Non parlate di noi parlate con noi

Fri, 04/08/2017 - 10:46
di
Meticcia/CIR

La lotta al sistema tentacolare del caporalato passa per certo dall’applicazione delle leggi vecchie e nuove di contrasto del fenomeno, ma oggi più che mai l’osservazione delle forme di sfruttamento lavorativo mette in risalto la necessità di un processo di cambiamento culturale che abbisogna del coinvolgimento diretto dei lavoratori migranti.
Dopo un lungo e tuttora attuale percorso psicolegale di orientamento, di interventi di presa in carico individuale sui tema del diritto, dello status giuridico, delle condizioni esistenziali, il CIR attraverso le sue avvocatesse Donatella Tanzariello e Stella Giannini e la sua mediatrice Francesca Carrozzo, l’Associazione DIRITTI A SUD, la psicoterapeuta Chiara Marangio (dell’Associazione METICCIA) hanno maturato l’idea di stimolare lo scambio di informazioni e di visioni mediante il dispositivo dell’assemblea, inclusivo della loro presenza e di quella dei migranti stagionali sostanti in area di Nardò (e nello specifico nei pressi della Masseria Boncuri).

Nell’intento di stimolare la consapevolezza, l’autorganizzazione, la partecipazione attiva, l’autodeterminazione singola e collettiva, il primo incontro assembleare si è svolto nello spazio prospiciente la Masseria, accanto al campo di tende e vicino uno spazio per la preghiera improvvisato con cartoni posti sul terreno. Dunque, ognuno fuori dai propri spazi, in un luogo simbolico terzo rappresentato da un cerchio. Il confronto si è aperto con l’idea che sia giunto il momento di strutturare il momento del parlarsi vicendevolmente e di dare voce alle proprie realtà, non cedendo il passo al racconto altrui, invitando i soggetti a confrontarsi senza deleghe o soggezioni.
L’apparentemente banale operazione di invitare alla parola è un passaggio importante nella determinazione della soggettivazione a fronte di un’oggettivazione corrente del migrante come braccia da lavoro, come corpo muto e operativo al servizio del mercato.

L’assemblea – svoltasi il 31 luglio 2017 a mezzogiorno circa, per conciliare un orario comune di ritorno dal lavoro nei campi – ha visto una partecipazione numerosa ed attiva.
L’incontro ha avuto come cardine l’informazione sul protocollo d’intesa siglato qualche giorno prima in Prefettura sulla questione dei diritti lavorativi, abitativi, di servizi e del contrasto allo sfruttamento.
Nessun migrante era difatti a conoscenza del contenuto del protocollo, ma il tema – oltre all’obiettivo della diffusione di un orientamento – ha funto da espediente per incoraggiare i lavoratori ad esprimere domande e posizioni sulle proprie precarie quotidiane condizioni di vita.
Dall’uso dei servizi sanitari (medicina generale e medicina del lavoro) alla carenza di adeguati servizi igienici e di pulizia degli stessi, dalla mancanza di materassi e di tende al sovraffollamento delle stesse, dall’insufficienza di acqua potabile (la cui temperatura la rende inservibile all'uso specifico dalla 10 del mattino in poi) e dei servizi di lavanderia, dalla carenza di uno spazio per la preghiera al divieto di autoallestire spazi per la cucina (quest’ultimo è un importante ostacolo ad un sufficiente nutrimento), dalla mancanza di un servizio di trasporto sui campi alla mancanza di un servizio navetta che riconduca i lavoratori alla città durante le ore non lavorative, i migranti hanno preso parola, a turno, ascoltandosi, dichiarandosi nei loro bisogni di comprensione del contesto e di informazione circa i limiti e le possibilità, esprimendo il disagio sull’impossibilità di vivere anche minime condizioni di normalità e di dignità.
La notizia del probabile allestimento di un'area con container climatizzati nel campo attiguo alla Masseria ha sollecitato numerose domande circa i criteri per potervi accedere. La richiesta ridondante di orientamento è diventata pian piano mandato dai migranti stessi alle associazioni presenti affinché possano reperire notizie a proposito e renderli partecipi.

