Si paramos nosotras se para el mundo: le donne dello Stato Spagnolo verso lo sciopero dell'8 marzo

Fri, 19/01/2018 - 18:26
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Redazione - Intervista a Julia Cámara

Lo scorso fine settimana abbiamo partecipato all'assemblea statale delle donne spagnole, per l'organizzazione dello sciopero femminista dell'8 marzo. Abbiamo intervistato Julia Cámara, attivista del collettivo femminista di Saragozza Feminismo Unizar e militante di Anticapitalistas, per un bilancio dell'incontro e un racconto sulle prospettive di mobilitazione per l'8M nello Stato Spagnolo.

Lo scorso weekend a Saragozza si è tenuto l’incontro statale delle donne verso lo sciopero femminista dell’8M. Che bilancio fai dell’assemblea? Chi ha partecipato all’incontro e quali sono le principali rivendicazioni?

L’incontro che si è tenuto a Saragozza è stato il secondo incontro statale, dopo la chiamata allo sciopero internazionale delle donne dell’8M 2017; una risposta che qui arriva tardi, perché nello Stato Spagnolo non esistono strutture realmente funzionanti di coordinamento del movimento femminista; esistono alcuni resti di strutture che vengono dal periodo della transizione, ma che non risultano funzionali all’interno del nuovo panorama politico, non riflettono la realtà del nuovo movimento femminista e soprattutto non coinvolgono una miriade di nuovi collettivi che sono nati dopo il 7N 2015, la giornata della manifestazione oceanica che ha portato alle dimissioni del ministro Gallardón e il blocco della controriforma sull’aborto.
In questo senso, l’incontro dello scorso weekend, al quale hanno partecipato più di 400 donne, 430 iscritte per la precisione, è stato un successo. E’ più del triplo di presenze del primo incontro statale, celebrato ad Elche a fine settembre, ed è stato un momento importantissimo verso l’articolazione di un coordinamento efficace del movimento, l’avanzamento dei dibattiti e il raggiungimento di posizioni e rivendicazioni condivise. La partecipazione all’incontro era aperta a tutte. Circa un 40% di donne non facevano parte di un collettivo femminista; un 30% erano attiviste di collettivi femministi territoriali, autonomi, che hanno a che vedere con una realtà di attivismo di base, spesso composti da donne molto giovani; c’erano poi donne appartenenti a organizzazioni politiche (Podemos, Izquierda Unida, PCE e altre organizzazioni politiche nazionaliste di sinistra di differenti parti dello Stato) o sindacali (CCOO, UGT, i due sindacati maggioritari dello Stato Spagnolo, o CNT, CGT, sindacati minoritari, e varie piattaforme intersindacali o sindacati di settore). In questo senso possiamo affermare che la partecipazione è stata decisamente plurale. Anche in termini di età, dato che si andava da 15 anni (varie attiviste di assemblee femministe delle scuole) fino ai 70-80 anni (molte attiviste di associazioni di quartiere o cittadine).
Quindi non possiamo che fare un bilancio positivo, da un lato per il dato della partecipazione, dall’altro perché è complicato arrivare ad accordi elaborati o posizioni molto definite in gruppi tanto ampli e con così poche traiettorie condivise precedentemente, spesso partendo da posizioni molto diverse. Ma sono stati fatti passi molto importanti che hanno prodotto uno scarto tale che nel prossimo incontro statale che si celebrerà in primavera tutto funzionerà più rapidamente.

L’anno scorso abbiamo visto come lo sciopero femminista abbia assunto molte forme, al di là di un tradizionale sciopero. In che forme si darà nello Stato Spagnolo?

