Il vero degrado è la speculazione. Riflessioni sull'abbandono dello Scalo di San Lorenzo.

Tue, 13/02/2018 - 12:04
di
Communia Roma

L’abbandono a Roma può essere rappresentato da tante fotografie.
Una tendopoli di fortuna lungo gli argini del Tevere, lo scheletro di una ex fabbrica sulla Tiburtina che qualcuno chiama casa perché è il meglio a cui può aspirare, il parchetto di San Basilio dove potere e criminalità sono sinonimi, un rudere demolito che lascia il vuoto in un angolo di San Lorenzo o un parco a Centocelle carico di rifiuti visibili ed invisibili.
Tanti scatti, un denominatore comune: la miseria nel senso letterale del termine, ossia l’assenza delle risorse minime necessarie ad una vita dignitosa. Dei luoghi così come di chi li abita.

Qualcuno ci costruisce sopra le sue fortune politiche chiamandolo “degrado” e dietro questo termine nasconde il suo servilismo, la sua pavidità. Perché se l’abbandono è responsabilità di chi fa mancare queste risorse più o meno volontariamente, di poteri a cui evidentemente non si ha voglia e coraggio di pestare i piedi, il “degrado” viceversa sposta questa responsabilità su chi l’assenza di risorse la vive e la subisce.
Le istituzioni che dovrebbero trovare soluzioni rispondono all’abbandono con le forze dell’ordine, deputate a ripulire i segni di un’acuta emergenza sociale, a spostare il problema un po’ più in la. Un po’ più in periferia, un po’ più lontano dalla città-vetrina, creando sacche ancor più mostruose e concentrate di marginalità sociale e disperazione.

L’abbandono come fotografia ha anche il suo negativo. Un negativo fatto di progetti architettonici scintillanti, pronti ad attirare investitori e creare nuovi posti di lavoro, quartieri periferici sorti a velocità e trame fitte e torbide, aree popolari investite da una rapida gentrificazione. Il negativo della miseria d’altronde non può che essere la ricchezza.
Progetti faraonici sbandierati con vanto ricordano costantemente, per chi se lo fosse scordato, che il problema non sono i soldi. Non lo sono mai stati.
Ma si tratta di una ricchezza lanciata ad una velocità tale da non poter certo fermarsi a contemplare bisogni, necessità, desideri degli abitanti. E spesso neanche la correttezza formale delle procedure di ottenimento dei permessi.

Così può capitare che il meccanismo si inceppa e viene costretto a rallentare o addirittura fermarsi, come abbiamo visto per le ex Fonderie Bastianelli, lasciando un cratere al centro di San Lorenzo al posto di uno spazio da noi recuperato proprio dall’abbandono. Ed è qui che anche questa fastidiosa fotografia-ricordo di tutte le distorsioni illogiche di un sistema basato unicamente sul libero mercato, può tornare estremamente utile.
Basta mettere le due opzioni in alternativa, quasi a rappresentare una provocatoria possibilità di scelta.
Preferite l’abbandono o farci guadagnare come meglio crediamo, anche se con un progetto privo di utilità sociale o addirittura dannoso? La risposta non è richiesta nell’immediato, solo dopo il periodo necessario a far esplodere un’esasperazione tale che renda migliore qualsiasi alternativa, che renda augurabile il meno peggio. L’abbandono, l’incuria, la crudezza delle situazioni di marginalità sociale più esasperata, spesso la criminalità. E come unica soluzione, la speculazione. Fare tabula rasa dei problemi, cancellare ogni cicatrice dal volto di un quadrante di città, seppellire tutte le contraddizioni di questa società sotto una colata di cemento. E farlo col volto pulito di chi sta “rigenerando” un territorio di fronte all’esasperazione dei cittadini dopo anni di abbandono.

Da questo circolo vizioso è volutamente rimossa la terza possibilità.
Quella in cui si interviene sull’abbandono recuperandolo, restituendogli risorse e dignità.
Quello che diviene a carico della cittadinanza perché privo di interesse per lo Stato.
Una terza possibilità ovviamente osteggiata perché improduttiva, colpevole di rimuovere possibilità di profitto con la sua stessa esistenza. Per speculatori e istituzioni al loro servizio è meglio l’abbandono funzionale al profitto futuro.

Questa terza possibilità è quella che con Communia abbiamo reso realtà, come tanti altri ed altre in questa città. I capannoni di Scalo San Lorenzo dove ora ha sede il nostro spazio di mutuo soccorso, aperto ogni giorno e attraversato da centinaia di persone, coi suoi servizi per italiani e migranti, un tempo erano pericolanti, abbandonati, invasi da rifiuti pericolosi i cui liquami finivano su strada. Abbandonati dall’immobiliare che ne detiene la proprietà, disinteressata a garantire una manutenzione minima per la sicurezza del circondario e intenzionata però a rivendicare tutti i suoi diritti e a manifestare pieno interesse per questi spazi qualora un domani dovesse ottenere i permessi per radere tutto al suolo e costruire gli ennesimi costosissimi palazzoni in un quartiere già fin troppo congestionato. Abbandonati dalle istituzioni che tagliano i servizi essenziali e delegano in toto al privato la gestione di queste situazioni, garantendo l’utilizzo delle forze dell’ordine per permettere l’operazione speculativa, ma del tutto latitanti nel richiamare i proprietari ai loro doveri verso la collettività fin quando questi non si presentino con moneta sonante. La nostra azione ha dimostrato nella prassi che c’è una terza via per valorizzare gli spazi abbandonati, una via che prevede la partecipazione attiva e collettiva di gruppi di cittadini, la cura comune degli spazi ed una gestione rivolta immediatamente al soddisfacimento dei bisogni sociali ormai non più garantiti, in tempi di crisi, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale.

