Lucia Bertell, se lo sguardo si innamora del mondo

Sun, 02/09/2018 - 10:01
di
Alessandra Pigliaru*

In ricordo di Lucia e della sua amata lotta.

Sentire «la delicatezza del poco e del niente», in una felice espressione di Mariangela Gualtieri, significa saperne celebrare l’essenzialità, distinguerne la consistenza – nella sorte che li accomuna. Difenderla, quella delicatezza di sé e del mondo, al riparo dal frastuono del mercato, da una visione economica devastante, da parole funeste, è avere attenzione per i viventi e la terra che abitano. Partire da qui, dalla precisione che è anzitutto un modo di assumere sopra di sé la responsabilità di un futuro che sia vivibile.

Questa inclinazione dello sguardo, nel verso della generosità, era quella di Lucia Bertell, scomparsa giovedì sera all’età di 54 anni a Verona. Ricercatrice indipendente e cooperatrice, da molti anni impegnata nella progettazione partecipata e nella ricerca sociale sul lavoro, Lucia Bertell era una femminista, là dove la parola femminismo ha ancora il senso di una pratica quotidiana della relazione.

QUANDO, nel corpo e nell’impegno, la politica delle donne è una festa da cui guardare l’esistenza e soprattutto l’esistente. E procedere alla nominazione della realtà – quella stessa realtà che ora si priva di una delle sue menti migliori per essere letta. Con radicalità e altrettanta semplicità, in un orizzonte – come amava spesso ripetere e scrivere – di «praticabilità della vita».
È da questa individuazione che la ricerca e il posizionamento politico di Lucia Bertell muovono. La sua «militanza», rintracciabile nel punto medio tra l’agire, le pratiche e l’accademia, si può leggere nella bella monografia Lavoro ecoautonomo, edita per elèuthera due anni fa. Congedate le impostazioni sociologiche tradizionali, secondo cui dovrebbe essere la gabbia teorica a trovare riscontri nei risultati, Bertell esplicita proprio in quelle pagine la vicinanza alla Grounded Theory che attiene a una modalità di indagine di carattere induttivo. Lo spostamento è quello che dalla più nota «economia solidale» o «altra economia» arriva a rappresentarsi come «diversa». È infatti il filo esperienziale che diventa un «sapere del lavoro» che viene a configurarsi non come semplice ricerca sul campo, bensì come scommessa di pluralità a cui attingere.

CAPACI di «creazione sociale», le «economie diverse» non sono forme di emarginazione etica né coincidono con il terzo settore. Le ricerche sulla trasformazione di lavori sono piuttosto da intendere come emersione di altrettanti modi di vivere.
Durati anni tra Veneto e Sardegna e innervati dalle parole delle e degli intervistati, i progetti sono stati portati avanti da Bertell con alcune relazioni cruciali quali quelle con Antonia De Vita, Federica De Cordova e Giorgio Gosetti, con cui firma un anno fa Senso del lavoro nelle economie diverse. Uno studio interdisciplinare (per Franco Angeli).

A interrogarla, sia nella condivisione in seno al gruppo TiLT/Territori in Libera Transizione (di cui ha dato conto, con De Vita, Gosetti e Deriu nel 2013 in Davide e Golia. La primavera delle economie diverse, edito da Jaca Book), è ancora prima il confronto relazionale con Cristina Cometti, «trasferita in Sardegna – precisa Bertell in una intervista per le pagine di questo giornale – per un cambio di stile di vita e di lavoro. Quello di cui le donne e gli uomini intervistati mi parlavano non aveva più a che fare con un mondo alternativo caratterizzato da buoni valori solidali, ambientalisti, mutualisti. Questi valori, pur presenti nella cultura e nei percorsi personali, sono rimasti come sfocati mentre a tinte forti emergevano i tratti dell’autodeterminazione e della libertà».

LA PASSIONE per il mondo che ha nutrito Lucia Bertell è stata costellata da numerose imprese incarnate, come per esempio quella decisiva con la rete di economia solidale di Verona «Le Matonele», e ancora i gas e altri gruppi sparsi per tutta Italia, luoghi che non solo ha frequentato ma ha animato, inaggirabile come è stata la sua intelligenza.
Anarchica, ha fatto fiorire il pensiero della differenza sessuale (da segnalare il suo «Tu che ti nascondi dentro tutti i nomi» nel volume del 2017 di Diotima, Femminismo fuori sesto per Liguori) mostrando come «il partire da sé» potesse applicarsi all’ordine sociale inteso non più come secondario ma terreno necessario e generativo per decifrare e trasformare la miseria del presente, Lucia era dotata di un protagonismo niente affatto egocentrato.
Aveva invece la salda convinzione che l’incontro con l’altro e l’altra potesse essere dirimente. E lo è stato, lo è stato e lo sarà ancora per gruppi come Genuino Clandestino, l’associazione veneta di produttori biologici e biodinamici, Biosardinia e tanti altri che ne rimpiangeranno la mancanza ma che la terranno nel calore della propria gratitudine.

COSÌ LA VICINANZA a realtà veronesi quali NonUnaDiMeno o La Sobilla, tutti luoghi che frequentava e con cui aveva la lungimiranza di mettersi in ascolto.
Ecco perché di Lucia Bertell, sarebbe bello continuare a parlare al presente; non per ricacciare indietro l’ineluttabilità della morte ma per continuare insieme a lei a dire di sì alla vita anche quando ci lascia ogni giorno più in solitudine.
Per salvare ancora – accanto a lei – «la delicatezza del poco e del niente». Perché è un’intimità con i viventi e la terra che abitano che Lucia Bertell, in mezzo a tanta insopportabilità che ci tocca in sorte, ci ha insegnato – maestra di sguardo innamorato sulla realtà e sulle sue lotte, creatura di una libertà che le ha consentito di volare. Sollevarsi in alto, anche oltre l’ingiustizia di averla perduta.

*Fonte articolo: https://ilmanifesto.it/lucia-bertell-se-lo-sguardo-si-innamora-del-mondo/