Ora sì che ci vedono: cronaca di una giornata verde a Buenos Aires

Fri, 17/08/2018 - 11:23
di
Camila Baron e Gabriela Mitidieri*

Che cosa è successo l’8A? I nostri corpi sentono ancora i colpi di coda di tanti giorni difficili, del vortice di sensazioni ed emozioni che ci ha attraversato durante quelle ultime ore di attesa, ansia e organizzazione. La nostra rivendicazione storica ha attraversato le frontiere, è entrata in ogni casa, in ogni luogo di lavoro, si è riversata nelle strade, ha permeato ogni spazio possibile, ma non è riuscita a spuntarla sull’anchilosato conservatorismo del Senato.

Il progetto, che aveva visto la temporanea approvazione alla Camera dei Deputati il 13 giugno, è stato respinto in una delle albe più fredde e umide dell’anno, per 38 voti contro 31. Nonostante nei principali quotidiani già non faccia più notizia, noi sappiamo che siamo una rivoluzione viva e che stiamo scrivendo la storia. Continuiamo a tentare di dare un nome a ciò che abbiamo vissuto nella giornata dell’8A. Rivendichiamo la nostra ricerca incessante e sempre aperta; non sta scritto ancora da nessuna parte verso dove si muoverà (e dove ci spingerà) la forza del femminismo.

La storia

Il livello senza precedenti raggiunto dalle masse nelle strade invita ad un'immagine impressionista in cui forse si rischia di perdere lo spessore del patrimonio femminista accumulato in Argentina e in America Latina. Dal 1986 si svolgono Incontri Nazionali delle Donne una volta all'anno in diverse parti del Paese. Sono momenti in cui in migliaia di compagne ci dividiamo in workshop su argomenti di discussione specifici, da cui nascono ragionamenti, un'agenda e un’intensità politica che ognuna di noi riporta indietro, nella propria provincia. In momenti come questi, si sono conosciute le compagne che hanno rappresentato i punti di riferimento che avrebbero poi dato vita a reti di soccorso rosa, consulenze pre e post aborto in cui venivano fornite informazioni di qualità per interrompere gravidanze indesiderate in modo sicuro. Proprio durante un IND, nel 2003, nacque l’iniziativa di creare la Campagna nazionale per l'Aborto Legale, Sicuro e Gratuito. La Campagna sin dal suo inizio era promossa da un ampio spettro di partiti politici, attiviste indipendenti, professioniste femministe coinvolte nella lotta per l'aborto. Si è concentrata sull’istruire la tematica e sul guadagnare il sostegno a livello parlamentare.

Quest'anno è stata la settima volta che la Campagna ha presentato una proposta di legge nella sua storia lunga 13 anni. La sua perseveranza è stata accompagnata da un'effervescenza femminista internazionale, con la diffusione di un'agenda di rivendicazioni da parte movimento delle donne e dei collettivi LGBT e la spinta conflittuale di ciascuna Ni Una Menos. Ni Una Menos ha smesso di essere uno slogan per diventare un movimento di attiviste e di organizzazioni. In pochi mesi siamo passate dal ripudio della violenza machista all’inclusione in quella lotta anche di rivendicazioni di lavoratrici formali e informali, retribuite e non, abbiamo discusso di cis-eteronormatività e, naturalmente, abbiamo recuperato la storica lotta per il diritto all'aborto.

Dinosauri D.C.

Un'immagine che si ripropone ovunque in rete ha raggiunto i corridoi del Senato durante la notte del voto: il recinto ricorda nella sua vetusta conformazione una sorta di Jurassic Park. Nonostante l'efficacia della metafora, basta evidenziare alcune differenze essenziali con la preistoria: il risultato della votazione ci mostra che non si tratta di uno spazio aperto e verde, ma di una roccaforte blindata sulle cui pareti vengono appesi crocefissi e coloro che portano fazzoletti celesti sono riusciti a muoversi come un pesce nell'acqua.

In quell’interno, così impermeabile all'esterno, abbiamo scoperto che il livello dei dibattiti non era nemmeno l'ombra di ciò che era stato elaborato alla Camera dei Deputati. Le esposizioni degli specialisti nelle commissioni che avrebbero dovuto discutere il progetto ci hanno regalato scene impossibili da dimenticare, come quella del medico che ha detto che i preservativi non impediscono la trasmissione di HIV o quella del sacerdote che ha raccontato di aver ricevuto confessioni da parte di minorenni violentate e di non aver denunciato gli stupratori. Il livello non è migliorato quando è stato il momento di ascoltare gli stessi senatori in una sessione che è durata più di 15 ore. Ci siamo sentite furiose per non avere avuto la possibilità di rispondere dal vivo a un legislatore come Urtubey, che ha affermato che "ci sono stupri che non implicano violenza sulle donne". Non ha nemmeno fatto uno sforzo per nascondere la sua misoginia, la sua morale ipocrita, i suoi valori pericolosamente reazionari. O il senatore De Angeli che ci ha lasciato questa riflessione argomentativa profonda e riflessiva per giustificare il suo veto: "Quando si scopre che una donna è incinta, si va con gioia a congratularsi con lei. Le si regala una pianta che possa rappresentare l'immagine di suo figlio che cresce. Queste sono le cose che non possiamo perdere. Ecco perché voto contro".

