Guardare all'estrattivismo usando le lenti del femminismo

Mon, 22/10/2018 - 16:19
di
Eleuterio Gabón*

Il collettivo Miradas criticas del territorio desde el feminismo (Sguardi critici sul territorio da un’ottica femminista), di passaggio a Valencia, spiega le peculiarità del suo progetto, basato sulla denuncia della devastazione ecologica provocata dall’estrattivismo in Amazzonia.

Il Yasunì è un parco nazionale ecuadoriano situato in Amazzonia. In un solo ettaro del suo bosco si possono trovare più specie che in tutto il Canada e gli Stati Uniti insieme, il che lo fa diventare uno dei polmoni più importanti del pianeta. Nelle lotte per la difesa del Yasunì, che si è visto minacciato sei anni fa dalle politiche petrolifere del governo di Rafael Correa, si sono incontrate varie attiviste che in seguito hanno formato il collettivo Miradas criticas del territorio desde el feminismo. Frutto del lavoro di questo collettivo, che è composto da donne provenienti da differenti paesi come l’Ecuador, il Brasile, l’Uruguay e il Messico, la pubblicazione di “El Yasunì en clave feminista: la vida en el centro y el petrolio bajo tierra” (Il Yasunì in chiave femminista: la vita al centro e il petrolio sotto terra).

Lo scorso mese di giugno il collettivo ha fatto un giro per l’Europa per relazionarsi con vari spazi femministi e collettivi autonomi per la difesa dei territori, con l’obiettivo di scambiare esperienze e discutere metodologie. Approfittando della loro visita a Valencia, dove sono state accolte dai collettivi Periferias e Entre Pobles del Pais de Valencia, Tania Cruz e Gabriela Ruales hanno esposto il lavoro del loro collettivo.

L’accademia e l’attivismo

Nonostante la spoliazione e l’aggressione ai territori sia una costante nella storia della colonizzazione in America latina, negli ultimi anni i progetti estrattivisti sono cresciuti enormemente in tutto il continente per opera delle politiche neoliberiste. Parallelamente si è sviluppata la resistenza contro questi progetti, non solo da parte di un attivismo che mette in campo il corpo (e, in alcune occasioni, la vita) ma anche da parte dell’accademia, che ha cercato di dare un supporto intellettuale a queste lotte.

Tania e Gabriela parlano della loro condizione di attiviste anti-estrattiviste femministe e della loro relazione con l’accademia. Come spiega Tania: “Anche se molte di noi hanno un legame con l’accademia, sentivamo la necessità di formare un collettivo non accademico.” Gabriela aggiunge che desidera creare un pensiero collettivo, “per questo anche l’accademia diventa un terreno di disputa. Si può riflettere da sola ma la conoscenza ti arriva attraverso chi scrive, nei contesti e nelle relazioni che si creano in differenti spazi, geografie e persone.” E precisa: “Pensiamo che la conoscenza è relazionale e collettiva.”

Per analizzare le problematiche che vivono nei loro contesti e lavorare con gli strumenti adatti alla loro lotta, non basta importare modelli di conoscenza occidentali: “Come femministe del sud, in molte occasioni ci siamo viste come oggetti di studio dell’Occidente, però siamo soggetti” dice Gabriela. Rivendicano di essere soggetti creatori e come dice Tania “quale miglior modo di esprimere questa rivendicazione che di farlo a partire da un paradigma diverso dal’individualismo occidentale, un paradigma collettivo.”

Categorie corpo e territorio

In questa rottura con il paradigma occidentale, oltre a rivendicare una conoscenza collettiva anzi che individuale, si punta a sostituire l’analisi tradizionale della realtà, secondo la quale un soggetto individuale e razionale si pone davanti ad un oggetto di studio esterno e passivo. Nella loro metodologia le categorie di soggetto e oggetto non sono valide e se ne usano altre come quelle di corpo e di territorio, in modo che, come argomenta Tania: “Il corpo ha una sua saggezza ancestrale che abbiamo negato a causa dei paradigmi occidentali dominanti. Noi cerchiamo di recuperare questa saggezza, dimostrare che non è andata persa, evidenziare che è sempre rimasta”. Bisogna capire che il corpo parla da solo, di sé e per sé, come dice Gabriela: “Il corpo è il primo luogo del territorio, è il nostro limite e il nostro luogo di rivendicazione; è anche un mediatore tra il personale e il collettivo, un veicolo di relazioni che si danno negli spazi comuni.”

Riconoscere il corpo come principio del nostro modo di essere e di stare al mondo, e rivendicando l’importanza delle emozioni nel nostro modo di relazionarci, suppone un punto di partenza totalmente differente rispetto al modello tradizionale di conoscenza razionale. Come dice Tania: “Cerchiamo di portare la soggettività allo scoperto per riconoscere il corpo come luogo abitato che fa politica. Vogliamo svegliare il corpo perché diventi politico, perché le emozioni siano affettività, cioè che incidano nella nostra vita quotidiana”. Gabriela continua: “questo lo chiamiamo far la politica del corpo, esprimere ciò che sentiamo, vedere come ci relazioniamo con le altre per capire che non possiamo vivere senza gli altri. Per riconoscere questo è fondamentale porre le nostre soggettività sul tavolo.”

