Dal deserto fare un città

Sun, 07/12/2014 - 13:17
di
Communia Roma

Sono passati due giorni dalla maxi operazione condotta dalla Procura di Roma, nominata “Mafia Capitale”. Quella che abbiamo davanti è la più grande operazione giudiziaria mai avvenuta nella città eterna: 37 persone sottoposte a misure cautelari, 29 in carcere, ed 8 ai domiciliari, sequestro di beni per un ammontare di 200 milioni di euro. Associazione di stampo mafioso, questa è l’accusa avanzata dal procuratore della Repubblica Pignatone nei confronti degli indagati. Se si pensa che persino la Banda della Magliana scampò all’accusa di associazione di stampo mafioso, possiamo comprendere quale sia la portata degli eventi di cui stiamo assistendo in questi giorni.
Dalla documentazione delle indagini sta emergendo un “mondo di mezzo” come definito dal “Nero” Carminati, che dalla strada e ambienti della destra neofascista eversiva, è penetrato nel cuore della politica tanto di centrodestra che di centrosinistra e che, alle intimidazioni e minacce (armamentario classico delle mafie di fine secolo) ha sostituito la più efficace arma della corruzione.
Sono tanti i nomi eclatanti al vaglio degli inquirenti, ma in questa sede, più che avere il focus sui singoli personaggi coinvolti nell’indagine, lavoro che lasciamo volentieri agli inquirenti, quello che è interessante analizzare è il carattere sistemico della vicenda, cercando di evitare qualsiasi pulsione giustizialista e dare una lettura politica ai fatti. Sarebbe quantomeno ingenuo pensare che arrestato questo gruppo di “mele marce” il problema sia risolto.
Ricapitolando: piccola criminalità e destra neofascista, politici di centrodestra e centrosinistra e mondo delle cooperative. Una convergenza multilaterale, un “mondo di mezzo” tra legalità e illegalità, il mondo della ricerca del profitto, ai danni delle persone
In questo sistema, emerge che il centro sono gli interessi degli imprenditori: sono loro a tessere la tela e a piazzare da anni politici di qualsiasi schieramento in ruoli cardine per la gestione degli appalti e dei soldi pubblici nonché della svendita del patrimonio pubblico. Dai consiglieri comunali ai sindaci fino ai direttori di dipartimento delle municipalizzate, erano tutti personaggi “piazzati”, per fare gli interessi di chi comanda da sempre a Roma e fa della rendita finanziaria e fondiaria, della speculazione edilizia e privatizzazione dei servizi la nuova ricetta del profitto e della accumulazione.
Questa è una storia molto più vecchia dell’inchiesta che è balzata sulle pagine dei giornali il 3 dicembre. Se nelle passate amministrazioni questa “terra di mezzo” veniva celata in qualche modo, già dalla giunta Veltroni e ancora di più con quella Alemanno questo reticolo di intrecci e di interessi veniva intessuto alla luce del sole con l’arroganza di chi si sente padrone della città e non deve dare conto a nessuno.
E così, mentre l’Europa impone dure politiche d’austerity e la maggior parte della popolazione si impoverisce sempre di più, anche a Roma si fa fatica ad approvare un bilancio sempre più in rosso. Un enorme fiume di denaro finisce nelle tasche di pochi uomini al servizio delle ragioni del capitale, i signori della speculazione che spadroneggiano nella città. L’aumento delle tasse e i tagli ai servizi stanno rendendo sempre più faticosa la vita nella Capitale, dove il disagio è crescente e le periferie sono in ebollizione.
Tuttavia, questa non è una vicenda ascrivibile al piano locale, non riguarda solo Roma. Piuttosto, la Capitale è il paradigma delle logiche del profitto: privatizzare, sottrare alla collettività, cementificare, “fare soldi” sulla pelle dei più deboli (si pensi al sistema dell’accoglienza) è la formula con cui il capitale si garantisce margini di profitto. Un paradigma che conosciamo che decenni, ma che al tempo delle crisi economica mostra il suo volto peggiore, per l’avidità e la violenza con cui si sottrae ricchezza a ceti medio-.bassi sempre più poveri e alla collettività tutta. Sono le stesse ragioni per cui le alluvioni di Carrara e Genova non possono essere liquidate come disastri naturali, ma segnalano delle responsabilità precise di malagestione, incuria, speculazione edilizia.
E molti dei soggetti coinvolti nella rete mafiosa capitolina, hanno ruoli di rilievo sul piano nazionale. Oltre alla presenza di Poletti ad alcune cene, nelle ultime ore sta è emerso il coinvolgimento del premier Renzi, che avrebbe raccolto donazioni da personaggi coinvolti nell’inchiesta, durante le sue cene di fund raising. Tutto ciò rafforza la natura sistemica della questione, e fa riflettere sul ruolo del partito della nazione, che si dice di sinistra e opera in tutto e per tutto nell’interesse delle borghesie nazionali ed europee, dalla scrittura delle Riforme alle comparsate nei salotti che contano. Il partito di centrosinistra che le larghe intese le ha sperimentate ovunque, dalle Camere ai salotti, ai tavoli del ristorante.
Da più parti, fra i silenzi imbarazzati, voci della politica in maniera ipocrita cominciano a paventare la possibilità sciogliere il consiglio comunale e di commissariare la città. Commissariare da chi? Il fitto intreccio di poteri e personalità che hanno composto questa rete criminale, dimostrano che il marcio è ovunque. Non c’è nessun soggetto super partes, non c’è un deus ex machina in grado di intervenire e riportare l’equilibrio nella tragedia in corso. L’unica alternativa possibile è la città: i soggetti che la compongono, che ogni giorno portano avanti le battaglie contro l’aggressione ai beni comuni e ai diritti.
Le realtà che da sempre si battono per un modello diverso di città, che lottano per la garanzia e la salvaguardia dei diritti di tutti, che fanno della solidarietà mutualistica tra sfruttati la loro arma principale, devono essere in grado di irrompere nel dibattito pubblico e far emergere la potenza dell’idea di alternativa che negli anni si è sedimentata nei quartieri e nei territori. Bisogna avere la forza di dire che a commissariare il comune non sarà chi è causa di questa situazione, chi per anni ha speculato sulle sofferenze di milioni di persone e che non ha fatto altro che soffiare sull’odio e fomentare una guerra tra poveri continuando a riempirsi le tasche, ma saranno i cittadini a riprendersi la città, ad occuparla per intero. È tempo di immaginare un modello di diverso di città, a misura di tutti, accogliente e aperta.
La Terra di Mezzo che esisteva su Roma come un universo parallelo, dimostra che chi agita lo spauracchio della legalità, lo fa solo per dividere e criminalizzare. Utilizza strumentalmente il tema della legalità per cercare di indebolire chi ogni giorno lotta per costruire una città diversa, al riparo dai profitti.
Molti dei più grandi crimini di questo paese sono stati assolutamente legali: pensiamo alla Tav, alle autorizzazioni a costruire in luoghi ad altro rischio idrogeologico, ai mille disastri che hanno segnato la storia di molti.
I vari Marchini e pezzi del Pd già si sfregano le mani pur di metterle sulla città! La mobilitazione cittadina del 13 dicembre dovrà assumere questa sfida e non lasciare alcuno spazio ai veri fautori del “degrado” della politica.
“Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”, scriveva Calvino.
Que se vayan todos!