I nomi di coloro che hanno espresso il voto contrario sono stati riportati in migliaia di formati in rete e tutt* abbiamo promesso di ricordarceli, soprattutto quando verrà il momento delle elezioni. Tuttavia, lo slogan "non l* voteremo mai più", chiaro, potente e capace di spaventare qualsiasi politico in carriera, è stato usato da entrambi i lati. È evidente che per molti senatori la potente istituzione ecclesiastica locale è stata più persuasiva, con le sue enormi risorse economiche che le permettono di avere una "unità di base" in ogni città, rispetto alle argomentazioni del massiccio movimento femminista di fronte a questa nuova Inquisizione. Su questo versante, abbiamo già raddoppiato la scommessa e indossiamo pañuelos arancioni, un nuovo simbolo che sostiene la separazione tra Chiesa e Stato.

Quasi tutti i discorsi a favore della legge hanno sottolineato una temporalità che condividiamo: prima o poi, avremo l'aborto legale. Più prima che poi. Anche dall'altro lato sembrava che se ne fossero consapevoli, anche se affermavano: "ci dicono che siamo arcaici, retrogradi, che non ascoltiamo i giovani (...)". "Ma so come si evolverà la società, lo so assolutamente ", ha detto un senatore, che, come molt* altr*, legava il proprio voto a un calcolo elettorale personale, nonostante fosse favorevole a livello personale. Con tanta semplicità, sembrava dicessero "voi assicuratemi che votare a favore non complichi la mia candidatura come governatore e avrete il mio voto", svelando la logica con cui il Congresso approva o respinge le leggi.

Con lo stupore di molti, quando il progetto è entrato in Senato, il voto a favore manteneva un piccolo vantaggio rispetto al no. Questo almeno sembrava suggerire la fotografia del 13J (13 giugno, giorno del voto favorevole alla Camera) che mostrava le strade piene e tinte di verde da un lato e solo una manciata di bandiere dell’Argentina e di rosari dall'altro, che quindi il verde stesse permeando la Camera alta. Abbiamo capito subito che era necessario tenere le piazze. Le abbiamo riempite più e più volte, ci siamo mobilitate nelle strade di tutto il paese e abbiamo avuto spazio nei mass media: abbiamo raccolto l'appoggio di attrici, artiste e giornaliste con una grande capacità di raggiungere un pubblico di massa. Ad ogni nuova brutta notizia di alcun* senator* indecis* che si dichiaravano contrari, abbiamo rilanciato su ancora più attività, più dibattiti pubblici, più materiale divulgativo e argomenti a nostro favore. Ma dall’altra parte abbiamo avuto un nemico furtivo e potente che ha copiato i nostri simboli (fazzoletti celesti invece del nostro verde) e marciato con crocifissi in tutte le province.

Tuttavia, vincere le strade non ci è stato sufficiente. Alla visibilità dei nostri dibattiti, alla trasparenza pubblica dei nostri interventi, all'incessante ricerca della democrazia nelle nostre organizzazioni, si sono opposte l'opacità delle dinamiche interne al parlamento, il calcolo elettorale e l'oscurantismo.

Nonostante ci disperassimo con ogni nuovo termine poroteo – termine colloquiale per riferirsi al conteggio dei voti –, e avendo perso il braccio di ferro per sette voti, abbiamo una certezza: ora sì che ci vedono. Il movimento femminista ha fatto irruzione con insolenza nel sistema politico. Abbiamo proposto un dibattito di grandezza senza precedenti per la democrazia argentina. Questo merito è tutto nostro. Lo è anche l’aver ascoltato per la prima volta nella storia del Senato frasi come la maternità è un fatto politico, diritto al godimento e le parole femminismo, machismo e patriarcato.

Siamo state protagoniste senza avere un posto al Senato. Il nostro è un movimento vivo, in ascesa, nel mezzo del processo creativo. Di fronte alla nostra minaccia di far tremare la terra, dall'altra parte hanno mostrato i denti e fatto emergere le loro pratiche ancestrali misogine e antagoniste ai diritti civili. Ma sì, è indubbio: ci vedono. E anche se i partiti tradizionali continuano a ridurre al minimo il nostro potere, il sistema politico nel suo insieme deve prendere atto di tutto ciò che è accaduto. A nessuno sfugge il fatto che soffiano venti di instabilità politica e, in questo processo aperto, la marea femminista può essere in grado di articolare i diversi malcontenti: dal ripudio della misoginia e dell'ideologia della domesticità dominante in Parlamento, fino all’evidenza del fatto che i discorsi e le pratiche patriarcali della destra che ci governa non sono meramente incidentali, ma strutturano un programma neoliberista di svuotamento dello Stato e precarizzazione delle condizioni di esistenza dei lavoratori e delle lavoratrici. E in questa precaria esistenza, come donne cis, lesbiche e trans continuiamo a pagare il prezzo più alto.

