[Precarietà a tempo indeterminato/5] Lavoro gratis

Mon, 21/07/2014 - 18:11

Le crisi economiche degli anni 70, l’obbiettivo di indebolire il movimento operaio dopo la stagione di lotte iniziata nel 69, impongono un cambiamento delle forme di produzione. Questo avviene da un lato attraverso una profonda ristrutturazione aziendale, dall’altro da un percorso di scelte istituzionali e economiche, in grado di permettere un sempre più intenso utilizzo di lavoro in forme intermittenti e precarie. I vari interventi legislativi che si sono susseguiti negli anni hanno introdotto rapporti di lavoro “flessibili” (inizialmente) nei settori di produzione più intellettualizzati, fino ad affermarsi come condizione comune della forza lavoro ristrutturata.
Tra i vari interventi sulla materia, che si sono susseguiti sin dagli anni 50, fondamentali sono i dispositivi prodotti dopo la prima metà degli anni 90:
1. Dopo decenni di tentativi di inserire percorsi professionalizzanti nelle offerte formative universitarie, nel 1977, con una disoccupazione giovanile dilagante, arrivarono i “Provvedimenti per l’occupazione giovanile” con la Legge 285: sono questi i primi progetti regionali di formazione professionale, con le immancabili facilitazioni e detrazioni degli oneri sociali per le aziende che assumevano giovani. Con questo provvedimento faceva il suo esordio il contratto formazione/lavoro;
2. legge 196/1997 “Norme in materia di occupazione”, meglio nota come Pacchetto Treu, è forse l’emblema principale; con il Pacchetto Treu l’apprendistato venne portato a 24 anni (26 per il sud-Italia), si proseguì la regolazione di lavoro a tempo paziale e Cfl (in vistoso calo nella seconda metà dei 90) e soprattutto si istituirono il lavoro interinale e le tante forme di contratti a termine (co.co.co. poi diventati co.co.pro.);
3. decreto Ministeriale n. 509 del 3 novembre 1999, “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”, meglio nota come riforma Berlinguer del 3+2. Dopo decenni di tentativi, finalmente la formazione universitaria diventava ufficialmente professionalizzante (con la triennale), i soggetti privati erano chiamati a contribuire alla definizione dell’offerta formativa (come auspicato dalle riforme Ruberti) e il lavoro gratuito di stage e tirocini diventava parte integrante della formazione universitaria;
4. legge 30/2003, legge Biagi: si moltiplicarono le forme di contratti flessibili (45), venne istituito il contratto d’inserimento e si concepì l’apprendistato anche per i laureati (d’alta formazione);
5. Completano questo quadro il testo unico sull’apprendistato del 2011 e la legge 92/2012, ovvero la cosiddetta Riforma Fornero che obbligava la Conferenza Stato Regioni a dettare le linee guida in materia di tirocini; La novità più importante e controversa di queste linee guida riguarda l’indennità di partecipazione prevista per stagisti e tirocinanti (a carico delle regioni mentre ai datori di lavoro continuano ad essere garantiti tutte le facilitazioni già ricordate) che varia da regione a regione (da un minimo di 300 a un massimo di 600€ in Piemonte ed Abruzzo).
6. DL Poletti 34/2014: estensione da 12 (legge Fornero) a 36 mesi di un contratto acausale rinnovabile infinite volte e con un tetto di 5 proroghe. La ratio del DL Poletti è la precarizzazione selvaggia dei contratti a termine e sua chiave di volta è l’acausalità.