In effetti noi intendiamo lo sciopero femminista come una forma differente di sciopero, che tracima, supera e trascende lo sciopero tradizionale dal lavoro. Per vari motivi: innanzitutto perché noi donne, per il ruolo che abbiamo storicamente svolto dentro l’attuale sistema economico capitalista, non abbiamo una presenza nel mercato del lavoro tanto stabile quanto gli uomini (al di là del dato quantitativo). Siamo presenti in quei settori del mercato del lavoro con più difficoltà a esercitare il diritto di sciopero: per via della precarietà, della temporalità, perché sono lavori spesso relativi ai servizi di cura, fondamentali e che non possono fermarsi (cura di persone dipendenti, cura dei bambini, ecc.), per un altissimo indice di donne che lavorano senza contratto, ecc. Questo è un primo motivo per il quale non possiamo limitarci a uno sciopero lavorativo. La seconda ragione è che se vogliamo rendere visibile il ruolo che come donne giochiamo nell’attuale modello di società e dimostrare la grandissima forza che abbiamo per via dei lavori che svolgiamo, forse, l’aspetto strettamente lavorativo non è nemmeno il più importante. Infatti il lavoro riproduttivo, il lavoro di cura non retribuito, assegnato alle donne per via della divisione sessuale del lavoro è ciò che realmente descrive la nostra posizione in questo sistema ed è ciò che realmente ci fornisce la chiave per bloccare tutto. Se blocchiamo l’ambito riproduttivo possiamo davvero fare un danno visibile al sistema e lo sciopero può davvero funzionare.
In questo senso, abbiamo diviso lo sciopero in quattro ambiti: due più classici, l’ambito lavorativo, organizzando uno sciopero classico, e quello studentesco, anch’esso già praticato in passato, anche se questa volta vogliamo focalizzarlo sulla disuguaglianza educativa non solo interna al sistema scolastico, ma anche al momento di costruire, inculcare e riprodurre stereotipi di genere e un modello corretto o meno di essere donna. Il terzo ambito è quello del lavoro di cura, relativo appunto al lavoro riproduttivo assegnato alle donne. Sappiamo che scioperare dal lavoro di cura, realmente, per 24 ore, non è possibile, perché sostanzialmente ci sono vite che dipendono direttamente da questo lavoro. Stiamo quindi portando avanti, sia durante questi incontri statali, sia a livello territoriale, una sorta di ridefinizione dei “servizi minimi di cura”, in due forme: attraverso la loro socializzazione e visibilizzazione pubblica (per esempio un’opzione sarebbe organizzare mense popolari in piazza, attività per bambini nei parchi e nei quartieri), in modo che il lavoro di cura sia reso pubblico, si veda in strada, insomma esca da questa invisibilità domestica a cui è stato relegato privatizzandolo. E dall’altro lato, l’idea di garantire i servizi minimi anche attraverso l’implicazione di uomini volontari che vogliano collaborare con lo sciopero effettuando questo lavoro di cura: che per un giorno questi servizi minimi li svolgano gli uomini. Il quarto ambito dello sciopero è lo sciopero del consumo. Abbiamo aperto un dibattito piuttosto interessante su cosa intendiamo per consumo e su quali siano realmente gli obiettivi di uno sciopero del consumo, e posso citare tre punti: da un lato, bloccheremo il consumo inteso coma attività quotidiana legata al lavoro di cura (consumo domestico), per renderlo visibile e creare coscienza su di esso; in secondo luogo, il consumo come rafforzamento dell’industria, denunciando l’utilizzo delle donne come oggetti di consumo, pubblicitari; in terzo luogo, sviluppare una riflessione su che tipo di consumo sostenibile, cooperativo, femminista noi vogliamo.

In particolare, per quanto riguarda l’ambito del lavoro, che relazioni ci sono con i sindacati? Ci sarà la chiamata per lo sciopero generale?