Al calore delle intemperie

Il 13J siamo stat* testimoni e protagonist* di uno scenario di mobilitazione senza precedenti del movimento di donne, femministe, LGBT, partiti politici, sindacati e organizzazioni sociali riunite nella Campagna per il Diritto all'Aborto. L’8A abbiamo duplicato gli sforzi: bus da tutto il Paese hanno portato compagne e dalla notte del 7 tende e gazebo, palchi e schermi sono stati montati nelle principali vie del centro politico della capitale, con manifestazioni altrettanto imponenti nelle principali città dell'Argentina. Da mezzogiorno la pioggia non ha dato tregua e, mentre seguivamo minuto per minuto il dibattito e coordinavamo le varie attività della giornata (pannelli, conferenze, workshop, concerti), abbiamo inventato modi creativi per proteggerci dalla pioggia fredda. Ombrelli, impermeabili fatti con buste della spazzatura, giacche e stivali non-resistenti all’acqua hanno fatto parte di una giornata alla quale non è mancata la magia, nella forma di canzoni e balli di gruppo sotto la tempesta. Al di là del recinto attorno alla piazza del Congresso, lo Stato sembrava essersi ritirato all’interno della sua gabbia parlamentare, dal momento che i blocchi stradali e l’assistenza generale per mobilitazione di massa li abbiamo dovuti costruire noi, in coordinamento con la Campagna. Una rete di collegamenti tra organizzazioni ha anche assicurato un livello di coordinamento durato tutta la notte, nonostante la marea di persone che rendeva una semplice passeggiata a due isolati un’odissea impossibile di più di un'ora. Erano presenti migliaia di adolescenti, in gruppi, dietro alle bandiere dei loro centri studenteschi fradicie di pioggia, che hanno mostrato il modo in cui la lotta per il diritto all'aborto legale si intreccia con la lotta per l'attuazione della legge sull'educazione sessuale integrale. Anche le compagne dai quartieri poveri della città e dai sobborghi di Buenos Aires erano presenti fin dai primi momenti. La loro presenza ha smentito le parole misogine, patriarcali e paternaliste di alcuni preti villeros (delle baraccopoli), che sostenevano che parlare di sessualità, maternità indesiderate e modi sicuri per abortire fossero punti all’ordine del giorno delle donne della classe media. Come compagni del fronte della transmascolinità, compagne trans, froci, compagn* non binari e lesbiche che accompagnano interruzioni di gravidanze indesiderate abbiamo gridato anche noi sotto la pioggia che l'aborto non è una questione solo di donne cis. Da un lato, perché noi preferiamo pensare in termini di capacità di gestazione per tenere in conto la diversità delle possibili esperienze di sesso e genere per quanto riguarda le interruzioni di gravidanza; ma anche perché abbiamo capito, come disse una volta un compagno trans, che vi è una forte alleanza emotiva tra coloro che lottano per l'autonomia dei propri corpi, per decidere nei nostri termini come abitarli. Sfidiamo insieme alle nostre rivendicazioni il cis-etero-patriarcato, la sua violenza e i suoi mandati.

La strada ha condensato un potente accumulo di organizzazione e coordinamento. Non è stata solo una manciata di persone scontente per l'illegalità e la clandestinità dell'aborto. Oltre alle organizzazioni sociali, politiche, femministe, sindacati, centri studenteschi, si è resa visibile anche l'alleanza con coloro che combattono quotidianamente la clandestinità dell'aborto. La Rete di Professionisti per il Diritto a Decidere, che operano per garantire le interruzioni di gravidanza dovute a cause specifiche (salute della gestante, stupro e infermità fetale), hanno coordinato una iniziativa in cui hanno ribadito la loro volontà di continuare a lavorare a partire dal sistema sanitario stesso, per raggiungere più compagne possibile e allargare le proprie fila. Anche coloro che portano avanti le consulenze pre-e post-aborto, le linee di informazione sicura, i collettivi femministi di soccorso rosa hanno preso parte alla mobilitazione.

E dall’altro lato, che?