A completare questo quadro, ci sono due recenti interventi da parte dell’Unione Europea, che esercitano un ruolo più sul piano simbolico che di sostanza, ma che sanciscono la vittoria ideologica, dell’idea di lavorare gratis e di formarsi per tutta la vita: una raccomandazione UE del 10 marzo che legittima la non retribuzione dei tirocini, superando la riforma Fornero che stabiliva un'indennità obbligatoria per stage e tirocini extracurriculari, vale a dire svolti oltre il periodo di studi universitari, che non poteva essere al di sotto dei 300 euro. La Youth Guarantee invece è il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile (applicabile ai giovani tra i 15 e i 29 anni), previsto per i paesi che hanno un tasso di disoccupazione giovanile al di sopra del 25%, realizzabile attraverso un finanziamento da parte dell’UE di 567,51 milioni. Fulcro centrale per l’attuazione del piano è il potenziamento degli uffici per l’impiego importanti per realizzare programmi di formazione e di inserimento nelle aziende alle quali verranno corrisposti incentivi finanziari. Una nota della Commissione europea del 13 giugno, esprimeva preoccupazione per la “mancanza di risorse sufficienti perché il servizio del collocamento pubblico, previsto come pilastro centrale della garanzia, possa offrire un servizio omogeneo nel paese”. Di fatto si profilo l’ennesimo spreco di risorse, regalate alle aziende, con il rischio che la Garanzia rimanga inattuata.
Gli interventi legislativi in materia di formazione da inizio anni 90 in poi, sono stati ispirati dalla necessità di “aziendalizzare” l’università. L’Autonomia organizzativa e finanziaria prevista per gli Atenei è funzionale ad attivare contratti, convenzioni, consorzi o trovare semplici contributi da privati; dunque attraverso il principio della concorrenza e della competizione l’obbiettivo è costruire luoghi di formazione di serie A e B in grado di selezionare gli studenti, avvicinando i percorsi formativi alle esigenze di mercato. Si delinea una università-fabbrica, dove la merce della fabbrica è lo studente, mentre le aziende diventano clienti, pronte ad acquistare questa merce “a prezzi vantaggiosi”. Come vedremo nel dettaglio dopo, l’obbiettivo di questa istituzione è sfornare una percentuale sempre più alta di precari, disposti ad accettare condizioni lavorative non in linea con le aspirazioni di chi accede agli studi universitari, con le conoscenze acquisite nel ciclo di studi funzionali alle nuove tecniche produttive che spesso assicurano alti profitti. Ecco l’Università come fabbrica di precari.
Questo excursus storico, collegato ai dati in relazione al mercato del lavoro, sono utili a comprendere il ruolo che stage e tirocini hanno nel mercato del lavoro: gli ultimi dati Istat ci consegnano una disoccupazione giovanile al 46%, nello specifico il tasso di disoccupazione fino a 29 anni (35 anni) per i giovani che hanno conseguito la laurea o un titolo di studio superiore, dal 2011 ad oggi è salito dal 17.2% (11.5%) al 28,2% (18,5%). Studiare oggi non rappresenta più una garanzia per l’ingresso nel mondo del lavoro. Per rendersene conto basta dare uno sguardo ai dati Eurostat (Labour Force Survey) sull’occupazione (da 1 a 3 anni dal conseguimento del titolo) dei giovani diplomati e laureati tra i 20 e i 34 anni: dal 2008 ad oggi è passato dal 65,2% al 48,3% (dal 71% al 56% per i laureati), con un crollo ben più pronunciato di quello medio dell’Unione Europea, passato dall’82% al 75,4%. Inoltre, se andiamo indietro di qualche anno, al 2010, dopo tre anni dall’esplosione della bolla speculativa sui sub-prime possiamo osservare che chi conseguiva la laurea, e trovava un lavoro, ha più probabilità di trovare un posto di lavoro con contratto atipico (39,2%) rispetto a chi consegue un diploma (34,3%) (si tratta di primo contratto). Incrociando questi dati con quelli del sottoinquadramento, si raggiunge poi un quadro ancora più grottesco: infatti il 47,1% dei giovani fino a 34 anni laureati e diplomati possiede un titolo di studio superiore a quello richiesto per svolgere la professione. Per il laureati questa percentuale sfiora il 51% nel caso dei contratti atipici.
Quindi se mi laureo, ho il 56% di probabilità di trovare un lavoro, che ha il 39,2% di probabilità di essere atipico e il 51% di essere pure sottoinquadrato!
E’ evidente che in questa situazione chi intraprende un percorso di studi superiori finisca per diventare un “giovane disposto a tutto”, disposto ad accettare condizioni quasi servili con la speranza di rimanere a galleggiare sulla soglia dell’ingresso nel mondo del lavoro. E stage e tirocini sembrano essere proprio lo strumento principale con il quale l’economia della speranza viene portata avanti. Peccato che i dati raccolti a livello nazionale da Unioncamere, attraverso la sezione dell'indagine annuale Excelsior dedicata ai tirocini formativi, dimostrano che purtroppo la percentuale di assunzione media dopo lo stage in Italia è sotto al 10%. Di fatto, secondo il rapporto McKinsey Education to Employment 2013, da noi chi fa uno stage ha solamente il 6% di probabilità in più di trovare lavoro rispetto a chi non lo fa.
Infine, se guardiamo oltre il territorio statale, ci rendiamo conto che lavorare gratis o con rimborsi insufficienti è una condizione comune al 60% degli stageur in Europa, e questo proprio grazie alle politiche di "armonizzazione" del mercato del lavoro che i vari stati rappresentati a vario titolo nelle istituzioni europee decidono di perseguire.
Questi dati ci consegnano un dato oggettivo, ossia l’istituzionalizzazione della precarietà come forma di lavoro tipico, e che vede nella relazione tra mercato del lavoro e formazione l’ingranaggio centrale per la realizzazione di queste forme di sfruttamento “istituzionalizzate”.
Al di là delle buone ragioni di chi solleva il carattere paraservile di strumenti come stage e tirocini, giovani studenti e non, hanno una percezione di questi strumenti come ultima occasione per poter “uscire” dal guado della disoccupazione, e adottare un linguaggio solo di “propaganda” o di attacco ideologico nei confronti di questi dispositivi senza essere in grado di indicare delle alternative reali per sottrarsi a queste forme di ricatto, rischia di essere controproducente e di allontanare i potenziali interlocutori.
Quindi, il nostro sforzo deve essere quello di individuare, su questo tema, strumenti in grado di andare oltre la retorica e che rendano tangibili e comprensibili ai più le contraddizioni che intendiamo sollevare.
Ipotesi di lavoro:
1. Questionario da somministrare a studenti su tema stages e tirocini;
2. Eventuale campagna di contrasto su tema youth guarantee che riesca a far emergere non solo la critica sul lavoro non retribuito, ma che punti a sottolineare le difficoltà strutturali nella realizzazione della garanzia e lo spreco di soldi coinvolto;
3. Collegamento tra i punti precedenti e l’expo, sul lavoro volontario propagandato come occasione di “crescita e valorizzazione”.