Abbiamo già iniziato a contattare i sindacati da qualche mese, c’è una commissione a Madrid che si occupa di tenere i contatti con le principali sigle sindacali. Sappiamo che la CGT (Confederacion General del Trabajo), che è il principale sindacato di base, ha già manifestato l’impegno a dare copertura legale a uno sciopero generale di 24 ore, perciò a livello strettamente legale questo aspetto è coperto. A livello studentesco il sindacato studentesco ha anche già convocato uno sciopero di 24 ore. Altri sindacati (come alcuni gruppi intersindacali e alcuni territoriali) hanno anch’essi manifestato l’intenzione di convocarlo. Ci sarà anche una riunione con i due sindacati maggioritari (Comisiones Obreras e UGT) per far pressione affinché convochino anche loro lo sciopero generale di 24 ore. Per ora sappiamo che sono disposti a dare copertura a blocchi parziali di alcune ore, come hanno confermato ieri alla stampa, e speriamo che attraverso la pressione del movimento e delle lavoratrici affiliate ad essi, si possa spingerli a fare un passo ulteriore, per stare all’altezza di ciò che esige il movimento femminista, che ad oggi è il maggiore movimento sociale che rivendica un miglioramento delle condizioni di vita nello Stato Spagnolo.

L’anno scorso in Italia abbiamo praticato lo sciopero femminista nell’ambito produttivo e riproduttivo. Se da un lato la giornata ha avuto un impatto piuttosto forte, dall’altro ci sono mancati gli strumenti per contabilizzare la partecipazione a una forma di sciopero così atipica, che va al di là dell’astensione dal lavoro. Avete pensato ad alcune forme alternative per misurare la partecipazione?

È uno degli argomenti che stiamo attualmente dibattendo. Una delle decisioni prese nella due giorni di Saragozza è di programmare un incontro in primavera, dopo l’8M, in cui fare un bilancio dell’8M da un lato e dall’altro per portare avanti le reti di comunicazione e la strutture di lavoro comune a livello statale. La commissione specifica che organizzerà questo incontro è incaricata di proporre una maniera concreta di valutare la riuscita della giornata. Noi già sappiamo che l’8M sarà un successo, ci aspettiamo le più grandi manifestazioni di donne dalla transizione; veniamo da alcuni anni in cui ogni 8M ha luogo una manifestazione più grande dell’anno precedente, le più grandi dal '75-'76. Sappiamo che questo succederà per quanto riguarda i cortei, ma speriamo di vedere anche una partecipazione di massa in tutte le attività della giornata, perché è l’insieme delle attività che formano lo sciopero femminista: azioni nei quartieri, preparazione di spazi di cura, ecc. Crediamo che considerando tutti questi elementi potremo valutare realmente come è andata la partecipazione allo sciopero. Un’altra questione che andrà valutata è se saremo riuscite a includere collettivi di donne differenti, come donne migranti, casalinghe, di quartiere..


Avete connessioni a livello internazionale, per esempio con il movimento Ni Una Menos in Argentina, che ha lanciato la chiamata per lo sciopero internazionale dell’8M?

Abbiamo contatti a livello internazionale, ma non formali. Durante il primo incontro a Elche, c’è stata una videoconferenza con compagne del Brasile, dell’Argentina. Ma non abbiamo per ora una connessione formale con loro. Nel nostro coordinamento statale inoltre partecipa un gruppo che si chiama Femigrantes, che è il ramo femminista della Marea Granata (i collettivi di spagnoli/e emigrati/e) e queste donne stanno facendo un enorme lavoro di contatto con i collettivi femministi delle rispettive zone, di diffusione e coordinamento sull’8M a livello internazionale

C'è la possibilità che nello Stato Spagnolo si sviluppi un vero e proprio movimento di donne a partire dalla giornata dell’8M, ma che vada oltre questa? Avete pensato a come mantenere viva la mobilitazione dopo l’8M?

Vediamo lo sciopero femminista come un processo, che non finisce l’8M. Che, anzi, quest’ultimo ci possa servire come un tassello proprio per sviluppare un movimento femminista totale, la cui esistenza è spesso messa in dubbio, che può aspirare a lungo termine ad avere meccanismi di coordinamento, dibattito e elaborazione comune. Sappiamo che è un processo largo, il prossimo incontro statale in primavera sarà un primo passo, e in ogni caso, continueremo a camminare…

Traduzione a cura di Marta Autore.