Un altro esempio lampante di quanto fin qui esposto insiste ugualmente, ahìnoi, proprio su Scalo San Lorenzo. Parliamo della famigerata ex Dogana. Un pezzo di storia di Roma intorno a cui hanno preso forma i quartieri di San Lorenzo e del Pigneto. Bersaglio dei bombardamenti alleati del 19 Luglio 1943. Stazione da cui partirono i treni dei deportati di Roma verso i campi di concentramento e dove le formazioni partigiane romane si adoperarono con eroiche azioni di sabotaggio per salvare i propri concittadini da un terribile destino. Abbandonata dal pubblico (Cassa Depositi e Prestiti ne è proprietaria), subito ci si ingegna a capire come spremere più soldi possibili da questo pezzo di storia e coscienza collettiva di Roma. Prima doveva essere un centro commerciale. Ma l’operazione era fin troppo vergognosa. Allora, perché non regalarla tramite ripetute concessioni di dubbia legittimità ai “bravi rigeneratori urbani” che attualmente la utilizzano come fosse un bene privato? Ed ecco quel che è l’attuale Dogana, un “supermercato dell’immateriale”, tutto da consumare, dove poter vedere concerti, mostre, stelle, film e quant’altro. Basta aprire il portafogli, scegliere il prodotto e recarsi in cassa. Anche in questo caso, l’unica alternativa all’abbandono è il profitto, la moneta sonante, la delega al privato. Non la valorizzazione degli spazi con finalità sociali o la loro gestione da parte degli abitanti del quartiere.

La combinazione della situazione di abbandono pregressa che insiste sulla zona, in particolare in riferimento agli ex edifici artigianali tra via dei Lucani e via dello Scalo e dell’apertura dell’attuale Dogana, con tutto quel che questo comporta in una zona dove tutto si poteva immaginare tranne che una discoteca da migliaia di ingressi a sera che propone concerti anche 4/5 sere a settimana, crea una situazione di oggettivo disagio. Edifici pericolanti, un via vai continuo e poco sostenibile per una zona che di fatto è costituita da una strada notevolmente trafficata e null’altro, carenza dei servizi di pulizia dopo le grandi iniziative della Dogana, mancanza di manutenzione. E lo spaccio di eroina, un problema complessivo del quartiere di San Lorenzo, ma negli ultimi tempi diventato fin troppo pressante proprio sullo Scalo. Un problema che richiede risposte di ben altro ordine rispetto agli episodici interventi delle forze dell’ordine.

L’unica soluzione in prospettiva sarà esattamente quella fin qui richiamata. Se la Dogana crea troppi disagi, ben venga lo scintillante Student’s Hotel, studentato privato per studenti ricchi da costruire su uno spazio fin qui di proprietà pubblica. I cittadini saranno disposti ad ingoiare il rospo, pur di tornare ad una situazione più sostenibile. Se la situazione degli edifici artigianali della zona Scalo/Lucani è rischiosa in termini di stabilità strutturale e di sicurezza delle persone, ben venga che gli stessi proprietari che fino a ieri hanno lasciato che le loro proprietà franassero su strada o che vi si accumulassero rifiuti pericolosi di ogni genere, radano tutto al suolo e costruiscano appartamenti da vendere a costi esorbitanti. Sempre meglio che le baracche pericolanti di oggi.

Abbiamo deciso di non poter rimanere fermi a guardare, indifferenti a tutto ciò che succede appena fuori la soglia del nostro spazio sociale ed al disagio più volte manifestatoci da chi vive nella zona. Con umiltà e buona volontà, estremamente consapevoli di muoverci su un sentiero impervio e ricco di contraddizioni, soprattutto per chi il mondo lo guarda sempre da sinistra e dal basso, abbiamo deciso di prendere parola e di passare all’azione. Urge un discorso di sinistra sul problema fin qui posto, ampiamente declinato in termini di “degrado”, e aggredito in maniera estensiva dalla destra riducendo il tutto alla guerra ai poveri, sia nei termini espliciti delle “ronde per la sicurezza” che in termini meno chiari, tramite l’azione di comitati di cittadini che, consapevolmente o meno, per volontà o per ingenuità, non fanno altro che muoversi secondo la logica dell’unico discorso pubblicamente disponibile. Che è, appunto, di destra.

Per questo a breve lanceremo, insieme con le reti solidali, antirazziste ed antifasciste del territorio, una giornata di riqualificazione della zona dello Scalo di San Lorenzo. Contro il discorso reazionario sul “degrado” che punta alla normalizzazione dello spazio urbano ed a rendere le città grigie, asettiche, mute, a cancellar via i problemi con una spugnetta. Per ribadire che l’abbandono dei nostri territori è funzionale alla speculazione e spesso volutamente diretto dagli speculatori stessi. E che i nemici sono gli speculatori, non gli ultimi. Per affermare che mentre si devono richiamare le istituzioni pubbliche a preoccuparsi della città e dei suoi bisogni, ancor prima che dei debiti contratti con qualche banchiere, non si può star fermi e lasciare a qualcun altro l’esclusiva dell’iniziativa sui problemi immanenti dello spazio urbano per la mancata volontà di maneggiare contraddizioni che risultano di difficile risoluzione nell’immediato. Perché queste contraddizioni sono esattamente quelle su cui per troppo tempo si è lasciata una prateria su cui costruire discorso pubblico alla peggior destra xenofoba.

Con umiltà e determinazione, proveremo a dimostrare che si può riqualificare un territorio senza venderlo al miglior offerente, e senza ricadere nel delirio securitario delle destre e di chi crede che la complessità della crisi sociale in cui sono immerse le nostre città si possa risolvere con una spugnetta.