La dimensione collettiva del dispositivo assembleare rende evidente come il silenzio ricattato dei migranti sia sovvertibile e di come la dimensione del Cerchio crei le condizioni dell’attenzione, del contenimento, della riflessione e della condivisione di posizione, cosi come di una contaminazione di pensiero che genera altro pensiero e altra parola, favorendo un sostegno all’idea di uscita dalla solitudine e dalla precarietà estrema, dall’isolamento e dall’invisibilità muta.
Sul piano gruppale, ogni singolo può specchiare il proprio sentire e il proprio desiderio e il proprio senso del diritto in quelli dell’altro a lui accomunato da simili condizioni di contesto.
Sul piano individuale, il gruppo si riconosce nella possibilità di assumere una propria forza interna, capace di azioni di solidarietà e di mutualismo, di attivazione.
Sebbene immerso in un luogo di estrema povertà di risorse, il dispositivo assembleare pare assumere la potenzialità di un irraggiatore di consapevolezza circa la responsabilità di ognuno e circa la propria capacità di azione e di organizzazione. L’informazione diffusa consente inoltre di attribuire le responsabilità proprie e altrui con una lucidità tale da discriminare e selezionare più adeguatamente le informazioni, senza equivoci o illusioni. È pertanto possibile praticare uno scambio che diventa operazione di orientamento verso la giustizia sociale, che trova sostanza a partire da minimi gesti quotidiani fino all’elaborazione e all’interiorizzazione di un concetto di diritto, sintesi delle esperienze precedenti ed individuali dei migranti e dei soggetti associativi.
Se da un lato, infatti, i migranti acquisiscono strumenti per muoversi nel contesto, dall’altra le associazioni che li accompagnano incontrano il loro modo di dare significato al diritto, alla dignità, smussando i confini di una differenza di senso che se non colta rischia di diventare distanziante.
Il passaggio dalla posizione di vittime impotenti a quella di attori di cambiamento (seppur con molte difficoltà) è possibile anche attraverso l’utilizzo di spazi di scambio ove i disagi e i conflitti possano esprimersi in forma di parola e pertanto trovino canalizzazione in azioni adeguate, costruttive e in pensieri alternativi rispetto allo stato dell’arte.
Attribuire la necessità del cambiamento al migrante non deve altresì mai essere confuso con una delega totale, col rischio di estromettere e giustificare il lassismo, l’incuria, la mancanza di responsabilità piena da parte dei soggetti statali e istituzionali, sempre attori necessari allorchè si vogliano scardinare dinamiche e meccanismi divenuti endemici al sistema.
Le associazioni che hanno condotto l’assemblea e che da novembre 2016 collaborano, integrando le proprie rispettive competenze e differenze, sono sempre più convinte della necessità di continuare ad usufruire di tutte le occasioni di scambio organizzate ai vari livelli e fra i vari soggetti, per favorire una maturazione del processo di emancipazione individuale e politica che possa aver valenza a lungo termine, sulle esistenze e oltre lo spazio del campo e del lavoro stagionale e precario.
Da questa esperienza, che troverà periodica occasione di replica (le assemblee continueranno e si ripeteranno all'occorrenza nel corso delle prossime settimane), prende l'avvio un processo di protagonismo dal basso, divenendo luogo e occasione di testimonianza diretta del disagio e del sopruso, modalità e dispositivo di confronto, di scambio, di ricerca di riscatto e risposte, di “uscita dal campo”.

*Dott.ssa Chiara Marangio (psicoterapeuta - Ass. Meticcia)
Avv. Donatella Tanzariello (CIR)
Avv. Mariastella Giannini (CIR)
Dott.ssa Francesca Carrozzo (mediatrice linguistico- interculturale - CIR)
Ass. Diritti a Sud