Donne trans, violenza di genere e femminicidio: una riflessione verso il 25 novembre

Mon, 20/11/2017 - 10:20
di
Ethan Bonali*

Il Tdor (Transgender Day of Remembrance) si celebra il 20 novembre ed è il giorno in cui la comunità trans celebra il lutto per le vittime di odio della propria comunità. Si tratta di un rito laico per restituire dignità di memoria e di genere pronunciando i nomi delle vittime di omicidio a sfondo transfobico.

Gli episodi di attrito nella comunità lgbtqi+, nel movimento femminista e la vicinanza del 25 novembre, data della manifestazione in cui sarà portato in piazza il piano antiviolenza di Non una di meno, mi hanno spinto a fare una riflessione e una ricerca sul femminicidio e sulla violenza transmisogina sulle donne trans.

La connotazione di genere nell’utilizzo del termine femicide, per indicare gli omicidi di genere, risale alla seconda metà del Novecento. Diana Russell è la studiosa che maggiormente ha contribuito all’elaborazione della categoria criminologica del femminicidio, mediante la quale distingue dagli omicidi di donne per motivi accidentali o occasionali tutte quelle uccisioni di donne, lesbiche, trans e bambine basate sul genere, e quelle situazioni in cui la morte di queste persone rappresenta l’esito o la conseguenza di altre forme di violenza o discriminazione di genere (come si può leggere nel suo libro Femicide. The politics of woman killing, 1992).

Ma per la legge è davvero così? Per rifletterci partirò da un episodio di femminicidio avvenuto in Brasile.

Il femminicidio di Michele e la legge brasiliana sul femminicidio

In una sera di febbraio del 2016 è stato trovato a San Paolo il corpo di una donna trans di nome Michele (nome femminile in Brasile), strangolata e pugnalata.

In tribunale il pubblico ministero ha accusato il suo compagno di femminicidio: è la prima volta in Brasile, dopo l’approvazione della “Legge Rosa” nel 2015, che si applica, in termini giuridici, la parola femminicidio per l’omicidio di una donna trans.

Secondo la pubblica accusa Michele viveva e veniva trattata come una donna già dall’adolescenza e quindi la sua vita era quella di una donna. Nonostante Michele non si fosse mai sottoposta a una operazione di riassegnazione sessuale, né avesse rettificato i propri documenti, aveva fatto operazioni come la mastoplastica additiva, utilizzava il nome femminile che aveva scelto ed era trattata da chiunque in accordo con la sua identità. La convivenza con il compagno, accusato dell’omicidio, aveva precedenti di violenza.

Il crimine di femminicidio è previsto nel codice penale brasiliano con l’approvazione della “Legge Rosa” del 9 marzo 2015. Tuttavia, durante la sua approvazione la coalizione conservatrice è riuscita a far sostituire il termine “sesso” a quello di “genere”, escludendo di fatto tutto un universo femminile colpito da crimini di odio quali la transmisoginia e la sessuofobia.

Il progetto di legge, infatti, prevedeva il riconoscimento di crimini di odio nei confronti di donne transessuali, transgender e “travesti” (termine brasiliano che indica una vera e propria comunità/identità).

Secondo Rafaely Wiest, presidente del gruppo trans Marcela Prado, “esiste una coalizione fondamentalista, formata da militari conservatori e parte della comunità evangelica che vede oggi, la comunità Lgbti come una moneta di scambio”. Per l’attivista, infatti, l’approvazione di politiche pubbliche per le persone trans è stata ostacolata dopo che il tribunale federale ha concesso il diritto alle unioni stabili alla popolazione Lgbti e ha criminalizzato l’omofobia: “Quello è stato lo spartiacque. Da quel momento è iniziata una guerra”.

L’art.1 della legge del 9 marzo 2015 definisce il femminicidio come “omicidio contro una donna con ragione nella sua condizione di sesso femminile”. Si considera la presenza di una condizione di sesso femminile quando il crimine si sviluppa per: violenza domestica e familiare, disprezzo o discriminazione della condizione di donna.

Una legge così formulata produce grandi assenti e un meccanismo di inclusione/esclusione basato su un ben determinato concetto di “donna”. Le prime escluse sono sicuramente le donne transessuali, transgender e travesti.

