Vite di frontiera, violenza senza confini

Mon, 14/11/2016 - 12:47
di
Da Moving Europe

Sulla situazione dei migranti in Serbia, autunno 2016

Questo report descrive la violenza esercitata all'interno del regime di frontiere erette e fortificate come parte integrante della graduale chiusura del corridoio balcanico sin dalla fine del 2015. Poco più di un anno fa il governo ungherese ha terminato l'erezione di una recinzione lungo tutto il confine serbo-ungherese e lungo quello croato-ungherese mentre, poco più di sei mesi fa, l'ingresso del corridoio balcanico al confine greco-macedone (Idomeni) è stato chiuso definitivamente. La logica e le conseguenze della chiusura di queste vie di fuga si manifestano nella violenza quotidiana del regime di frontiera e delle zone di controllo e coercizione.

L'attuale situazione non dimostra nulla di nuovo poiché recinzioni e muri eretti sulle frontiere europee sono già stati macchiati da episodi di oppressione e violenza [1]. Ciononostante l'escalation di violenze che caratterizza questo autunno 2016 è rimarchevole, dal momento in cui quella stessa rotta sembrava nel 2015 una via di fuga sicura che aveva permesso a migliaia di migranti [2] di raggiungere velocemente e relativamente in sicurezza le proprie destinazioni. In ogni caso adesso tutto è tornato alla “normalità”: come conseguenza della scelta europea di chiudere un corridoio di fuga sicuro, sono tornate a regnare su tutta l'area violenza e repressione poliziesca [3].

A) Molteplici forme di violenza di frontiera

Molti report si concentrano sulla violenza fisica che le guardie e le milizie cittadine a difesa della frontiera ungherese operano nei confronti dei migranti che tentano di entrare dalla Serbia. Ma le manifestazioni di violenza vanno oltre gli attacchi fisici perpetrati sulle frontiere: la violenza è una costante onnipresente sulle rotte migratorie ai confini di Serbia, Ungheria e Croazia. Che inoltre non si manifesta unicamente attraverso le aggressioni fisiche: è altrettanto psicologica quanto istituzionale.

Questo report illustra tali forme di violenza attraverso osservazioni e testimonianze dalle zone di frontiera:

I. Violenza fisica e respingimenti alla frontiera serbo-ungherese e a quella serbo-croata

Entrambi i confini con Ungheria e Croazia mostrano una serie di similitudini: campi dalle capacità inadeguate, liste atte ad assicurare un presunto passaggio legale delle frontiere ma non funzionanti, comportamenti violenti delle forze di polizia ungheresi (incluso l'uso indiscriminato di cani) e croate (le quali adottano lo stesso modello: colpire e respingere ogni volta che il numero delle persone aumenta) in caso di “attraversamento non autorizzato”.

La violenza perpetrata dalle forze di polizia è ampiamente documentata dai report ufficiali delle ONG presenti sul territorio (vedi il report di Amnesty Internatio4al sulla situazione in Ungheria [4]), e se ne trovano tracce risalendo indietro fino al gennaio del 2016 (l'uso ingiustificato di violenza da parte del corpo di polizia croato e i respingimenti sulla frontiera serbo-croata [5]). La situazione, nel corso di questi mesi, sembra essere leggermente cambiata: le violenze sono peggiorate. E comunque, nonostante gli ostacoli crescenti, i migranti continuano a scappare dalla loro condizione di costrizione forzata in Serbia e tentano ripetutamente di traversare le frontiere con l'Ungheria e la Croazia.

Le seguenti testimonianze sono state registrate a fine settembre scorso nei centri per rifugiati di Belgrado, Subotica, Kelebija e Šid [6]:

"Ho provato a passare sei volte, una verso la Croazia e cinque vero l'Ungheria. L'ultima volta la polizia mi ha preso e ha lasciato che i cani mi aggredissero e mordessero. Mi trovavo a dieci chilometri circa all'interno del territorio ungherese. Ho aspettato per due mesi che mi chiamassero dalle liste, anche se ero il numero nove dopo che la frontiera è stata ufficialmente chiusa”. (M., Bangladesh)

