Mshikamano - antirazzismo a sfruttamento zero #1

Tue, 17/10/2017 - 18:40
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A cura di Marie Moise

In Italia il clima di razzismo dilaga e preoccupa, ma la cosa più grave è che sono le leggi recentemente approvate ad alimentarlo. La leggi Minniti, introducendo il lavoro gratuito per i richiedenti asilo, aggrava una situazione in cui migrare significa ritrovarsi confinato a condizioni di vita di isolamento, assenza di diritti fondamentali, ma soprattutto condizioni di lavoro di estremo sfruttamento, ricatto e violenza.
A questa situazione però rispondono diverse esperienze che in giro per l’Italia hanno fatto del lavoro collettivo, solidale, autogestito e a sfruttamento zero, dei veri e propri progetti.
Al di fuori dalle logiche del mercato, una lotta al razzismo si concretizza nell’affermare che un’altra accoglienza è possibile, praticando condizioni di vita e di lavoro che restituiscono dignità.
Inauguriamo oggi un ciclo di interviste a questi progetti, per provare a conoscerli più da vicino attraverso le voci di chi quotidianamente li porta avanti.
Ininiziamo andando in un quartiere della periferia Nord di Milano, nello spazio recuperato di Ri-Make, e più specificamente nella cucina di questo spazio, dove ha preso vita il progetto dell’associazione Mshikamano.
Obiettivo dell’associazione è dare vita ad un’attività lavorativa, che consenta a rifugiati, richiedenti asilo e nativi, di affrontare la loro situazione di precarietà economica. Mshikamano lo fa attraverso un progetto di lavoro condiviso e autogestito, proponendo piatti delle tradizioni culinarie sub-sahariane ed europee, a decine di persone che abitano e lavorano in quartiere.

Come si chiama il vostro progetto e qual è il significato del vostro nome?

La nostra associazione si chiama Mshikamano, che in swahili significa solidarietà.

Quando e come è nato il progetto e di cosa vi occupate?

Abbiamo iniziato a lavorare insieme circa due anni fa a partire da alcune rivendicazioni nate all’interno del centro di accoglienza di Bresso. La nostra associazione è nata ufficialmente a febbraio del 2017.
Attualmente, ci basiamo su attività di cucina e di sartoria, ma abbiamo in mente molti altri progetti come per esempio l’avvio di una ciclofficina. Inoltre abbiamo sempre portato avanti un’attività di rivendicazione politica per i diritti di tutti i migranti. In più, stiamo provando a sviluppare un progetto riguardante un ostello popolare autogestito da noi.

Dove si svolge e chi fa parte del progetto?

Per il momento le nostre attività si svolgono a Ri-Make, proprio dove è nata l’associazione. Però stiamo cercando un altro edificio da dedicare completamente all’associazione e dove basare e sviluppare il nostro progetto di ostello popolare.
L’associazione è un gruppo di solidarietà tra cittadini italiani e immigrati di diverse nazionalità che hanno deciso di provare ad installarsi in Italia e di contribuire allo sviluppo di questo paese.

Dove vivono i migranti che partecipano al progetto?

Prima vivevamo tutti al centro d’accoglienza di Bresso, ci siamo conosciuti li. Ora viviamo tutti in Lombardia ma in diverse tipologie di centri d’accoglienza.

I migranti della vostra associazione hanno fatto altre esperienze di lavoro in italia? Che differenza c'è tra queste e il lavoro all'interno del progetto

Alcuni di noi si hanno avuto esperienze di lavoro, altri no. I lavori che abbiamo fatto comunque erano sempre di formazione o volontari, non siamo stati pagati. Inoltre le difficoltà aumentano perché i nostri diplomi purtroppo non sono facilmente riconosciuti in Italia.
L’associazione ci aiuta a creare qualcosa che sia nostro, tutti insieme, e ci permette di uscire e di rimanere attivi piuttosto che restare tutto il tempo dentro i centri di accoglienza. Ci permette anche di esprimerci più liberamene e di relazionarci con gli italiani.

Quali sono gli obiettivi del progetto e le parole chiave su cui si basa il vostro lavoro?

L’obiettivo è quello di aiutarsi collettivamente per essere dei lavoratori liberi e indipendenti senza sfruttamento, quello di contribuire all’economia e alla società italiana e di provare a integrarsi come dei cittadini veri.
Le parole chiave della nostra associazione sono eguaglianza, tolleranza, armonia, dignità, lavoro, rispetto.

Come lavorate per il sostentamento economico del progetto?

Adesso non riusciamo ad avere un vero e proprio sostentamento economico sufficiente, ma facciamo del nostro meglio sperando in un futuro di riuscire a sviluppare il progetto dell’ostello che sarebbe un vero lavoro. Per il momento lavoriamo almeno due volte a settimana cucinando e servendo i pasti per le persone che vengono a mangiare a Ri-Make, alcuni di noi si occupano anche della sartoria e vendono dei prodotti. Sono tutte attività in preparazione del progetto più grande.

Siete in relazione con altri soggetti e progetti?

Conosciamo la rete People before borders, con cui siamo entrati in relazione all’inizio quando ancora non c’era l’associazione a partire dalle manifestazioni organizzate. E poi siamo in relazione con Sfruttazero di Bari e Karalò di Roma.

Quali sono le difficoltà attuali nel lavoro che fate? La situazione politica italiana condiziona il vostro lavoro?

Abbiamo delle difficoltà materiali: ci mancano delle cose, gli spazi sono molto piccoli e non proprio legali. E poi abbiamo difficoltà economiche perché non guadagniamo molto per adesso.
La politica condiziona si e no. Da una parte no perché sentiamo e vediamo che c’è molta solidarietà che ci sostiene. Dall’altra parte però non possiamo lavorare normalmente perché non siamo considerati come meriteremmo. Questa è la nostra preoccupazione più grande.

Ci raccontate un momento particolarmente importante per il vostro percorso?

Non c’è un momento preciso. In generale, quando sentiamo e vediamo che le persone che incontriamo qui e per le quali e con le quali cuciniamo apprezzano noi e il nostro lavoro e ci incoraggiano a continuare. In questo senso, ogni giorno è importante.
Noi vorremmo ottenere i documenti per poter integrarci, per poter lavorare e vivere come gli altri. Sono già 2, 3 anni che siamo qui, vogliamo rimanere e partecipare allo sviluppo di questo paese, con l’aiuto del governo. Vorremmo anche chiedere alle autorità italiane di accordarci tutto quello di cui c’è bisogno per poter sviluppare concretamente il nostro progetto di lavoro. Sappiamo che ci vuole tempo, ma speriamo che ci ascoltino.