Perché le donne abbandonano l’Accademia e perché le università dovrebbero esserne preoccupate

Thu, 13/10/2016 - 10:37
di
Curt Rice (da The Guardian)*

Pubblichiamo di seguito la traduzione di un articolo uscito la settimana scorsa sul Guardian su come le donne vedono la carriera accademica. L’articolo descrive uno spaccato dell’università inglese e in particolare si concentra sui dottorandi in chimica. Tuttavia riteniamo che tutte le dottorande italiane potranno facilmente ritrovarsi nelle descrizioni delle chimiche inglesi. Che la carriera accademica sia costellata di incertezza e difficoltà è forse un elemento che è sempre più sotto gli occhi di tutti. Ma che per le donne le difficoltà siano ancora di più e ancora più ingiustificate, non è così scontato.
Perché la ricerca deve essere il lavoro precario per eccellenza? Perché l’essere donna ci impone di scegliere tra carriera e famiglia? Al momento il modello vincente nell’accademia è maschile, forse perché l’accademia è costruita secondo canoni “maschili”. E se ci fossero altri modelli?
Nella parte finale l’articolo sostiene che la soluzione sia in un cambio di marcia della dirigenza delle istituzioni accademiche e nel cambiamento della cultura corrente. A noi sembra che la soluzione invece non possa venire dall’alto, ma dovrà passare per una presa di parola e una ribellione delle decine di migliaia di dottorande e giovani ricercatrici (e dei loro colleghi maschi) che “galleggiano” nel mondo della ricerca in direzione orizzontale, sempre più disilluse sulla possibilità di fare il salto verticale e scoraggiate da difficoltà materiali, incertezza, pressioni crescenti dovute alla competizione, e impossibilità di progettare un futuro.

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Sono tre le ragioni che fan sì che le giovani scienziate donne lascino la carriera accademica in un numero molto maggiore rispetto ai loro colleghi uomini. Durante il proprio dottorato un gran numero di donne arriva a concludere che (1) le caratteristiche della carriera accademica non sono attraenti, (2) le difficoltà che incontreranno sono sproporzionate e (3) i sacrifici che dovranno fare sono giganti.
Queste sono le conclusioni del The chemistry PhD: the impact on women's retention (Il dottorato in Chimica: l’impatto sulla permanenza delle donne), un report per il Centro di Ricerche per le Donne (UK Resource Centre for Women in SET) e la Royal Society of Chemistry. In questo report vengono presentati i risultati di uno studio trasversale sui dottorandi in chimica.

Uomini e donne mostrano intenzioni radicalmente diverse riguardo gli sviluppi delle loro future carriere. All’inizio del proprio studio di dottorato il 72% delle donne ha intenzione di seguire la carriera da ricercatrice, sia nell’industria che nell’università. Tra gli uomini è il 61% ad esprimere la stessa intenzione.
Al terzo anno la proporzione di uomini che progetta una carriera nella ricerca scende dal 61 al 59%. Ma per le donne la percentuale crolla dal 72% nel primo anno al 37% alla fine degli studi.
Se separiamo coloro che vogliono lavorare nell’industria da coloro che vogliono lavorare nell’università, al terzo anno le percentuali sono allarmanti: il 12% delle donne e il 21% degli uomini vede l’accademia come la loro scelta che preferiscono.
Questo non è il numero di studenti che effettivamente poi lavorerà nell’università: è la percentuale di chi vorrebbe farlo. L’88% delle donne nemmeno vuole una carriera accademica, e neanche il 79% degli uomini! Come può essere? Perché le università sono posti di lavoro così poco attraenti?

Parte del report (The chemistry PhD) discute i problemi che emergono durante il dottorato, come la troppa poca supervisione, la troppa supervisione, l’attenzione a raggiungere risultati sperimentali invece che la padronanza nell’utilizzo di metodologie, e molto altro. Gli effetti a lungo termine, però, si riflettono nei comportamenti e nella fiducia nell’accademia che emerge durante questo periodo.
I/le partecipanti allo studio elencano molte caratteristiche della carriera accademica che trovano poco attraenti: la costante caccia ai finanziamenti per progetti di ricerca è un impedimento significativo sia per gli uomini che per le donne. Ma le donne più degli uomini vedono la carriera accademica come totalizzante, solitaria e inutilmente competitiva.

I dottorandi, sia uomini che donne, si rendono conto che una serie di post-doc (assegni di ricerca successivi al dottorato) è parte del percorso di questa carriera, e sanno che questo può richiedere frequenti spostamenti e la mancanza di sicurezza di un impiego futuro. Le donne soffrono più degli uomini la competitività a questo stadio della carriera accademica e le loro preoccupazioni sulla competitività sono alimentate, secondo loro, da una relativa mancanza di autostima.
Le donne più degli uomini vedono grandi sacrifici come prerequisiti per il successo nell’accademia. Questo deriva in parte dalla loro percezione delle donne che hanno avuto successo, e dalla natura dei modelli dei ruoli disponibili. Le studentesse percepiscono che le professoresse (di successo) mostrano caratteristiche “maschili” come l’aggressività e la competitività, e spesso non hanno figli.

Come se non bastasse le dottorande donne hanno avuto un’esperienza che gli uomini non hanno. È stato detto loro che avrebbero incontrato problemi lungo il loro percorso solo perché sono donne. È stato detto loro, in altre parole, che il loro stesso genere avrebbe lavorato contro di loro.

Seguendo gli studenti di dottorato attraverso i loro studi e ponendo domande pungenti, abbiamo imparato non solo che il numero di donne del dottorato in chimica che intende seguire la carriera accademica crolla drammaticamente, ma anche perché. (Vedi anche Why go for a PhD? Consigli per chi è in dubbio).
Questa ricerca, e la nuova consapevolezza che ci fornisce, dovrebbe essere letta da tutti coloro che sono a capo di un gruppo di ricerca o di un dipartimento. La stessa storia sicuramente funziona al di là della chimica. Ma ricordiamo anche che non sono solo le donne che non trovano attraente l’accademia. Solo il 21% degli uomini vuole dirigersi verso questa strada.

Le università, come i centri di ricerca, non sopravviveranno a meno che la dirigenza dell’università non realizzi che le condizioni di lavoro che offrono riducono drammaticamente la dimensione del bacino da cui assumere. Noi non sopravvivremo perché non abbiamo ragione di credere che attiriamo i più bravi e i più brillanti. Quando l’industria è l’impiego più attraente, la nostra credibilità come sede della ricerca a lungo termine, di punta, ad alto rischio e profondamente creativa, è ridotta.
La risposta si trova nella dirigenza e nel cambiamento dell’attuale cultura per costruirne una nuova verso nuove sfide. Il lavoro è impegnativo e richiederà un lavoro di squadra all’avanguardia per riuscire. La tua università è pronta?

*Fonte: https://www.theguardian.com/higher-education-network/blog/2012/may/24/wh...
Traduzione dall'inglese di Marta Autore e Marta Russo