Migranti: per non parlare (e pensare) da “piazzisti da quattro soldi”

Mon, 17/08/2015 - 12:49
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Intervista a Federico Cuscito di Fortunata dell'Orzo*

Un po’ di chiarezza sui termini e le circostanze che accompagnano la vicenda epocale e globale delle migrazioni nel Mediterraneo. Un’intervista a Federico Cuscito, che da volontario e attivista del collettivo Rivoltiamo la precarietà segue da vicino le vicende dei tanti rifugiati politici o richiedenti asilo che Matteo Salvini, Beppe Grillo e tanti altri, anche giornalisti (come Salvini), si ostinano a definire sbrigativamente e razzisticamente “clandestini”

Nonostante la situazione internazionale lo richiederebbe, l’Italia non si è ancora data una vera legge sul diritto di asilo. Oggi qual è la situazione?

Una premessa: l’Italia deve sempre e in ogni caso osservare i dettami della Convenzione ONU relativa allo status dei rifugiati del 1951, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, nonché l’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Beppe Grillo e Salvini prima o poi dovranno farsene una ragione. Il Regolamento di Dublino del 2003 invece norma il diritto di asilo all’interno dell’Unione Europea e sancisce che il richiedente asilo possa presentare la propria istanza al paese membro ove è stato identificato (e non altri, a meno di casi specifici molto rari). In Italia, invece, il diritto d’asilo è riportato dall’art.10 della Costituzione: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Nel 2005 una sentenza della Cassazione ne ha però evidenziato tutti i limiti: manca un dispositivo che disciplini effettivamente le condizioni di tutela di quanti abbiano già ottenuto un permesso di asilo o sussidiario. Manca appunto una legge che possa permettere a queste persone di superare agilmente tutti i rivoli burocratici che sono costretti ad affrontare. E’ per esempio assurdo che un rifugiato, nonostante abbia ottenuto un regolare permesso che ne riconosce il diritto sacrosanto all’asilo, non possa rinnovarlo senza residenza.

Si discute sullo ius soli e lo ius sanguinis, un tema legato alla concezione e alla concessione della cittadinanza italiana. Anche qui, a che punto siamo?

E’ una questione di civiltà: non si capisce come mai una persona nata in Italia, che studi o lavori qui, e che sia soggetta ai nostri stessi doveri e alle nostre leggi non debba essere considerato italiano a tutti gli effetti, e godere dei nostri stessi diritti civili e democratici. Ricordiamo che lo Ius Soli è adottato saldamente da paesi che proprio non mi sembra siano di tradizione “comunista”: Stati Uniti, Canada, Grecia, Francia (seppur con un regolamento più rigido), Portogallo, Irlanda, Regno Unito e Finlandia. In Italia, invece, i governi susseguitisi in questi anni non hanno mai avuto il coraggio di fare un passo in avanti che invece in altri paesi è stato naturale. Sembra incredibile, ma in Italia si può accedere allo Ius Soli solo in casi eccezionali, e cioè se si è figli di apolidi o ignoti nati in Italia. Come sempre ci copriamo di ridicolo. Del resto, è una situazione che non dovrebbe sorprendere: i governi di centrosinistra e centrodestra hanno mostrato una linea di assoluta continuità rispetto alle politiche sull’immigrazione sin dalla votazione della famigerata legge Turco-Napolitano, che ha posto le basi per la bestiale legge Bossi-Fini.

Le recenti morti in campagna, anche di una lavoratrice italiana, hanno riaperto il tema del caporalato e in generale delle condizioni di ingaggio e di lavoro degli stranieri. Un altro tema su cui è calato un silenzio davvero incomprensibile.

Qualche tempo fa è stato redatto un interessantissimo documento da parte di Medici per i Diritti Umani, “Terraingiusta”. Si tratta di un dossier che getta una luce sulle condizioni dei tantissimi migranti sfruttati nelle nostre campagne. E non lesina sorprese o l’abbattimento di luoghi comuni: per esempio la stragrande maggioranza di queste persone non sono “clandestini”, ma in possesso di regolare permesso di soggiorno. In molti casi, sono proprio rifugiati, che al contrario di quanto afferma Matteo Salvini nei propri deliri, non se la spassano in hotel a 5 stelle, ma lavorano appunto in condizioni disumane nei nostri campi. Inoltre, oltre l’80% di questi lavoratori non ha alcun contratto; lavorano cioè “in nero”. E anche nei rari casi in cui il contratto c’è, non garantisce assolutamente un trattamento equo. C’è un’ipocrisia di fondo: la condizione dei braccianti nelle nostre campagne è conosciuta da tutti, ma le istituzioni non hanno mai fatto nulla di reale per fermare tale scempio. Tanto meno i sindacati. Basta dare un’occhiata all’epilogo della protesta dei migranti impiegati nei campi di Nardò di qualche hanno fa. Denunciarono i caporali e manifestarono coraggiosamente per i propri diritti, ma sono stati lasciati da soli, abbandonati da chi poi nei convegni ed in televisione si strappa le vesti e pontifica di azioni che non si concretizzano mai. La verità è che i caporali sono solo la punta dell’iceberg. Lo sfruttamento dei braccianti agricoli è alla base di un sistema economico che vede come principali beneficiari i grandi gruppi industriali del settore alimentare. Lobby economiche che, arrestato un caporale, si affidano ad un altro. Gli ultimi casi di lavoratori uccisi nei campi hanno poi evidenziato due aspetti importanti: quanto siano infondate e vuote le affermazioni di chi sostiene che negli ultimi 10 anni in Puglia siano migliorate le condizioni di vita, e che anzi, ci sono sacche di povertà, composte da italiani e migranti, sempre più lontani da ogni tutela o speranza. Per fortuna si registra anche la nascita di progetti di autorganizzazione dal basso che segnano un’alternativa coraggiosa a questo sistema di sfruttamento. Uno su tutti è “Sfruttazero”, costruito da realtà pugliesi e lucane, che punta alla produzione di salsa di pomodoro e non solo, garantendo a chi vi sta partecipando, migranti e giovani precari italiani, una condizione lavorativa ed una retribuzione degne di questo di questo nome, senza padroni, caporali e soprattutto sfruttamento.