“Il problema è che noi in quanto Algerini e Marocchini non possiamo registrarci sulle liste di transito [verso l'Ungheria]. Sappiamo di nostri amici che arrivano qui tramite l'Albania e il Montenegro. Sono stati rapinati e respinti molte volte ma hanno dovuto scegliere questa via perché prima avevano cercato di attraversare la Macedonia ma sono stati picchiati. Uno di noi è stato dodici ore sotto un camion per raggiungere Belgrado. Altri sono trattenuti dalla mafia in alcune abitazioni finché non pagheranno un prezzo maggiorato”. (R. e S., Algeria e Marocco)

“Ho camminato per due giorni e superato quattro villaggi ungheresi. Poi la polizia mi ha trovato e mi hanno costretto a tornare indietro”. (S., Afghanistan)

“Abbiamo cercato di entrare in Croazia durante la notte. Siamo stati catturati dalla polizia e fatti entrare in uno dei loro furgoni. Circa cinque poliziotti hanno iniziato a batterci e picchiarci e poi ci hanno riportato alla frontiera serba. Non abbiamo possibilità di chiedere l'asilo”. (O., Siria)

“I cani dei poliziotti ungheresi mi hanno morso sul braccio, che non ho potuto muovere per più di un mese. Inoltre usano gas lacrimogeno contro di noi così che non possiamo respirare o vedere niente”. (N., Algeria)

“Ho meno di diciotto anni. Gli ungheresi mi hanno picchiato e spezzato la mano, non posso più muovere nemmeno un dito”. (R., Kashmir)

“Sono dovuto restare due mesi con la mia famiglia nel campo chiuso di Presevo. Poi la polizia [serba] è venuta a respingerci indietro verso la Macedonia. So che questo accade a moltissime persone. Dopo ho provato più volte a tornare in Serbia. Ora i nostri nomi sono sulle liste di transito per l'Ungheria da Kalebija. Non voglio passare attraverso l'Ungheria, perché lì la polizia ha i cani e le videocamere”. (H., Siria)

“Abbiamo provato una volta ad entrare in Ungheria. La polizia ci ha preso. Eravamo molto spaventati perché usano cani e violenza contro di noi. È stato orribile. Un poliziotto ha fatto avvicinare il suo cane a nostra figlia, non tanto vicino da poterla mordere ma abbastanza da spaventarla moltissimo”. (Una famiglia, Iraq)

“Ho provato sei volte ad entrare in Croazia. Una volta ce l'ho fatta addirittura ad arrivare fino a Zagabria. Ma la polizia mi ha arrestato. Mi hanno picchiato dappertutto, sul volto e sul corpo. Mi hanno distrutto un ginocchio”. (L., Pakistan)

“Ho provato ad entrare in Croazia sette volte. Un giorno ho raggiunto Zagabria. Là nel campo allestito dal governo mi hanno detto che per rimanere prima di tutto dovevo registrarmi alla stazione di polizia. Ci sono andato e non mi hanno nemmeno chiesto niente, mi hanno preso e riportato indietro alla frontiera serba”. (M., Bangladesh)

A questo link le foto, fornite dagli stessi migranti, che documentano le ingiurie da loro subite. Le immagini mostrano chiaramente ferite aperte e lesioni provocate dai morsi dei cani e dai colpi dei manganelli, causate dalla polizia ungherese e scarsamente curate in Serbia.

A questo link un video risalente all'ottobre del 2016 che mostra le gravi lesioni causate a un gruppo di minori dalla polizia di frontiera croata, prima di respingerli verso la Serbia. Questo video è stato consegnato dai Noborder Serbia come prova delle violenze della polizia.

II. Violenza istituzionale in Serbia

Visto che i campi ufficiali gestiti dal governo serbo sono troppo pieni, miserabili e molto lontani dai centri cittadini, più di un migliaio di persone è costretta a dormire per le strade di Belgrado. Le notti stanno diventando sempre più fredde, le condizioni climatiche sempre più difficili da sopportare, e i casi di malattia nella comunità migrante stanno iniziando a crescere. Le temperature continuano a calare e non andranno che peggiorando durante i mesi invernali. L'approvvigionamento di coperte è fornito da gruppi di solidarietà e da MSF, ma non c'è modo di procurare ai migranti un posto chiuso e riscaldato per la notte. Soluzioni autorganizzate come dormire in posti abbandonati sono occasionalmente tollerate (soprattutto negli edifici in via di demolizione per far spazio al progetto Waterfront [progetto simbolo del processo di gentrificazione della città, n.d.r.]), ma più spesso vengono proibite e rese impossibili dalle autorità serbe. Alcuni edifici occupati, che garantivano ai migranti un asilo minimo e un posto per dormire, sono stati sgomberati dalla polizia nel corso degli ultimi mesi.

