#MeToo mostra che il sessismo non è prerogativa degli uomini di colore

Wed, 14/02/2018 - 17:16
di
Sara Farris*

All’inizio del gennaio 2016, sui titoli di apertura dei media occidentali dominava la notizia di un’aggressione sessuale di massa, avvenuta la notte di capodanno nella città tedesca di Colonia. Le denunce di furti e di aggressioni sessuali si moltiplicavano ogni giorno e molte di queste definivano i responsabili come uomini “rifugiati” o arabi.

Le successive indagini rivelarono che durante quella notte diversi uomini di provenienza nordafricana avevano rapinato e aggredito sessualmente delle donne, anche se non in quei numeri di massa che erano stati riportati inizialmente.

Tuttavia, i giornalisti e i politici di tutto il mondo erano stati rapidi nell’inquadrare gli eventi di Colonia come il risultato del sessismo “intrinseco” agli uomini di colore che li avevano commessi. Sulla stampa tedesca, la posizione praticamente unanime era che questi uomini provenivano da contesti sociali e religiosi in cui le donne sono sottomesse e maltrattate. Sentimenti simili furono espressi anche nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti.

“La relazione con una donna, così fondamentale per la modernità occidentale, rimarrà a lungo incomprensibile per l’uomo medio (rifugiato o migrante),” ha dichiarato l’autore algerino Kamel Daoud in un articolo pubblicato sul quotidiano francese Le Monde. In maniera analoga, un editoriale del New York Times allertava che “l’Europa deve trovare un modo per far fronte a un problema che è stato largamente ignorato fino ad ora: le aggressioni sessuali perpetrate da rifugiati che provengono da paesi in cui le donne non hanno le stesse libertà che esistono in Europa.”

Un anno e mezzo dopo, un altro grande scandalo di violenza sessuale ha guadagnato le prime pagine dei media in occidente. Nell’ottobre del 2017, le accuse di aggressione sessuale contro il produttore di Hollywood Harvey Weinstein hanno incoraggiato molte donne e uomini a farsi avanti con le proprie storie di abusi sessuali, a Hollywood e non solo. Gli autori identificati questa volta erano prevalentemente bianchi. La dimensione di massa e l’insabbiamento di questi crimini sia in termini legali che illegali hanno scioccato le società occidentali.

È in seguito a queste rivelazioni e alla crescita incredibile del movimento #MeToo che dovremmo guardare indietro agli eventi di Colonia e alle nozioni di mascolinità, violenza e razza.

Il mito del predatore sessuale di colore

L’impatto degli eventi di Colonia sulla politica tedesca e internazionale è difficile da ignorare. In tutta Europa – e negli Stati Uniti – le forze politiche conservatrici e di destra hanno invocato Colonia come prova dell’incompatibilità tra l’Islam e l’uguaglianza di genere e come avvisaglia del pericolo che gli uomini musulmani rappresentano per le donne nelle società occidentali.

A distanza di due anni, non solo il paese più potente del mondo ha un islamofobo come presidente, ma la Germania stessa ha visto crescere il partito di destra AfD (Alternativa per la Germania) fino a diventare il terzo partito nel Bundestag.

Gli attacchi di Colonia hanno avuto una risonanza internazionale perché hanno fatto il gioco dello stereotipo ampiamente diffuso che gli uomini non-bianchi (musulmani e non) siano automaticamente dei predatori sessuali.

Quest’idea risale almeno all’epoca coloniale, quando i coloni francesi, britannici e olandesi descrivevano gli uomini delle colonie come selvaggi che opprimevano le loro donne, come riportano in dettaglio nelle loro rispettive opere Frantz Fanon, Anne McClintock e Ann Stoler.

Negli anni 2000, l’idea che la mascolinità non-bianca sia legata alla violenza sessuale si è rinvigorita e c’è stata una vera e propria esplosione di articoli sui media occidentali riguardo agli stupri di gruppo commessi nelle periferie delle città francesi da giovani uomini soprattutto di origine nordafricana o sui delitti d’onore nelle comunità non occidentali.

Negli Stati Uniti, gli uomini afroamericani sono stati esposti in misura sproporzionata quando sono emerse le accuse di aggressione sessuale nei campus universitari e sono stati soggetti a pene molto più pesanti rispetto agli uomini bianchi accusati degli stessi crimini.

Senza dubbio l’ipersessualizzazione e la criminalizzazione dei corpi degli uomini neri ha una storia lunga e terribile negli Stati Uniti, strettamente connessa alla schiavitù e alle sue conseguenze, quando gli schiavi africani maschi erano descritti come bestie dalla libido irrefrenabile nei confronti delle donne bianche e venivano linciati se erano sospettati di avere avuto alcun contatto con queste. Questa storia ha prodotto ciò che l’attivista politica americana Angela Davis ha chiamato “il mito dello stupratore Nero”.

In occidente, quando degli uomini non-bianchi sono coinvolti in casi di molestie o violenza sessuale, il dibattito si focalizza molto meno sulla natura della violenza di genere e sulla sua presenza sistemica nelle nostre società, e molto di più sulle “evidenze” che questi casi forniscono alle teorie secondo cui la misoginia sarebbe “naturalmente radicata” nella cultura, nella religione o nella razza degli uomini coinvolti.

Parafrasando le parole della femminista musulmana francese Souad Betka, un uomo di colore “è sempre qualcosa di più che un uomo. È l’albero che rappresenta la foresta.” Le sue azioni, pertanto, non sono mere espressioni della sua personalità ma dell’intera comunità “razzializzata” a cui viene associato.