Dall'altro lato della piazza, molto vicino all'ingresso attraverso il quale i senatori e le senatrici entrano nel Congresso, bandiere dell’Argentina e rosari erano presenti in gran numero. Anche il famoso bebè gigante di cartapesta che ha sfilato in tutte le marce del settore antiabortista. Nelle ultime settimane figure pubbliche come l'attrice Amalia Granata ci hanno caldamente invitato a "chiudere le nostre gambe" invece di appoggiare il nostro diritto a non essere madri. Cecilia Pando, una nota difensora dei genocidi dell'ultima dittatura militare, ha esortato a combattere "per le due vite". E la presenza di Bandera Vecinal, un partito politico neonazista, apertamente xenofobico, era l'elemento che ci mancava per inquadrare l'alleanza ecclesiastica, fascista, conservatrice e misogina che si dispiegava dall’altro lato della piazza rispetto al movimento femminista.

Ma non contenti della violenza simbolica delle loro parole, nelle ultime settimane eravamo venute a conoscenza di numerosi casi di compagne fisicamente aggredite nelle strade per semplice fatto di avere il pañuelo verde legato allo zaino. Insegnanti che per lo stesso motivo sono stat* molestat* nelle scuole private in cui insegnano e persino "invitat*" a lasciare l'istituzione. In questo quadro, lo scenario post-voto suggerisce che nella crepa apertasi all'interno del partito di governo all’interno dell’alleanza di Cambiemos tra una destra liberale e una conservatrice e reazionaria la bilancia stia pendendo a favore di quest'ultima.

La bussola è nostra

Non vogliamo negare né ignorare la rabbia, la frustrazione, la tristezza del momento in cui abbiamo conosciuto il risultato del voto. La disperazione e il momento di stanchezza sono anch’essi politici. Si rendono necessari bilanci, valutazione delle strategie, idee per le nuove sfide che verranno. Ma il femminismo ci accompagna come prassi e riflessione quotidiana. In modi anche urgenti e concreti: continuiamo a costruire reti di accompagnamento in modo che le interruzioni dovute a cause specifiche siano rispettate, in modo che circolino informazioni sicure, così che i diritti conquistati finora siano rispettati.

Nel corso dell'ultima settimana, abbiamo assistito ai tentativi di sviamento dell'asse della discussione nodale attorno al nostro progetto. Attraverso iniziative isolate e meschine di senatori che hanno finito per astenersi dal voto, abbiamo sentito parlare alcuni di progetti altri per depenalizzare l'aborto e altri ripetere ciò che era già stato vinto per quanto riguarda l’aborto per cause specifiche. Circolava la voce che sarebbero stati trattati una volta respinta la nostra Legge nella sessione dell’8A. La confusione che queste voci hanno installato rispecchia l’atteggiamento del partito al governo, la principale forza anti-diritti all'interno del Congresso, che cominciava a temere il prezzo politico da pagare nel caso la legge non passasse e loro non avessero alcun progetto alternativo. Di nuovo il calcolo, l'opacità, la manipolazione. Il 9 agosto, ben presto, i giornali hanno confermato questa ipotesi: alcuni dei funzionari che si opponevano più fortemente al progetto di interruzione volontaria della gravidanza ora all’improvviso apparivano come artefici di una possibile riforma del codice penale che contemplasse la depenalizzazione. Qualche ora dopo, la bozza che circolava di questa riforma ha confermato che non prevede affatto l'eliminazione della pena, ma propone solo di lasciarla a discrezione di ciascun giudice.

Insisteremo: senza legalizzazione non è possibile la depenalizzazione. Perché impedire il libero accesso attraverso il sistema sanitario pubblico penalizza coloro che non hanno i mezzi per interrompere in modo sicuro una gravidanza. Depenalizzare senza legalizzare è ripulire le coscienze di coloro che possono ricorrere a una clinica privata. È lo scenario sognato dal liberalismo che ci governa: ognuno si prende cura del corpo in base al potere d'acquisto di cui gode. Vogliamo la depenalizzazione e una legislazione che lo renda possibile in modo reale e concreto, che garantisca diritti, che non svuoti lo Stato di risorse pubbliche. Proprio come vogliamo l'applicazione della Legge sull'Educazione Sessuale Integrale che faccia sì che nei luoghi di studio in tutto il Paese ci siano spazi di riflessione sulla sessualità, il desiderio, i ruoli di genere e la de-patriarcalizzazione.

Le nostre reti femministe non possono fare tutto, non hanno le risorse e le infrastrutture di uno Stato e del suo sistema di salute pubblica, nemmeno nei momenti del totale svuotamento dello Stato che caratterizzano il neoliberismo. Ma possono fare molto. Siamo arrivate fin qui e andremo oltre. La bussola è nostra. Come nostri sono questi nuovi modi femministi di pensare, sentire ed essere presenti nella scena politica.

*Fonte articolo: http://intersecciones.com.ar/index.php/articulos/97-ahora-que-si-nos-ven...
Traduzione a cura di Marta Autore.