Le persone sono molestate durante la notte dalla polizia nei diversi luoghi in cui si rifugiano (edifici abbandonati, parchi, parcheggi, ecc.). Spesso le retate si concludono col fermo di circa una quindicina persone, prelevate e portate nelle stazioni di polizia; molte tra queste vengono incarcerate con dubbie accuse e rilasciate solo in cambio di una cauzione di 280 euro. Per quelli che non hanno la possibilità di pagare resta la prigione, per poi essere rilasciati nei giorni successivi in cambio di un pagamento “ridotto” (tra i 20 e i 100 euro).
Arresti arbitrari avvengo anche nelle regioni di frontiera. Riceviamo molte indicazioni rispetto a dozzine di migranti che vengono arbitrariamente detenuti in Sremska Mitrovica, vicino Šid:

“Una volta respinti indietro in Serbia, siamo stati arrestati dalle autorità locali. Abbiamo dovuto pagare una multa per attraversamento non autorizzato della frontiera, attorno ai 10mila dinari [80 euro circa, n.d.r.]. Quelli che non avevano modo di pagare sono rimasti in prigione”. (F., Siria)

Mutazione continua degli ordini della polizia, verdetti giuridici arbitrari e controllo poliziesco onnipresente causano insicurezza, frustrazione e paura.

Fuori da Belgrado, le strutture governative sono sovraffollate e malamente equipaggiate. Per esempio molti residenti hanno confermato che le condizioni nel campo ufficiale di Subotica (nord della Serbia, confine ungherese) sono terribili. È completamente pieno e sovraffollato, e altrettante persone si accampano fuori dal campo in attesa di essere finalmente ammesse ad entrare. Questo campo è tenuto dalle autorità in condizioni igieniche intollerabili e manca di ogni genere di protezione dalle zanzare e altri animali. Lo staff medico del campo non fornisce un'assistenza adeguata.

Il campo di Adaševci, al confine serbo-croato, è un luogo di disperazione. Mille persone, inclusi molti bambini, vivono vicino all'autostrada. Il parcheggio che era stato prima organizzato come punto di transito è diventato adesso una trappola disumana per quelli che sono rimasti indietro – senza contatti con alcun ambiente amichevole, nessun trasporto pubblico, e nessuna speranza:

“Ormai sono già molti mesi che vivo ad Adaševci. Qui non c'è niente per noi. Per arrivare al villaggio più vicino siamo costretti a prendere un taxi, non ci sono attività né punti d'informazione qui. Speriamo ancora che un giorno la frontiera si aprirà. Non possiamo rimanere qui”. (R., Pakistan)

“Perché siamo costretti a vivere così? Perché non c'è nessuna guerra in Pakistan? Non è vero! C'è la guerra in Pakistan! Abbiamo già viaggiato per 6500 chilometri e adesso ci mancano solo 500 metri e siamo bloccati qui...”. (L., Pakistan)

III. Violenza psicologica

Un tipo di violenza spesso poco riportata e discussa, perpetrata ai confini serbi e nelle zone di frontiera, è di natura psicologica. Le circostanze che portano le persone a confrontarvisi tanto nei campi ufficiali quanto in quelli informali sono marcate dalla frustrazione e dall'angoscia provocate dall'incertezza perenne riguardo alla possibilità di riuscire a passare grazie al sistema delle liste, dalla confusione provocata dai continui cambi di politiche, dall'alienazione e dalla discriminazione dovute al cambio di atmosfera in Serbia riguardo l'atteggiamento verso i migranti, e ultimo ma non meno importante dalle sofferenze e dai traumi causati dalle violenze arbitrarie delle forze di polizia e dal prolungato stato di detenzione. Tutti questi fattori hanno portato a seri danni alla salute mentale delle persone che vorrebbero muoversi ma sono costrette a restare. Documentare queste lesioni mentali è più complesso e difficile, e reso ancora più arduo dalla carenza di assistenza medica tanto nei campi quanto nella città di Belgrado.

