Il reddito di cittadinanza a 5Stelle: vivi da povero, consuma da povero... muori da povero

Mon, 15/10/2018 - 10:59
di
Big Bill Haywood

Tanto è stato già scritto in merito alla proposta di reddito di “cittadinanza” avanzato dal M5S. Nelle ultime settimane ci siamo dovuti sorbire a “reti unificate” il sorriso sornione di Luigi Di Maio mentre tesseva le lodi di tale misura economica, descrivendola come la medicina che cancellerà i mali della precarietà e dello sfruttamento in questo paese.

Ma, al di là della proposta concreta e della potenziale efficacia, ciò che risulta davvero interessante è l’impianto ideologico che sottende alla proposta di reddito in quanto, da un’attenta lettura, è possibile rivelare come il M5S intende il rapporto tra governati e governanti.

In merito alla proposta di reddito avanzata dai 5S, uno dei suoi aspetti più controversi è la possibilità di spendere il credito erogato dallo Stato solo per acquisti definiti “morali”, tra i quali rientrano esclusivamente beni di prima necessità (acqua, pasta, sale, latte, pane ecc..); di conseguenza, non è possibile utilizzare il reddito di cittadinanza per spese a scopo “ludico” – e non si parla solo di sigarette, ma di qualsiasi spesa che esula dal criterio della sopravvivenza e sussistenza. In tal senso, è emblematica la riposta data da un economista vicino ai 5S, che in un talk show faceva notare come fosse assolutamente giusto che un percettore del reddito non potesse utilizzare quei soldi per un viaggio all’estero, in quanto “se può permettersi di farsi un viaggio, non è così tanto povero...”.

Così come, per poter mantenere il diritto alla percezione del reddito, è necessario garantire 8 ore settimanali di lavoro, svolgere corsi di formazione e cercare lavoro quotidianamente per almeno 2 ore. Insomma, è evidente che con il reddito di cittadinanza si vuole provare a disciplinare ed educare una fetta di popolazione alla povertà (come destino ineluttabile), alla riconoscenza (attraverso l’erogazione del reddito seppur vincolato ad un certo tipo di consumi) e alla obbedienza (attraverso l’obbligo di garantire ore di lavoro gratis e autosfruttamento a beneficio della collettività).

Ad una attenta analisi risulta assolutamente pacifico che l’intenzione del M5S (ma anche della Lega) è quella di costruire dei dispositivi normativi in grado di costruire un rapporto binario con il proprio “popolo”, fondato da un lato su una sorta di educazione alla vita, grazie all’introduzione di una serie di concetti ideologici e morali (difesa della vita, della famiglia tradizionale, elogio del pauperismo, orgoglio della nazione, ecc...), dall’altro sulla costruzione di un rapporto di empatia e fiducia, nonché di disciplinamento e obbedienza, tra i leader di governo e parte della popolazione.

Da questo punto di vista sembra che il M5S si ispiri alla costruzione di una sorta di Stato Etico “fuori tempo massimo”. Vale a dire uno Stato in grado di riaffermare l’unità della “famiglia” (intesa come il sovrano che si cura dei suoi sudditi) aldilà della dispersione reale della società civile. Come dei “piccoli Hegel”, Di Maio, Salvini e Co. puntano ad un’assoluta supremazia delle leggi sulla morale: sono le leggi (o i provvedimenti legislativi tout court) a fondare la morale, che a sua volta diviene collante tra la popolazione e il “sovrano”.
Inoltre, avendo consapevolezza di sé come totalità etica, “Lo Stato” immaginato da Di Maio e Salvini non riconosce al di sopra di sé nessun’altra autorità e la guerra diventa uno strumento necessario per riaffermare il proprio diritto, per difendere la propria sicurezza (la guerra ai migranti o le pulsioni sovraniste cosa altro sarebbero altrimenti?).

Quindi, misure come il reddito di cittadinanza non fanno altro che puntare a questa unità indissolubile tra un popolo indistinto e il suo (suoi) pater familias, i quali si occupano della sua educazione e benessere in cambio di riconoscenza, fiducia e obbedienza. Inoltre, tale meccanismo non va circoscritto alla proposta di reddito, ma riguarda tutte le disposizioni legislative, le boutade mediatiche e la propaganda online che il governo sta mettendo in campo dal 4 marzo in poi.

Per concludere, è evidente che la proposta di reddito è assolutamente problematica e pericolosa, in quanto, come già detto, punta a saldare una alleanza tra il governo e i settori subalterni volta a pacificare e a rendere innocui soggetti che potenzialmente potrebbero porsi in un’ottica antagonista e conflittuale col
governo gialloverde.

Come sabotare tutto questo? Quale prassi potrebbe essere in grado di aprire spazi di conflitto? Dinnanzi alla fase che viviamo e alle difficoltà della sinistra più o meno radicale e antagonista, sarebbe presuntuoso pensare di avere una ricetta in grado di dare una risposta definitiva a tale domanda. Ciò che si può fare è provare ad abbozzare alcune ipotesi, strettamente legate al campo specifico di intervento.

In tal senso, dinnanzi alla tragica situazione del mercato del lavoro italiano, sarebbe quantomeno sciocco
pensare di opporsi al reddito a 5 stelle da un punto di vista ideologico. Milioni di persone dinnanzi alla disoccupazione e alla precarietà vedono (giustamente) di buon occhio la proposta di reddito. Quello che però si potrebbe (e dovrebbe) fare, è agire nel “campo del nemico”, ossia provare a far emergere le contraddizioni della proposta in campo affinché diventi strumento di organizzazione e conflitto, attraverso una campagna “progressiva”: in primo luogo, cercare di ottenere l’allargamento delle maglie dei presupposti necessari alla percezione del reddito, contestare il sistema della formazione e del lavoro gratuito, rifiutare il meccanismo degli acquisti morali; in secondo luogo, mettere al centro la rivendicazione di quel reddito di autodeterminazione ben esposto nel Piano Femminista contro la violenza maschile e di genere, redatto in anticipo sui tempi dal movimento Non Una Di Meno, che rappresenta non solo una risposta chiara alla proposta di un reddito di “sfruttamento” del governo, ma risponde all’esigenza di garantire percorsi di autonomia lavorativa e di fuoriuscita dalla violenza per le donne; in terzo luogo, rivendicare la possibilità di accedere ad un lavoro dignitoso per tutte e tutti, con l’introduzione di una serie di garanzie a tutela di chi lavora.

Dobbiamo rivendicare un altro modello di reddito e garanzie sul lavoro come misura di emancipazione dallo sfruttamento e dalla precarietà; occorre ribellarsi all’ineluttabilità di una vita da vivere in povertà sino alla morte, in cui il nostro destino dipende dalla benevolenza di un sovrano che, impietosito, cerca di rendere più sopportabile la vita a cui un destino trascendentale ci ha relegato.
È su questi elementi che è necessario fare leva per aprire delle contraddizioni all’interno del corpo sociale che, senza alternative, sembra saldamente ancorato ai propri governanti.