica procedurale; si tratta di una sentenza politica, una lezione, un monito alle generazioni future: “se ti ribelli, se ti metti in mezzo agli interessi di quel pezzo di paese che detiene il potere politico e giudiziario, noi ti roviniamo”, non a caso, secondo W. Benjamin “il potere che conserva il diritto è quello che minaccia”.
Se si pensa che, in relazione ad un'altra opera estremamente invasiva e distruttiva come Expo, per il pilotaggio delle gare d’appalto sono state emesse condanne in primo grado che vanno dai tre anni e quattro mesi ai due anni e mezzo di reclusione, mentre, per lancio di oggetti sono state emesse condanne che hanno un massimo di quattro anni e sei mesi, ci si rende conto come l’esercizio della funzione giudiziaria non sia neutro.
Non bisogna meravigliarsi, la procedura penale (cosi come quella civile) non costituisce un esangue meccanismo tecnico indipendente dai valori; è il frutto di una visione della società, di un sistema di valori e interessi, e mai come in questa fase politica, la magistratura cerca di conseguire, attraverso la propria azione, obbiettivi funzionali ai disegni politici adottati dalle Istituzioni nazionali e sovranazionali, seppur con una apparente azione moralizzatrice e portatrice di valori etici ritenuti universali. Non a caso, il processo di Torino, appare funzionale all’attuazione di precise scelte politiche. Un processo, che degrada esso stesso a strumento repressivo.
Da questo punto di vista le vicende processuali No Tav, sono un vero e proprio “caso scuola”, che permette di approfondire il ruolo sempre più politico che sta assumendo la magistratura italiana per colmare il vuoto lasciato dalla crisi irreversibile del sistema dei partiti e delle istituzioni della rappresentanza e della politica.
Cosa è diritto e cosa non lo è, cosa è legittimo o illegittimo non viene definito dalla mediazione del conflitto sociale ma dalle sentenze dei palazzi di giustizia; ad esempio, proprio in relazione a quest’ultimo processo, la difesa di interessi legittimi di una comunità, si è trasformata in “sfogo di istinti primordiali”, e più in generale la vicenda No Tav è stata utilizzata per cancellare nella memoria storica del paese, il senso del conflitto sociale, della tutela dei diritti e dell’esercizio della democrazia dal basso e dell’autorganizzazione, sostituendola con l’immaginario dello scontro violento, della esigua minoranza contro gli interessi della maggioranza del paese, con l’antidemocratica imposizione dei pochi nei confronti dei molti.
In sostanza è in atto un cambio di paradigma: si passa dalla centralità della tutela dei diritti alla repressione nei confronti di chi contravviene alla legge, giusta o sbagliata che sia, portatrice di interessi collettivi o particolari, attuando l’odioso e antidemocratico detto “la legge è legge”.
Reagire contro l’ingiustizia e contro la negazione di diritti fondamentali messi a repentaglio da opere inutili o da egoismi di pochi, non può o non deve essere reato. Siamo tutti e tutte NoTav!