Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini

Fri, 09/10/2015 - 19:58
di
Pasquino

Senza un modello alternativo di città non si governa

Ridurre alla semplice campagna di killeraggio mediatico le vicende che hanno portato alle dimissioni di Marino da Sindaco di Roma rischia di dare una visione distorta di quanto sta accadendo nella Capitale.
Vedere solo questo lato della medaglia ci restituisce infatti una rappresentazione secondo cui Marino, incapace ma onesto, sarebbe caduto semplicemente perché avverso al Palazzo, ai poteri forti, alle mafie che per decenni si sono spartite Roma e che hanno visto in Alemanno il loro rappresentante prediletto.
D’altronde c’è da ammettere che l’offensiva in atto ha davvero dei tratti paradossali, tanto per i protagonisti quanto per i contenuti. Che oggi a contestare 27mila euro di spese accessorie siano soggetti come Casapound che si è fatta donare dall’ex Sindaco Alemanno l’immobile di via Napoleone III alla “modica” cifra di 11,8 milioni di euro fa ridere. Che lo faccia Fratelli d’Italia da cui proviene l’auto-sospeso Alemanno fa ancor più ridere.
Della serie, se Marino ha mangiato a spese del Comune, dall’altra parte c’è chi ha organizzato interi banchetti milionari, a cui ha invitato parenti e camerati alla faccia (e a spese) della cittadinanza romana.
Per non parlare del fuoco amico proveniente dalle fila del Partito Democratico, che prima ha utilizzato l’“outsider Marino” per presentarsi alle scorse elezioni aggirando l’impresentabilità dei propri candidati e oggi lo scarica, fingendo di non ricordare la sua radicata presenza negli affari di Mafia Capitale.

Tuttavia l’impresentabilità di buona parte dei nemici di Marino e i loro argomenti cialtroneschi non cancellano quel che la Giunta Marino ha compiutamente rappresentato in questi due anni e mezzo.
Una Giunta responsabile non solo della chiusura di Malagrotta o dell’istituzione del registro per le unioni civili, o della riapertura degli accessi al mare ad Ostia. Con Marino Sindaco si sono avuti anche decine di sgomberi, la criminalizzazione della vertenza dei macchinisti Atac e dei lavoratori del Colosseo, così come la promozione acritica e a tratti esaltata della maxi-speculazione edilizia del nuovo stadio della Roma e una gestione dell’emergenza abitativa pressoché nulla, articolata in termini puramente repressivi.

E se si guarda a questi aspetti si può avere una migliore visione d’insieme, e capire che Marino non cade semplicemente per due scontrini dimenticati e qualche multa non pagata.
Marino cade perché dinanzi al terremoto scatenato dall’inchiesta di Mafia Capitale non ha saputo né voluto proporre un modello alternativo di città. In molti casi al vuoto lasciato dai patti criminali non ha saputo/voluto sostituire nulla, in altri ha pensato bene di agitare ricette neoliberali che potessero essere gradite all’emergente Renzi, intento nel contempo a conquistare le redini del paese.
Le stesse battaglie minimamente progressiste, si pensi alle unioni civili e al trasporto alternativo, sono state condotte senza alcuna relazione con i soggetti direttamente interessati, senza nemmeno pensare di coinvolgere cittadini e movimenti, ma in forma individuale e leaderistica senza per giunta averne minimamente la stoffa.

Alcuni esempi risultano paradigmatici del (non)modello di città proposto da Marino.
Dinanzi allo sgretolamento del sistema mafioso di accoglienza, gestito da Buzzi e dai suoi compari, Marino promuove al suo posto il semplice vuoto istituzionale. Un vuoto accompagnato da sgomberi indiscriminati, come quello di Ponte Mammolo, che lasciano centinaia di persone senza un tetto e soprattutto senza una soluzione alternativa. Come modello di contrasto ai patti criminali Marino propone la semplice impotenza delle istituzioni pubbliche, come ben testimoniano le sue dichiarazioni di questa estate in cui affermava l’impossibilità per Roma di accogliere i rifugiati e il rischio delle malattie infettive per la popolazione romana (sigh!), provocando lo sconcerto persino dell’Unhcr.
Ma ancor più significativa è la vicenda Atac. Un’azienda allo sbando, i cui soldi venivano buttati in finte consulenze, pesantemente segnata da parentopoli e con una durissima vertenza in corso in cui i lavoratori con il semplice rispetto dei propri turni denunciavano l’insostenibilità della gestione attuale e le assurde pretese dei vertici di aumentare i turni individuali a fronte di una pesante decurtazione del salario. La risposta di Marino non si è fatta attendere, ma non è stata la riforma radicale di Atac, nè una sostanziale redistribuzione delle risorse in modo da restituire dignità e salario ai lavoratori e un servizio decente ai cittadini. No. E' arrivata la condanna dei lavoratori in lotta e la proposta di privatizzazione immediata. In effetti, vista l’efficacia della gestione privata dei servizi pubblici a Roma ben dimostrata da Mafia Capitale, quale proposta più efficace di questa?
O forse dovremmo malignamente pensare: quale proposta potrebbe piacere a Renzi e agli amici di Confindustria più di questa?
Stesso discorso vale sulla maxi speculazione edilizia costituita dal nuovo stadio della Roma, il cui interesse pubblico - decisamente discutibile - è stato portato avanti come priorità edilizia assoluta in una città che vive un’emergenza abitativa dai tratti drammatici. Anche su questo Marino ha optato con determinazione sul totale vuoto istituzionale.
Davanti all’azione indiscriminata della Prefettura, che nei mesi scorsi ha moltiplicato sfratti e sgomberi eseguiti con violenza inaudita, non c’è stata alcuna risposta, nemmeno nei termini minimi di una dichiarazione.

La Roma proposta da Marino è un immenso nonluogo, completamente spersonalizzata, senza alcun riconoscimento - di diritti, spazi, servizi - per chi la abita e la vive. Una Roma in cui le istituzioni delegittimate dagli scandali lasciano carta bianca agli interessi dei capitali privati, liberi a questo punto di fare e disfare a loro piacimento.
Spersonalizzata a tal punto che a difendere Marino non c’è rimasto più nessuno e son bastati due scontrini e una multa a farlo cadere giù.