Città accoglienti: pratiche di mutualismo, welfare e conflitto

Tue, 31/10/2017 - 15:33
di
Decide Roma

Sabato 4 e domenica 5 novembre, al Nuovo Cinema Palazzo (Piazza dei Sanniti, San Lorenzo) ci sarà il metting di Decide Roma, dal titolo "Questa città di chi pensi che sia? Per il diritto alla città: decisione, partecipazione, diritti". A questo link il programma completo della due giorni. Di seguito pubblichiamo l'appello per il worshop "Città accoglienti: pratiche di mutualismo, welfare e conflitto" che sarà sabato alle 15.00.

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Negli ultimi mesi in Europa e in Italia alcune città hanno affermato la capacità di essere accoglienti. Le grandi manifestazioni di Bologna, Milano, Barcellona hanno ribadito un concetto semplice, fondamentale: nessuna persona è illegale, fuggire dalla guerra e dalla povertà è un diritto.
Non solo, è un diritto avere diritti.
Siamo convinti che lo spazio urbano sia uno spazio prioritario del nostro agire politico, perché anche a partire da esso può essere ricostruito un terreno di mobilitazione meticcio contro austerity, razzismi e nuovi confini.
A Roma, in particolare, vogliamo interrogarci sul come si costruisce, quotidianamente, dal basso, una città accogliente, una metropoli per tutte e tutti al di là di ogni status di cittadinanza.

La resistenza di Piazza Indipendenza e la violenza indiscriminata utilizzata dalle forze dell’ordine, oltre ad aver lasciato immagini indelebili negli occhi di tante e tanti, rappresentano un punto di non ritorno. Il Governo del PD e l’amministrazione 5 Stelle hanno stretto un’alleanza politica in quella piazza nel nome della guerra ai poveri. La campagna elettorale è solo all'inizio e le due maggiori forze politiche del paese si contendono il consenso soffiando sul fuoco della paura dello straniero e del povero. Ma c'è chi non si arrende. Chi ogni giorno costruisce territori che accolgono, mettendo in campo percorsi di mutualismo e solidarietà dal basso.

Vogliamo aprire un confronto con la società solidale delle associazioni, degli spazi sociali ed abitativi, delle esperienze di volontariato e dell’impegno quotidiano di singoli cittadini. Vogliamo incontrare, conoscere, aprire relazioni in divenire con le centinaia di migranti autorganizzati e con le persone ospiti di centri d’accoglienza straordinaria e ordinaria, troppo spesso, indecorosi.
Di sicuro sosteniamo la necessità di un sistema di accoglienza dignitoso che rispetti i diritti dei migranti e che non sfrutti il lavoro e le competenze degli operatori sociali, ma crediamo che il “corretto funzionamento istituzionale” dell’accoglienza non sia un obiettivo sufficiente. E’ necessario rimettere in discussione le nostre certezze, avanzare nuove proposte e aprire nuovi percorsi collettivi che sostengano la moltiplicazione e il sostentamento degli spazi trasversali e informali del mutualismo e della solidarietà attiva.

E’ necessario attivarsi a partire dalla distanza, non solo ideologica, ma fattuale, densa del lavoro quotidiano di molti, con l’approccio del ministro dell’Interno. Minniti ha infatti deciso di rincorrere le destre sul loro stesso terreno, quello delle politiche securitarie, riuscendo in quello in cui persino il ministro leghista Maroni aveva fallito. In pochi mesi abbiamo assistito dapprima ad un attacco durissimo contro i soggetti più vulnerabili, le nuove povertà, le figure marginalizzate proprio all’interno dei contesti urbani; poi alla criminalizzazione dell’operato delle Ong in mare, colpevoli di salvare vite umane in viaggio verso l’Europa; infine alla ratifica di pericolosi accordi con i gruppi armati libici che si spartiscono potere e risorse in un paese dilaniato dalla guerra civile, con l’obiettivo di non far partire e detenere in condizioni disumane le persone che vogliono attraversare il mare per sopravvivere.
I due decreti Minnit-Orlando, ormai convertiti in legge, cristallizzano definitivamente un sentimento di sfavore e criminalizzazione nei confronti delle differenze, delle nuove e vecchie povertà, rinforzando la produzione di figure marginali, vulnerabili, “indecorose”.
Non vi è più differenza tra l'italiano e lo "straniero", l'importante è, per l’appunto, non essere "indecorosi". Lo spazio pubblico deve essere “pulito”, abitato solo dai cittadini “regolari”.
Da queste semplici premesse ha avuto luogo negli ultimi mesi la stigmatizzazione e lo sgombero dell’occupante di case, del migrante (senza distinzione tra richiedente asilo, rifugiato, diniegato, dublinato, transitante), del mendicante. Contemporaneamente, senza lo stesso clamore mediatico dell’attacco estivo alle imbarcazioni in dotazione delle grandi ONG nel mediterraneo, sono stati messi a punto strumenti normativi volti a scoraggiare la solidarietà nelle sue molteplici sfumature e la presa di parola per la difesa dei diritti fondamentali, di tutte e tutti, residenti e migranti.
In altre parole si sono rese esplicite le nuove iniziative del Ministero dell’Interno, ovvero leggi speciali contro i poveri e chi dissente.

In questo quadro le destre hanno fatto dell'opposizione al “business dell'accoglienza” un loro cavallo di battaglia.
Dopo l’apparente shock dello scandalo noto come “Mafia Capitale” poco è cambiato nelle politiche dell’accoglienza istituzionale, nelle gare d’appalto, nelle modalità di partecipazione ai bandi pubblici, nella permanenza di requisiti estremamente al ribasso negli standard d’accoglienza previsti, nella poca dignità nei confronti dei migranti e nella poca conoscenza, da parte delle amministrazioni, dei territori e delle loro dinamiche complessive.
E certo non aiuta il fallimento complessivo del modello SPRAR, che doveva essere il fiore all'occhiello del sistema di accoglienza, favorendo inclusione e integrazione, e invece si è ritrovato a replicare quanto già visto negli anni dei dispositivi emergenziali. Dormitori con oltre cento beneficiari, il più delle volte di sesso maschile, sempre in luoghi periferici e “difficili”, che al termine del loro percorso si ritrovano senza un lavoro né la possibilità di sostenere un affitto, finendo inevitabilmente nel circuito della marginalità e dello sfruttamento.

Così mentre i media regalano grande visibilità alle mobilitazioni xenofobe e razziste (anche quando si tratta di fatti assolutamente marginali) e la politica specula sull'insicurezza, una guerra strisciante avanza nelle periferie delle città. Guerra tra poveri, dal basso verso chi è ancora più in basso: laddove crescono povertà e abbandono e diminuiscono, fino ad azzerarsi, servizi sociali e tutele, aumenta l'insofferenza. Terreno fertile per formazioni che fanno della resistenza etnica e dello slogan “prima gli italiani”, il cuore della loro offerta politica.
Noi vorremmo, al contrario, costruire un processo ampio di confronto e di mobilitazione che a partire dalla positiva certezza di vivere all’interno di una società meticcia si pone come obiettivo fondamentale quello di promuovere e sostenere la battaglia per un welfare universale.
Vorremmo rilanciare, a partire dalla convinzione della centralità del territorio, la conoscenza tra esperienze differenti di mutualismo e di solidarietà che troppo spesso restano nell’ombra e che crediamo invece essere la linfa per una nuova riattivazione sociale capace di prendere parola e di difendere e rivendicare diritti.