Legittima autodifesa femminista

Sun, 29/04/2018 - 13:49
di
Laia Facet*

Con la rabbia nelle viscere, non ci lasciamo sopraffare dall'impotenza ma dalla necessità di fare giustizia e fermare questa emorragia. Questo è stato lo spirito delle manifestazioni che hanno invaso le strade di tutto lo Stato giovedì 26 dopo aver ascoltato la sentenza sul caso erroneamente chiamato della "manada" (il branco). Una sentenza che non ha riconosciuto lo stupro multiplo che ha avuto luogo durante le feste di San Fermin del 2016 e che si è limitata a una condanna per abuso.

La giustizia sta sistematicamente fallendo. Non solo ci lascia da parte - un gran numero di femminicidi è avvenuto in casi in cui si avevano precedentemente richiesto misure di protezione - ma durante i processi si giudicano le stesse aggredite, generando nuova violenza. È che le strutture dello Stato non solo non collaborano, ma riproducono e producono violenza contro le donne. Non dimentichiamoci che questi tre giudici sono funzionari pubblici; né che tra gli stupratori ci fosse un soldato e una guardia civile. Laura Rita Segato ha detto in un'intervista su CTXT qualche tempo fa: "Il corpo delle donne è un luogo in cui si manifesta il fallimento dello Stato" ed il nostro comincia a fare acqua per quanto riguarda la violenza. Pertanto, e conoscendo il quadro giudiziario e carcerario, non dovremmo persuaderci che una sentenza più dura in termini di pena sarebbe una soluzione o il risarcimento per uno stupro o in grado evitare nuove violenze. Il problema è che si riconoscano i fatti, che si creda a ciò che diciamo e ci si supporti quando ci violentano e ci aggrediscono.

Probabilmente, più che del famoso Patto di Stato (ndr il Patto di Stato contro la violenza di Genere, proposto nel 2017 dai partiti politici del parlamento/parlamentari), quello di cui abbiamo bisogno è un patto sociale contro la violenza machista. Un patto sociale che ruoti attorno più alle lotte che si stanno dando, invece che agli uffici del Parlamento. E questo patto sociale già si sta forgiando negli ultimi anni al di fuori delle strutture di potere, in un movimento che va dal 7N alle esperienze di autodifesa nei quartieri. Ciò non significa rinunciare ai progressi legislativi, alle priorità politiche e alle risorse concrete, ma è sul piano dell’eccedenza sociale e delle esperienze di resistenza e di disobbedienza che avanziamo di più. Senza una demolizione su tutti i fronti della cultura dello stupro e di tutte le strutture di potere che la rendono possibile, saranno toppe che non ripareranno né sradicheranno. Forse è il momento, in parallelo, di sperimentare forme di autodifesa collettiva di fronte alle incapacità dello Stato di affrontare la violenza machista.

In questo senso, il movimento femminista ha iniziato negli ultimi anni a costruire esperienze di autodifesa negli spazi di svago. Una pratica di empowerment, in cui le donne si arrogano il diritto di gestire loro stesse le situazioni di molestie, oltre che a sviluppare una vera e propria opera di prevenzione: legittimate a farsi carico della sicurezza collettiva di fronte alle carenze dello Stato. È fondamentale moltiplicare e approfondire questo tipo di esperienze nelle principali feste, fiere, concerti, coinvolgendo tutto il tessuto associativo dei quartieri e delle città in modo che smetta di essere complice delle violenze e inizi ad essere parte della lotta contro esse.

Tuttavia, ci sono altre sfere che rimangono inesplorate. Negli anni ottanta il movimento femminista della transizione cominciò a sperimentare pratiche di autodifesa anche nell'ambito della coppia e in quello domestico. Uno di quei cammini inesplorati che oggi potremmo recuperare, come anche le esperienze di autodifesa in America Latina. Oggi il “cuscinetto” per affrontare questo tipo di violenza è ancora "privato" (parenti, amiche, vicine), se si è abbastanza fortunate da averlo dalla propria parte. In alcuni casi, assistenti sociali e/o tecniche che hanno a malapena risorse pubbliche e le gestiscono come possono. In altri, siamo le attiviste che ricevono casi e casi di amiche-di-amiche, vicine o estranee che sono stufe di non essere ascoltate dalla polizia o che si sentono giudicate nell'amministrazione.

Eroismi individuali da parte di aggredite, amiche, parenti, vicine, lavoratrici o compagne che dobbiamo iniziare a collettivizzare, socializzando esperienze e mettendo insieme strategie collettive. Alleanze con la PAH (ndr la piattaforma per il diritto all’abitare) per l'emergenza abitativa, concentramenti e azioni dinanzi ai tribunali durante i processi, azioni di solidarietà con casi di disobbedienza civile come nel caso Juana Rivas... Senza certezze, con intuizioni sul campo, ma il bisogno si fa stringente.

*Fonte articolo: https://www.elsaltodiario.com/vientosur/legitima-autodefensa-feminista
Traduzione a cura di Marta Autore.