#MeToo e le donne di colore

Se in occidente gli uomini di colore si sono trovati ad affrontare il sospetto continuo e un tale livello di criminalizzazione e violenza, le donne di colore si sono trovate davanti a un autentico dilemma.

Molte di loro avrebbero voluto denunciare il sessismo e la violenza di genere all’interno delle proprie comunità, ma senza rafforzare lo stereotipo razzista che le loro “culture” siano particolarmente patriarcali o retrograde.
È alla luce di queste esperienze che dovremmo guardare alla campagna #MeToo come un movimento estremamente importante, che potenzialmente permette alle donne di colore e musulmane di lottare contro le molestie sessuali senza sentire il fardello della “slealtà” nei confronti delle proprie comunità.

Mettendo in evidenza quanto gli uomini bianchi siano frequenti perpetratori di violenza sessuale ma soprattutto rivelando l’estensione e la pervasività del fenomeno del sessismo, della molestia sessuale e dello stupro nelle società occidentali, il movimento #MeToo ha compiuto qualcosa di straordinario.

Ha dato al pensiero dominate bianco la prova incontrovertibile che il sessismo e la violenza non sono commessi in alcun modo e in alcuna forma ai soli uomini di colore.
Inoltre, ha costretto la società a prendere con più serietà l’esperienza quotidiana di molestie e aggressioni sui corpi delle donne e ha creato un clima in cui le donne hanno cominciato a sentirsi più sicure ad uscire allo scoperto.

In breve, il #MeToo è stato un così grande catalizzatore per ciò che, ogni giorno di più, assomiglia all’emergere di un nuovo movimento femminista, perché parla alle donne andando al di là delle divisioni di classe, razza e sessualità. Il movimento dimostra che le molestie sessuali e la violenza nelle loro varie espressioni funzionano come un “grande parificatore” tra le donne, perché la stragrande maggioranza di noi ha avuto esperienza di queste in qualche forma, indipendentemente dal nostro contesto di provenienza.

Tuttavia, se la violenza sessuale non conosce razza, colore, genere o classe, la risposta alla violenza sessuale li conosce eccome.

Diversi uomini di potere stanno perdendo il loro lavoro dopo per essere stati accusati di aggressioni e molestie sessuali e questo fatto è epocale. Ma l’accesso agevolato alle risorse finanziarie, a buoni avvocati e a una rete di supporto insieme alle distorsioni razziali strutturali del sistema giudiziario, sono tutti elementi che rendono molto più probabile che questi uomini ricevano delle condanne leggere anche se decretati colpevoli, come dimostra il caso del nuotatore di Standford, Brock Turner.

Non solo gli uomini di colore hanno molte più probabilità di essere condannati per aggressione sessuale rispetto agli uomini bianchi, ma per molte donne di colore denunciare uno stupro o un’aggressione sessuale può rivelarsi molto difficile. Le ricerche mostrano che le giovani donne nere sono meno inclini a denunciare gli stupri nei campus universitari, e che le donne di colore sono la maggioranza nei settori in cui l’abuso sessuale è realtà quotidiana, come nel caso del lavoro domestico e di cura. Inoltre, le donne migranti senza regolare permesso di soggiorno si trovano ancora più in difficoltà a denunciare di aver subito violenza sessuale, sia per il timore di non essere credute, sia per il timore di essere deportate. Ma soprattutto, le donne di colore e le lavoratrici spesso non denunciano perché manca loro il potere collettivo nei luoghi di lavoro per poterlo fare e “al di fuori di questi non [hanno] sostegni sociali, come il sistema sanitario gratuito”, come affermano chiaramente le promotrici dell’International Women’s Strike dell’8 marzo.

Non è un caso dunque che nonostante la campagna #MeToo fosse stata lanciata dieci anni fa da un’attivista nera, Tarana Burke, il movimento abbia raggiunto tale portata solo quando delle donne bianche con accesso alle risorse finanziarie e ai canali mediatici hanno iniziato a farsi avanti. Come sottolinea giustamente Catherine Rottenberg, questo fatto in sé “solleva la questione cruciale di dove e quando le accuse di molestia e aggressione sessuale vengono ascoltate e quali voci contano”.

Colonia dopo #MeToo

Se il #MeToo è stato fondamentale per sfatare il mito dell’uomo di colore come predatore sessuale, il movimento, tuttavia, deve fare attenzione a non assumere un approccio “femminista giustizialista”. In altre parole, #MeToo deve riconoscere che l’incarcerazione di massa, la deportazione e la militarizzazione per risolvere il problema della violenza di genere ha un impatto sproporzionato sulle persone di colore, come ha dimostrato il caso di Colonia.

Questo non significa che le donne che subiscono violenze o molestie sessuali non debbano farsi avanti e denunciare questi atti alle autorità giudiziarie. In assenza di strutture alternative ed efficaci nel trattare il problema della violenza di genere, le donne possono soltanto affidarsi agli strumenti che lo Stato mette loro a disposizione.

Tuttavia, se vogliamo seriamente combattere la violenza di genere in tutte le sue forme, il movimento #MeToo deve iniziare a discutere della giustizia di genere che ipotizziamo, delle modalità per decostruire gli stereotipi sulla mascolinità aggressiva degli uomini di colore e delle infrastrutture di cui abbiamo bisogno, per permettere a tutte le donne – ma in particolare alle donne di colore e alle lavoratrici – di parlare senza il timore di ripercussioni razziste o sul posto di lavoro.

*Fonte articolo: http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/metoo-shows-sexism-men-colour-p...
Traduzione a cura di Marta Autore, Marie Moise e Sara Farris