Le proteste del quartiere xenofobo e razzista nel parco vicino alla stazione centrale di Belgrado [parco dove negli scorsi mesi alcuni volontari avevano allestito l'Info Park, una struttura che forniva ogni giorno informazioni e assistenza ai rifugiati, sgomberato e chiuso per prevenire disordine e degrado nel cuore della città, n.d.r.], si verificano ogni giorno e si traducono in molestie e aggressioni ai migranti, agli attivisti e contro chiunque appaia di un'opinione diversa dalla loro rispetto alla “crisi dei rifugiati”. Il numero dei manifestanti rimane basso (tra le cinque e le quindici persone), ma sempre più spesso accade che ricorrano ad accuse verbali e il numero degli attacchi fisici cresce di giorno in giorno.

L'ininterrotta paura dello straniero e le campagne d'odio contro i migranti sono un altro tassello di questa violenza psicologica. Inoltre lo smantellamento dei rifugi di emergenza di Belgrado, la detenzione arbitraria e l'incertezza legale, sono tutti elementi che creano un'atmosfera di permanente paura, incertezza, stress e disperazione.

B) Resistenza: gli attraversamenti delle frontiere e le proteste collettive

Nonostante queste condizioni avvilenti e la mancanza di prospettive, gli architetti del regime europeo di governo delle frontiere non possono fermare completamente il movimento dei migranti. Da un lato le frontiere continuano ad essere attraversate anche da chi non è autorizzato a farlo, e dall'altro le proteste contro questa situazione sfidano la disperazione diffusa.

Il 4 ottobre 2016 diverse centinaia di migranti hanno dato avvio a una marcia autorganizzata da Belgrado verso la frontiera ungherese, inviando così un forte segnale del movimento in corso contro la detenzione forzata e la repressione dei migranti in Serbia. A causa dello sfinimento e della forte pressione esercitata da parte della polizia serba, i manifestanti sono stati costretti a tornare indietro verso Belgrado, dopo aver marciato per una dozzina di chilometri. Ma ciò che i media hanno riportato all'opinione pubblica aveva tono e significato diverso: la copertura a volte sensazionalista e infiammata che era stata data dei movimenti di migranti nell'ultimo anno aveva dato il via a una densa ignoranza sostenuta da sfiducia e scetticismo riguardo alla capacità dei migranti di protestare e di autorganizzarsi. E così collettivi e strutture solidali coi migranti erano state etichettate come “i veri agitatori e portatori di problemi”, e questa marcia dal significato simbolico così importante è stata presto dimenticata e negata del suo vero significato.

Il 5 novembre 2016 il governo serbo ha pubblicato una “lettera aperta” rivolta alle organizzazioni umanitarie [7], nella quale si dichiara che il prossimo obiettivo governativo sarà di spostare tutti i migranti e i rifugiati presenti sul territorio in campi ufficiali appositi, controllati direttamente dal governo, così da fermare ogni attività di aiuto e supporto al di fuori di questi campi e – cosa più importante – fuori da un completo stato di controllo. Non rimane che stare a vedere quali conseguenze seguiranno, ma è ovvio che ciò non migliorerà né la situazione dei migranti in Serbia né rafforzerà la loro autonomia.

C) Conclusioni

Le forme di violenza descritte non devono essere percepite come un dato, come un fatto naturale, il modo in cui molti possono prendere la migrazione e la fuga per scontate. Lo scorso anno ci sono stati momenti in cui migrazione e disperazione non erano inestricabilmente legate l'una all'altra. Sono state la chiusura delle frontiere e le politiche di fortificazione e detenzione che hanno reso possibile tale escalation di violenze. Solo politiche incondizionate di libertà ed eguaglianza adattate alla realtà dell'immigrazione porteranno alla fine delle violenze, sia nelle sue manifestazioni apparenti che in quelle meno visibili.
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Note

[1] Vedi anche il precedente report sulle violenza al confine serbo-croato

[2] Questo report usa in maniera intercambiabile i termini "migranti" e "rifugiati" per contestarne la divisione gerarchica ed enfatizzare il contesto dei movimenti migratori, basato su interconnessioni multiple e cause complesse.

[3] Questo report è stato reso possibile grazie alla collaborazione col collettivo No Border Serbia.

[4] Vedi anche il recente report di Amnesty

[5] Per il caso croato vedi anche il report di gennaio 2016.

[6] La ricerca è stata supportata dal gruppo Bridges Not Fences.

[7] https://twitter.com/LydsG/status/794858871387017216

*Fonte: http://moving-europe.org/bordered-lives-unbound-violence/
Traduzione di Federica Maiucci