Le lezioni dalla lotta dei lavoratori della Composad di Viadana

Mon, 10/07/2017 - 10:21
di
La Boje - Mantova

Dopo due mesi di lotta i lavoratori Composad si sono dovuti confrontare con un rapporto di forza che da una parte vedeva loro con le proprie famiglie, dall’altra un blocco di potere composto dal Gruppo Saviola e Confindustria, dal sindaco della LegaNord Cavatorta, da LegaCoop e dalla stessa CGIL che ha aizzato i lavoratori garantiti contro gli scioperanti.
La prefettura, organo di tutela statale, ha permesso a Saviola di stracciare l’accordo firmato pochi mesi prima e successivamente è stata a guardare aspettando un calo fisico o mentale di chi stava lottando. Ad oggi non possiamo dire di star vincendo, ma c’è più di un elemento che può contribuire a rafforzare il protagonismo dei lavoratori nel nostro territorio per la difesa o la conquista dei propri diritti.

1. precarietà garantita
Da vent’anni il lavoro precario viene presentato come necessario ad aumentare l’occupazione ed andare incontro a richieste produttive variabili poiché influenzate dai mercati. Qualche sindacato e politico di centro-sinistra ci diceva che la precarietà (loro preferivano flessibilità) permetteva a giovani, donne e migranti di entrare nel mercato del lavoro, diminuendo così la disoccupazione.
Abbiamo invece potuto notare che la precarietà si è diversificata in una molteplicità di situazioni lavorative (interinali, cooperative, finte partite iva, voucher) e queste sono la normalità per le parti più giovani della forza lavoro in Italia.
Parallelamente però è diminuito il potere contrattuale e i salari dei lavoratori “garantiti”.
La soppressione dell’articolo 18, prevista dal JobsAct, è avvenuta infatti in un momento in cui nelle aziende medio/grandi questa norma era già ampiamente aggirata dalle forme contrattuali a tempo determinato.
La serenità con cui milioni di lavoratori sono posti continuamente sotto ricatto, si basa appunto sulla disarticolazione delle regole predisposta dalle varie riforme del lavoro indirizzate ad aumentare la precarietà e alla difficoltà di costruire nodi di solidarietà tra lavoratori, tra i quali la forma di contratto è sempre più individuale e sempre meno collettiva.
La lotta di Viadana ci insegna che non ci può essere una reale difesa di tutti i lavoratori di un sito produttivo, fino a quando si considerano gli operai dei comparti esternalizzati come esterni all’azienda. Difendere solamente i garantiti (e in questo caso metterli contro i “non garantiti") non è solo spregevole, ma come mostra la parabola dalla legge Treu al Jobs Act, perdente.

2. cos’è e cosa fa un sindacato?
I sindacati confederali e LegaCoop hanno tenuto per anni sotto silenzio ciò che accadeva quotidianamente nella logistica di Saviola (buste paga dimezzate, straordinari non pagati e chi si lamentava veniva lasciato a casa), oliando così un sistema che ha fatto risparmiare (e quindi guadagnare) a Saviola una montagna di profitti.
Saviola ha fatto valere la sua posizione nella struttura di potere del territorio provando in ogni modo a delegittimare ADL Cobas.
Questo sindacato di base da un anno e mezzo non sta facendo nulla di estraneo alla storia delle lotte dei lavoratori, proprio quelle con cui abbiamo ottenuto le garanzie oggi in via d’estinzione.
Sono entrati nelle aziende, hanno letto le buste paga e, sottolineando le anomalie, hanno organizzato una lotta mettendo al centro l’assemblea dei lavoratori.
Un approccio democratico e coinvolgente che raramente si incontra nei luoghi di lavoro.
É chiaro che in Italia la Confindustria e i sindacati confederali non vogliono che i lavoratori abbiano gli strumenti per scavalcarli.
Un’episodio recente di questo atteggiamento è rappresentato dalle convergenze, volte a limitare la libertà di sciopero, tra ministero dei trasporti e parti sociali coinvolte nelle dichiarazioni successive all’ottimo sciopero della logistica e trasporti del 16 giugno.
L’esasperazione della situazione di Viadana è da un lato figlia sicuramente della volontà di eliminare l’ipotesi della lotta per i lavoratori che vivono comuni situazioni di sfruttamento in simili zone industriali della nostra provincia.
Il tentativo crescente di espellere e delegittimare i lavoratori di ADL Cobas è passato per diversi passaggi:
- in primo luogo non sono mai stati ricevuti dalla dirigenza del gruppo Saviola;
- successivamente sono stati picchiati dalla polizia e criminalizzati quali pericolosi violenti nonostante avessero praticato una resistenza passiva alle cariche;
- mentre il presidio costruito con le poche risorse di ADL e con il mutualismo tra i lavoratori migranti diventava sempre più determinato, la dirigenza della CGIL li ha additati quali giovani/non professionisti/irresponsabili;
- infine sono stati esclusi come stranieri illegittimi, accusati di fronte ai lavoratori di essere loro (e non Saviola) la causa del blocco delle trattative e conseguentemente della produzione.

In un paese in cui il razzismo istituzionale della legge Bossi-Fini condanna i migranti alle posizioni più precarie del mercato del lavoro, l’escalation avvenuta a Viadana ha facilmente portato al razzismo più concreto e diretto, allo scontro tra garantiti italiani e scioperanti migranti.
Ci chiediamo cosa sarebbe successo se la CGIL avesse invece proposto la solidarietà con gli scioperanti ai propri iscritti e quanto si sarebbe indebolita la posizione di uno dei principali fornitori di IKEA? E pensare che i sindacati nacquero proprio con lo scopo di unire lavoratori provenienti da diversi paesi.

3. come possiamo vincere?
Nelle ultime settimane è stata evidente la sproporzione delle forze in campo e dobbiamo porci il problema di come cambiare questo quadro.
Da un primo punto di vista è indispensabile la solidarietà tra lavoratori di altre aziende, ma per raggiungere questo obiettivo è necessario lavorare a diffondere sul territorio strumenti sindacali quali ADL Cobas.
Inoltre la solidarietà di gruppi politici o collettivi sociali non basta se non riesce a diffondersi tra quei settori sociali crescenti di giovani / inoccupati / tirocinanti / precari che nonostante siano schiacciati dallo sfruttamento si trovano in contesti lavorativi dove è difficile organizzarsi ed esporsi in prima persona.
Uno nuovo movimento dei lavoratori non potrà mai darsi se non interpretiamo questi momenti di lotta quali spazi per creare relazioni tra lavoratori di settori diversi, che però subiscono un simile sfruttamento.
Infine queste lotte, come spesso è stato sottolineato a Viadana, devono interrogarsi sulla distribuzione delle ricchezze, sul peso di 140 licenziamenti per l’economia e il welfare del territorio e sul conseguente valore della cittadinanza oggi, nel momento in cui gli interessi dei profitti/banche/mercati sono anteposti ad ogni diritto sociale.

L’unica domanda che dovremmo porci quindi è: da che parte stiamo?