Secondo lei quale regione italiana pratica meglio la seconda accoglienza dei migranti?

La totale inadeguatezza della seconda accoglienza è una problematica comune a tutte le regioni e città italiane. Il sistema S.p.r.a.r. (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è inefficace, dal momento che interviene su una percentuale minima di aventi diritto, pur usufruendo di finanziamenti ingenti, e nella maggioranza dei casi risulta anche inefficiente. I migranti che entrano in questi progetti, permangono per 6 mesi o un anno in una casa, o uno spazio alternativo, e nel frattempo dovrebbero essere sostenuti in un percorso di inclusione sociale, culturale e lavorativa. Purtroppo non è così. Personalmente, non ho mai incontrato un rifugiato che valutasse positiva l’esperienza avuta in uno di questi progetti. Mi preme sottolineare che la responsabilità di tutto questo non è assolutamente da attribuire agli operatori sociali che lavorano negli S.p.r.a.r., che anzi sono sfruttati e sottopagati (peraltro risaputamente sempre con grandi ritardi). Non mi risulta inoltre che i comuni che partecipano alle graduatorie per l’assegnazione dei finanziamenti dello S.p.r.a.r., effettuino poi un controllo per conoscere la qualità del servizio offerto ai rifugiati. Ci sarebbe da chiedersi a questo punto perché non elargire direttamente ai rifugiati che ne fanno richiesta i soldi che finiscono invece nelle mani di grandi associazioni e cooperative che gestiscono i progetti. Una menzione a parte, rispetto all’incapacità di offrire una seconda accoglienza dignitosa la merita il comune di Bari, capace di sgomberare un palazzo pubblico occupato da 150 rifugiati politici prima costretti a dormire per strada, solo per sistemarli in un vero e proprio ghetto istituzionalizzato; una tendopoli in un fatiscente capannone abbandonato, l’ex-Set, in cui i migranti sono costretti a vivere in otto in una singola tenda, senza distinzione di sesso o nuclei famigliari, tra topi e colombi che spargono le proprie deiezioni un po’ ovunque.

Le brutte storie di mafia capitale hanno parzialmente portato alla luce le speculazioni sul dramma dei migranti. Cosa dovrebbe cambiare nel sistema, secondo lei?

Anche in questo caso, lo scandalo e gli arresti non hanno fatto altro che portare a galla un sistema conosciuto da tutti. E’ un naturale sviluppo della privatizzazione delle politiche di “accoglienza” (faccio un grande sforzo ad utilizzare questa parola), che porta un certo tipo di terzo settore, diretto da veri e propri imprenditori della disperazione e legato clientelarmente alla politica istituzionale, a trasformare i richiedenti asilo in merce. Oggi sappiamo che se un centro di accoglienza per richiedenti asilo che può accogliere al massimo 744 persone, come nel caso di Bari, ne accoglie invece 1488, chi lo gestisce incrementa enormemente i propri guadagni, e soprattutto che i famigerati “30 euro al giorno”, non arrivano assolutamente ai migranti. Anche in questo caso, il problema andrebbe risolto alla radice: bisognerebbe ripubblicizzare il servizio di accoglienza, eliminando la possibilità che si possa lucrare su disperazione e povertà. Altresì, anche in questo caso, si potrebbe distribuire i guadagni esorbitanti dei centri di accoglienza direttamente a chi ne avrebbe davvero diritto. Secondo me si garantirebbe una prima accoglienza dignitosa a tutti e si riuscirebbe persino a sostenere concretamente i tanti italiani in condizione di indigenza.

*Fonte articolo: http://www.ilquotidianoitaliano.it/attualita/2015/08/news/migranti-unint...