Forzare i confini del campo

Tue, 21/06/2016 - 13:12
di
Chiara Marangio - Ass. Meticcia Lecce

A Gora e a tutti gli altri che siamo Noi
affinché la Lotta sia Sostegno per i Sogni.

“Non si può raccontare il campo solo attraverso l’ immagine: per esempio non si può raccontare l’odore”. Inizia con l’affermazione di un limite il confronto col pubblico di Giuseppe Pezzulla, autore e regista del documentario “SANTI CAPORALI”, proiettato il 10 giugno 2016 a Campi Salentina presso la sede dell’Associazione di Promozione Sociale METICCIA nell’evento “Caporalato – Appunti di Lotta”.
La consapevolezza del limite dell’immagine si traduce immediatamente in un invito a vivere direttamente e a non essere solo spettatori dei contesti e degli accadimenti. Con umiltà, Pezzulla asserisce che la sua opera non ha l’intenzione della denuncia, ma è un’ azione emotiva di una persona che impatta con la realtà del Gran Ghetto di Rignano Garganico (FG), il campo-ghetto abitato da lavoratori stagionali schiavizzati nelle coltivazioni di pomodoro. Più di tutto, Pezzulla mette in risalto la dicotomia tra il folclore religioso di San Giovanni Rotondo - luogo di culto e sintesi del marketing delle credenze - e il vicino ghetto, in cui il senso religioso appare l’unico contenitore psicologico, l’unico riferimento a cui chiedere idealmente giustizia e protezione.
Il documentario è senza dubbio un racconto emotivo ma nel contesto dell’evento diventa importante conduttore socializzante nell’assemblea conseguente alla proiezione. Il confronto tra le persone è istantaneo, è un fatto spontaneo e generoso di suggestioni e di riflessioni sul senso di responsabilità delle istituzioni e di tutti nella cronicizzazione di una – e non solo una – realtà di abbrutimento umano.

Nell’assemblea si avvicendano i racconti di alcuni riferimenti, ovvero persone e gruppi che nei campi ci sono stati e ci sono, ognuno con un intento, ognuno con una funzione diversa.
È una narrazione collettiva in cui ognuno si fa tessera che contribuisce a comporre quel grande mosaico che è l’idea del campo, delle dinamiche del caporalato come sistema criminale di mercato, della dimensione esistenziale di chi è vittima e testimone.
Si procede in un discorso dal generale al particolare, sempre attraversando una visione emotiva e da dentro che qualifica un posizionamento anche politico.

Dare voce al sentire orienta nella consapevolezza della visione di mondo, indica da che parte stare, con quali risorse e con quali ostacoli. Darsi voce vicendevolmente consente di condividere le difficoltà della lotta ma scoraggia il senso di solitudine di chi costruisce vie conflittuali allo stato delle cose, camminando su un filo sottile tra un percorso di costruzione di corresponsabilità e di agency sociale e politica e il rischio di assistenzialismo sostitutivo delle istituzioni. Il confine è invisibile ma nel modo con cui l’azione si dispiega è possibile intercettarne la scelta.
L’evidenza è che si tratta di persone, soggetti giuridici, identità individuali e sociali, menti, corpi. L’evidenza è che, in condizioni di contesto in cui si è privi di ogni minimo bene materiale, è necessario talvolta intervenire prima di tutto per rispondere alle basilari necessità e per salvaguardare e, poi, per promuovere cambiamento. Non è detto però che ciò sia inderogabilmente interpretabile in vena assistenziale.

A tal proposito, l’Associazione Diritti a Sud racconta la propria disposizione a “farsi accanto e andare incontro” in un reciproco moto di convergenze. Diritti a Sud sta nel campo-ghetto di Nardò per osservare, capire, incoraggiare microazioni di mutamento, aiutare, valutare e maturare alternative (con il proprio parallelo progetto SFRUTTAZERO), raccontare il campo dall’interno e i danni esponenziali all’esterno. Perché il caporalato non è azione abusante circoscritta agli abitanti di un campo: il caporalato è un sistema organizzato, tentacolare, costruito dal piccolo contesto e irradiato nella realtà mondiale, pensato per moltiplicare profitto fino a perderne la misura. Il caporalato è elusione perfetta delle leggi, è corruzione dal locale all’internazionale, è collusione dei poteri politici ed economici, è l’assenza funzionale delle istituzioni, è la prova di come - a partire dal lavoro - sia possibile degradare un uomo fino ad annullarne la soggettività.

Talvolta bisogna essere nel campo per conoscere quanto una persona si senta finita, arresa al destino, in balìa delle rotte da un campo all’altro, da una stagione all’altra, senza mai un diritto in più, senza mai riuscire a costruire una stabilità, una normalità esistenziale, un pensiero di futuro.
Il caporalato è abbrutimento, è accettazione dell’assurdo come normale, è isolamento e solitudine, è assoggettamento per ciò che universalmente sarebbe garantito.
Portare una visione legale in un luogo illegale è per Donatella Tanzariello, Avvocato del Consiglio Italiano Rifugiato, un richiamare un’idea di giustizia che non deve piegarsi alle dinamiche dello sfruttamento: “Si va nel campo ma non lo si accetta”.

