Come ottenere il lavoro che vuoi, lavorando gratis...

Thu, 26/06/2014 - 17:57
di
Enrico Franceschini (da Repubblica.it)*

LONDRA - "Lavorare meno, lavorare tutti", affermava un vecchio slogan sindacale. Ma ora ce n'è uno nuovo che gira sul web e nei centri reclutamento: lavorare gratis, pur di lavorare. Statistiche, indagini e manuali riflettono un trend sempre più chiaro: un crescente numero di gente, specie se giovani e in particolare nell'ambito delle cosiddette industrie creative (media, pubblicità, design), accetta di lavorare in cambio di niente. C'è chi lo fa con la speranza di mettere un piede dentro un'azienda e prima o poi essere ricompensato per il proprio sforzo, chi lo fa semplicemente per aggiungere un'esperienza significativa e qualificante al proprio curriculum, chi lo fa sperando di trovare i contatti giusti per un lavoro retribuito in futuro, chi lo fa perché è comunque meno deprimente che stare a casa a far nulla. "Lavorare gratis ti apre porte che non avresti mai potuto immaginare seguendo un approccio tradizionale", cioè quello di aspettarsi di essere pagato per il proprio lavoro, dice al Financial Times Charles Hoehn, autore di un ebook sull'argomento, Recession proof graduate: how to land the job you want by doing free work ("Laureati a prova di recessione: come ottenere il lavoro che vuoi lavorando gratis").

Lavorare gratis suona come il massimo dello sfruttamento, ma l'autore lo descrive invece come "un modo di fare esperienze incredibili, migliorare le proprie capacità e imparare direttamente dai maestri di qualsivoglia professione".
Tre fattori contribuiscono a rendere più comune questa tendenza, osserva il quotidiano della City: i nuovi "business model", modelli di lavoro, del settore digitale (che per esempio consentono di lavorare da casa propria), la recessione o comunque la fragilità dell'economia occidentale e l'aumento di coloro che lavorano come free-lance, come scelta di carriera definitiva o temporanea. A questo proposito una ricerca del Professional Contractors Group, un'associazione che rappresenta i free-lance britannici, rivela che nell'Unione Europea questa categoria di lavoratori è aumentata di un incredibile 45 per cento negli ultimi due anni, passando da 6 milioni a 9 milioni di persone tra il 2011 e il 2013.

In parte non c'è nulla di nuovo. Le banche, le società di investimenti e gli studi legali della City hanno sempre fatto ampio uso di stagisti non pagati, un utilizzo cresciuto negli ultimi sette anni di taglia del personale: piuttosto che una segretaria o un praticante retribuito, molti contano su internship gratuite per fare più o meno lo stesso lavoro a rotazione, dentro uno per sei mesi, dopodiché arriva un altro a sostituirlo. E come ricorda il Financial Times già trent'anni fa i teatri e night-club per comici a Los Angeles o New York mettevano continuamente sul palco cabarettisti che non venivano pagati un dollaro, al massimo una birra: David Letterman e Jay Leno, in seguito conduttori degli show televisivi di maggiore successo, hanno cominciato così, come del resto Bob Dylan nei bar con musica del Greenwich Village.

Ma sul web è già partita la protesta contro il fenomeno. "Non fatevi sedurre dal mito che il vostro lavoro non pagato farà bella figura sul vostro curriculum", scrive il blogger Barney Hoskyns, un giornalista co-fondatore di un archivio musicale online. "L'unica conseguenza sarà mettere in pericolo il welfare degli anziani dipendenti di cui avete preso il posto e minacciare pure il vostro futuro a lungo termine perché faranno prima o poi a voi quello che voi avete fatto ad altri". Proprio i blogger si sono uniti in una protesta collettiva, citando in giudizio l'Huffington Post Usa quando è stato venduto ad Aol per 315 milioni di dollari: il loro lavoro non è pagato, hanno sostenuto un tribunale, ma contribuisce non poco al valore del sito di informazione, per cui hanno chiesto una percentuale della cifra considerevole incassata per la vendita. Ma il giudice ha dato loro torto: quando hanno accettato di scrivere un blog, ha sottolineato il magistrato, sapevano che non sarebbero stati ricompensati. Proprio qui sta il problema di fondo secondo l'esperto di marketing Seth Godin: "Lavorare gratis significa non credere abbastanza in quello che fai, non avere fiducia che il tuo lavoro meriti una retribuzione". Devono pensarlo anche i datori di lavoro: un rapporto della National Association of Colleges and Employers indica che negli Stati Uniti il 60 per cento degli stagisti retribuiti riceve un'offerta di lavoro al termine dello stage, mentre ne ricevono una soltanto il 37 per cento degli stagisti non retribuiti, probabilmente perché le società che pagano uno stagista danno maggior valore al suo contributo e gli assegnano compiti più difficili per misurarne le capacità.

Viene in mente una vecchia battuta, apocrifa ma forse non troppo, sull'Unità dell'era comunista dura e pura, in cui un giovane redattore, avendo appena avuto un secondo figlio, un giorno ha l'ardire di fermare sulla scale l'amministratore delegato del giornale per implorare un piccolo aumento: "Perché", gli risponde irritato l'amministratore, "lei è pagato per lavorare qui dentro?" Ma la morale della storia, citata dal Financial Times, fonte non sospettabile di istinti rivoluzionari, potrebbe essere una famosa battuta di Joker, il "cattivo" dei film su Batman: "Se sei bravo in qualcosa, non farlo mai per niente".

*Fonte: http://www.repubblica.it/economia/2014/06/24/news/lavoro_gratis_inghilte...