La legge è stata approvata sula scia delle impressionanti cifre sulla violenza contro le donne, dati che, purtroppo, continuano ad ignorare le cifre spaventose riguardanti la popolazione trans. Questo accade perché i dati sulla violenza non considerano l’identità di genere, ma si basano sul sesso biologico. Questo criterio opera una rimozione di una componente importante del femminicidio e non considera la componente sociale e sessista della transmisoginia.

Allo stesso modo non sono riconosciute le persone AFAB e AMAB (persone cui è stato assegnato un sesso femminile (F) o maschile (M) alla nascita ma che si identificano in altro) per le quali occorrerebbe trovare una formula che le includa nei crimini di odio.

Restano in una pericolosa zona grigia, alla mercé delle convinzioni morali e dello stigma, le sex worker, sulle quali spesso si esercita la pericolosa convinzione che la violenza cui sono esposte sia un “rischio del mestiere”.

Nei fatti, per rientrare nella definizione di femminicidio occorre che venga riscontrato un quadro di violenze precedenti – non per forza provato da denunce ma anche basato sulla sola testimonianza delle persone vicine alla vittima. In molti casi, il fatto che si tratti di violenza domestica o familiare, facilita il riconoscimento del femminicidio.

Ma l’applicazione di una legge è sempre filtrata dalla cultura e dalle convinzioni di chi la applica

Dopo l’omicidio di Michele, Valéria Scarance, responsabile del laboratorio di discussione di genere e violenza domestica del Pubblico Ministero di San Paolo, ha affermato che vi sono possibilità da parte delle istituzioni per superare la lacuna della “Legge rosa”, lavorando ad un ampliamento per allargare il concetto di “donna” anche alle persone transessuali, transgender e “travesti”, perché la realtà giuridica è diversa da quella biologica.

Femminicidio e transmisoginia in Colombia

In un altro paese del Sud America, la Colombia, la legge 1761/2015 definisce il femminicidio come l’atto di causare la morte di una donna, per la sua condizione di essere donna o per la sua identità di genere.

Apparentemente questa definizione risolve ciò che, invece, nel codice penale brasiliano è una vera e propria esclusione.

Tuttavia il procuratore Alejandro Ordóñez ha portato dubbi di violazione del principio di legalità e di equo processo sostenendo che la legge potrebbe creare problemi di interpretazione e ha chiesto di definire il femminicidio in accordo con la definizione della Real Academia de la Lengua, ovvero come omicidio per ragioni di “sesso”, intendendo quest’ultimo come determinato da caratteristiche biologiche, fisiologiche e cromosomiche.

E in Italia?

Il decreto d’urgenza contro il femminicidio, convertito in legge nel 2013 non prevede esplicitamente le donne trans come vittime di odio di genere. Una lettura del testo fa comprendere come si sia assolutamente proiettati verso una idea di donna basata sulla biologia. Anche nel dibattito pubblico e nei dati Istat sul fenomeno, la femminilità trans è stata rimossa.

Il 25 novembre 2017 è l’occasione storica per il movimento femminista italiano di presentare un piano antiviolenza scritto collettivamente e “dal basso” dal movimento di Non una di meno, ma è anche un momento in cui possono aprirsi ferite e crearsi punti di rottura.

Il cuore di questa manifestazione è composto da parole e concetti che non sono per nulla banali: come definiamo una donna? Che cosa è violenza di genere? Che concetto di patriarcato abbiamo? Chi è esclus* perché invisibile o invisibilizzat*?

Su queste parole, interpretazioni e concetti si gioca il cambiamento del femminismo intersezionale.

E queste parole sono divisive.
Lo abbiamo sperimentato con la svolta autoritaria ed essenzialista delle responsabili della pagina di Arcilesbica Nazionale, lo abbiamo visto nella retorica di Luisa Muraro, negli attacchi alle persone trans e non binarie, nelle logiche di disprezzo delle donne alla base della criminalizzazione del sex work.

La violenza sulle persone trans comprende quasi tutti i concetti alla base del patriarcato: misoginia, odio per il diverso, il concetto di una scala di valore e merito che vede gli uomini sopra alle altre persone, la divisione delle donne in più o meno degne, la sessuofobia, la patologizzazione.

Il Tdor, ovvero la ricorrenza in cui si celebra il lutto della comunità trans per le vittime di odio transfobico, e il 25 novembre hanno un dialogo sostanziale tra loro che lo si riconosca o no.

Che società vogliamo?

Fonte: Pasionaria