Si va nel campo ma si usano le regole e le leggi e le circolari già a disposizione, seppur poco note, per provare a scardinare anche i più piccoli passaggi di dipendenza. La Tanzariello disegna il quadro di ciò che conosce e che lega il suo lavoro di avvocato dei rifugiati al lavoro degli stagionali, molti dei quali titolari di protezione internazionale. Forse andare nel campo non è sempre necessario per le pratiche giuridiche ma farlo corrisponde a percepire dall’interno dinamiche umane e sociali che hanno molto a che fare con il diritto e con il senso del diritto. La pratica legale diventa così azione sociale e, al contempo, espediente per poter vicendevolmente riconoscersi, costruire uno scambio costitutivo di pezzi di mondo normale, di tratti di storia personale, di passaggi verso l’assunzione di diritti e verso l’orientamento ad usufruire adeguatamente dei servizi territoriali. La funzione giuridica sfocia così nella prospettiva esistenziale più generale dell’uomo, affinché il diritto si traduca in un senso del diritto e nella sua riappropriazione.

Prossima a questa concezione è la visione di Nunzia Baglivo, coordinatore di Emergency per l’area Salento: i diritti si tracciano anche sui corpi. E i corpi dei soggetti dei campi-ghetto raccontano lo sfruttamento, la schiavizzazione, le violenze attuali e quelle passate, i maltrattamenti per diretta mano umana e quelli per condizioni di povertà e di soggiogamento e di stress multiforme. Il caporalato incide sui corpi, impedendo la cura, il riposo, la riabilitazione, la conservazione della salute e lo fa in modo trasversale: si pensi ad esempio che nello scorso anno trovarono la morte per lavoro estenuante anche cittadini italiani. Anche in questo caso Emergency grida forte il suo inno alla trasversalità, la sua centralità sull’umano indipendentemente da provenienze ed altri criteri. L’intervento sanitario di Emergency è trasversale anche perché lo è il bisogno di salute.

Difatti, il campo-ghetto è un simbolo imponente della precarizzazione e della desoggettivizzazione ma vi sono campi meno circoscritti, appena visibili, fatti di dinamiche più velate e sottilmente soggioganti: sono i campi simbolici della precarietà in generale, sono i campi trasversali di altre realtà, in modo diverso legate al lavoro, al permesso di soggiorno, al diritto abitativo, tutte compromettenti e svilenti a medio e a lungo termine.

Proprio per questo motivo, le varie questioni sociali andrebbero condivise e accomunate in percorsi di lotta integrati, in cui ogni soggetto individuale e/o sociale possa trovare il suo posizionamento e non essere rimpiazzato da nessun altro. Questa è la questione portata dall’Associazione Solidaria di Bari che, attraversando numerose storie di imprese politiche collettive, crede e si muove nell’idea che possa generarsi un protagonismo migrante. Anche in questo caso, affiancarsi ai percorsi e stimolare alcuni processi deve corrispondere a non sostituirsi nella voce e nell’azione delle persone coinvolte, poiché ciò non farebbe altro che replicare e cronicizzare dinamiche verticali di dipendenza. Occorre che le varie realtà costruiscano il conflitto fino al punto in cui esso possa culminare in un protagonismo che, nel caso dei migranti, assuma una propria forma così che anche la lotta non ceda ai meccanismi assimilativi e adattivi occidentali, dimostratisi già da tempo saturi ed inefficaci.

Il migrante, in quanto soggetto portatore di significati culturali d’altri territori, è di per sé forza prorompente e potente, poiché spesso veicola un senso diverso del diritto e prefigura modalità di espressione diverse. Solidaria ricorda che il protagonismo va stimolato attraverso un processo che congiunga le lotte e i discorsi su esse in una rete sinergica che possa denunciare le realtà vigenti nei campi e in tutti i luoghi simili, consentiti o pensati dalle stesse istituzioni.

Dai campi-ghetto, il pensiero corre veloce verso i campi di profughi in Grecia e poi verso gli Hotspots e i CIE e i CARA e i campi per i cosiddetti nomadi e, ancora, verso i campi fatiscenti e inumani del centro di Bari, invenzione dell’amministrazione locale. E allora, come dice Mody di Diritti a Sud, la lotta è necessaria per pretendere un riconoscimento umano e per non essere condannati, da africani o stranieri, ad essere sfruttati per sempre. La lotta dovrebbe riguardare tutti, anche gli italiani, costretti o indotti a lasciare la terra, a vedere i propri territori impoverirsi e perdere di valore. Per Mody, riprendersi le terre, lavorarci senza demandare a terzi, unirsi e coordinarsi in gruppi e cooperare sono la via per un’alternativa che alimenta progetti virtuosi e combatte l’isolamento rendendo possibili alcuni percorsi di emancipazione, altrimenti difficilmente percorribili. Si ricordano a questo proposito il progetto congiunto SFRUTTAZERO-NETZANET (tra Solidaria, Diritti a Sud e altre realtà) e lo strumento della CASSA DI MUTUO SOCCORSO e i percorsi conflittuali riguardanti le vertenze alle istituzioni per specifiche istanze.

La trasversalità della questione mette in evidenza la realtà mondiale del mercato della grande distribuzione, dell’incombenza del prodotto sui diritti e sulle vite, in un’enorme macchina infernale, come sottolineato da Antonio Ciniero.

Dunque, “Unire le forze ed unire le lotte” appare ormai da tempo il leitmotiv dei discorsi sul contrasto alla precarizzazione: il 30 giugno a Bari tale proposito vedrà un’occasione di partecipazione e di accompagnamento alle istanze di diritto poste dai lavoratori delle campagne della provincia di Foggia che - sostenuti dalla rete Campagne in lotta - si pongono in prima linea in una vertenza con l’Amministrazione Regionale.
Il campo non si può raccontare del tutto e Pezzulla ha ragione, ma tutti insieme si può provare a forzarne i confini per riappropriarsi di un’identità individuale e sociale costitutiva della natura umana.