Queste idee portano a mettere in discussione la figura del soggetto della conoscenza individuale e a riconoscere che la vita è, in sé, una questione relazionale. Entrambi insistono che “bisogna capire che, anche se ci insegnano il contrario, viviamo in un mondo in cui nessuna/o può esistere da sola/o. Siamo in relazione con gli altri, le altre, altru, anche con l’aria e con l’acqua, la terra, il suolo e la luna.”

La metodologia che propongono Tania e Gabriela proviene dall’educazione popolare femminista che cerca di ripensare la relazione tra il nostro corpo e il territorio per rompere la distanza e la sottomissione che si stabiliscono con lo schema occidentale di soggetto-oggetto. Le attiviste spiegano che “i nostri corpi sono fatti dallo spazio che abitiamo, il suo clima, la sua geografia, la sua storia, il suo cibo.” Da qui viene l’idea che, nello stesso tempo, “anche lo spazio che abitiamo è fatto dai nostri corpi, dai nostri comportamenti e da come ci relazioniamo tra di noi e con l’ambiente”, commenta Tania.

“Il territorio si intende a partire dal nostro modo di relazionarci con lo spazio, come stiamo in esso, come ce ne prendiamo cura, come lo lavoriamo, come lo viviamo”, annota Gabriela, “per questo, quando si violentano gli spazi che abitiamo, toccano i nostri corpi, così come quando violentano i nostri corpi, toccano i luoghi dove abitiamo.” Così intendono anche questa altra categoria di territorio. Una categoria che viene dai popoli originari in resistenza contro la spoliazione e le violenze sofferte negli ultimi decenni. “È una categoria che sorge per rivendicare il proprio spazio, il proprio luogo di vista,” conclude Gabriela.

Tutto questo ragionamento critico stabilisce un modo di pensare le problematiche create dall’estrattivismo, come espone Gabriela: “È a partire dalle categorie di corpo e di territorio che possiamo analizzare come stiamo vivendo gli attacchi delle politiche estrattiviste nei nostri paesi. Pensiamo che bisogna capire come i nostri corpi stanno incarnando, soffrendo e riproducendo le relazioni di potere che esistono nel sistema capitalista, patriarcale, coloniale, razzista e specista.” “E che bisogna anche essere coscienti delle grandi disuguaglianze che questo sistema produce; non tutti i territori valgono lo stesso, né tutti i corpi valgono lo stesso dentro i territori.”

L’estrattivismo, un modello patriarcale

A partire dalla loro ottica femminista, Tania e Gabriela non hanno dubbi a qualificare l’estrattivismo come un modello patriarcale. Le conseguenze dell’applicazione di questo modello riguardano vari aspetti della vita nei territori, come racconta Tania “è a partire da logiche maschili che si decide quali territori saranno sfruttati e come”. Quello che succede, continua Gabriela, “è che quando un territorio viene scelto, deve essere controllato, e questo implica una militarizzazione dello spazio, che suppone sempre l’imposizione di una mascolinità violenta, aggressiva e armata, verso il territorio come verso i corpi di chi lo abita.” Tutta questa aggressione al territorio è, per loro, “intrinseca al corretto funzionamento dei progetti petroliferi”.

Quando l’estrattivismo si impone, da forza alla logica patriarcale che produce importanti cambiamenti nella convivenza dei luoghi dove arriva. È risaputo come, con la sua implementazione in un territorio, si crea un tipo di relazioni dove il denaro è centrale. “La centralità dell’aspetto economico approfondisce a sua volta la divisione sessuale del lavoro. Si produce una recinzione dei corpi. La presenza nel territorio di petrolieri e militari fa sì che lo spazio si mascolinizza e che le donne vengono molestate, o addirittura aggredite o abusate nei loro propri spazi, vedendosi recluse negli spazi privati e perdendo la presenza che avevano ottenuta negli spazi pubblici”, spiega Gabriela.

Inoltre, non bisogna dimenticare la dimensione ecologica, come avverte Tania “in una estrazione si violentano le risorse naturali comuni come l’acqua o la terra, che non torneranno mai più a essere come prima. Questa violenza verso le risorse provoca in molti casi un’aggressione anche contro le donne, perché sono esse che sono incaricate dei lavori di cura e di gestione di queste risorse, ora violentate.”

Nord-Sud

Dallo scambio con i vari collettivi europei che hanno visitato in questo viaggio, Tania e Gabriela hanno tratto alcune riflessioni con cui concludiamo l’intervista. Tania fa un appello “a tutte quelle che lottano in difesa dei loro territori, a imparare a vederci in relazione; bisogna guardarsi dentro, nel Nord come nel Sud globale. Le spoliazioni in America latina, in Africa e in ampie zone dell’Asia, producono grandi violenze di cui siamo responsabili anche nel Sud”. Gabriela fa appello al Nord perché “nonostante qui non si estragga petrolio, se ne fa uso, ci sono le raffinerie,… bisogna chiedersi qual è la relazione tra ciò che succede qui e ciò che occorre là. La lotta deve essere diversificata ma in relazione. Dobbiamo guardarci noi stesse e smetterla di guardare le altre come oggetti, affinché la lotta sia più forte e più onesta.”

*Fonte articolo: https://www.elsaltodiario.com/extractivismo/mirada-critica-extractivismo...
Traduzione a cura di Nadia De Mond.