Il mondo della scuola scalfisce la retorica renziana

Thu, 07/05/2015 - 10:16
di
Giovanna Caltanissetta*

I cortei di martedì hanno portato nelle piazze italiane, non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli centri di provincia, oltre mezzo milione di persone, dando di fatto vita alla prima grande manifestazione di piazza contro il governo Renzi. I dati sulle adesioni dicono che ha scioperato oltre l'80% del personale docente e ata, con punte del 100% in diverse scuole che sono rimaste chiuse.
La narrazione tossica di Renzi comincia ad incrinarsi proprio sul mondo della scuola, settore sul quale il Governo ha costruito gran parte della sua propaganda mediatica.
Una delle prime mosse di Renzi è stata infatti quella di lanciare la proposta di legge della “Buona Scuola”, lanciando a Settembre una consultazione on line. Consultazione poco partecipata da studenti e docenti, che invece hanno cominciato ad organizzarsi in maniera autonoma nelle scuole, dando vita ad assemblee, gruppi di studio, producendo molto materiale come le mozioni dei consigli di istituto che il Governo si è sempre rifiutato di ascoltare.
Una “riforma” della scuola presentata con lo specchietto per le allodole del grande proclama della “fine del precariato” e delle assunzioni dei precari, dietro cui ci sono provvedimenti come la crescita dei poteri del dirigente manager, l'aumento per gli studenti delle ore da svolgere nel'ambito dell'alternanza scuola-lavoro, l'apertura ai finanziamenti privati, la “dequalificazione del ruolo docente” e la “cancellazione” delle graduatorie di istituto. A marzo il Ddl mostra articoli ancor più negativi, con la riduzione consistente del numero delle assunzioni (da 148.100 si passa a 100.701) e soprattutto con altri poteri assegnati al dirigente scolastico che sarà non solo il manager della scuola ma anche il “padrone” del corpo docente. In base al Ddl infatti potrà: selezionare il docente, valutarlo dopo l'anno di prova, valutarlo durante la carriera per avere “gli scatti salariali di merito”, stabilirne, passato il triennio, la permanenza o meno nella sua scuola.

Con il disegno di legge, la protesta è cresciuta e divenuta sempre più capilarre, grazie a diverse iniziative lanciate autonomamente dai docenti con presidi, scioperi della fame, assemblee, flash mob che hanno spinto i sindatati confederali a proclamare per la prima volta dopo 7 anni uno sciopero generale della scuola.
Si è giugnti così alla giornata di martedì, straordinaria in temini di partecipazione, andata ben oltre gli iscritti alle diverse sigle che hanno fatto da amplificatori alla protesta.
Il corteo di Roma ha visto la partecipazione di oltre centomila persone, non solo docenti e personale ata, ma anche famiglie, studenti di tutte le età scesi in piazza con i genitori, con i loro insegnanti o organizzati nello spezzone che chiudeva il corteo.

La forza del corteo è stata la ricomposizione di una categoria, quella dei docenti, troppo spesso divisa al suo interno, a causa di quella “guerra” prodotta dai provvedimenti legislativi degli ultimi anni e che il ddl accentua. Le piazze hanno dimostrato al Paese che esiste chi ha il coraggio di lottare per un'idea diversa di scuola, e quindi per un futuro diverso da quello cui le politiche del Governo Renzi vogliono condannarci, ovvero un futuro di precarietà, competizione, sfruttamento. La vera “buona scuola” è quella scesa in piazza, fatta da persone che la portano avanti quotidiamente, nonostante le mille difficoltà (dai soffitti che crollano alle classi pollaio), e che chi ci governa dimostra di non conoscere affato. E' quella data dalla collaborazione e dalla condivisione di pratiche e metodi da parte di docenti, studenti e famiglie, non è certo quella autoritaria del modello renziano che dopo aver incarnarnato la figura del “premier-sindaco” ha costruito quella del “preside-sindaco”, ovvero quella di un sistema in cui un uomo o una donna decidano tutto e abbiano il constrollo su tutti coloro che vivono nella “loro scuola”. Il ddl renziano inoltre prevede l'assegnazione del 5 per mille ad una singola scuola cosa che, in un Paese come l'Italia che presenta un alto grado di diseguaglianza tra le scuole per ordine e per collocazione giografica, non farebbe altro che aumentare tali disuguaglianze a danno delle scuole che si trovano già in una situazione difficile.

Ecco perché, nonostante sia mancata tale richiesta da parte dei sindacati, le piazze di martedì dicono a gran voce che il ddl va rititato e che siamo solo all'inizio della mobilitazione, perché la scuola pubblica italiana va sicuramente cambiata ma con la partecipazione di chi la vive e la abita quotidiamente.
I docenti scesi in piazza ieri, al contrario delle accuse che sono state rivolte loro, non vogliono difendere lo status quo, sono i primi a voler migliorare il sistema attuale, ma non certo stravolgerne le basi sancite anche nella nostra carta costituzionale. A questo proposito, basti dare uno sguardo alla Legge di Iniziativa Popolare per una Buona Scuola per la Repubblica (Lip), proposta depositata in parlamento nel 2006, dopo aver raccolto ben 100.000 firme, esito di un dibattito e di un percorso che ha coinvolto in modo democratico migliaia di genitori, docenti e studenti di varie parti d’Italia. Questa proposta non è stata presa in considerazione, mostrando chiamente quanta volontà ci sia da parte di chi governa di ascoltare... altro che consultazione online.

Per questo non stupiscono le dichiarazioni del Governo dopo il successo della mobilitazione. La Ministra Giannini, dopo aver definito i docenti che contestano «squadristi», ha poi minimizzato lo sciopero definendolo “un'operazione politica in funzione elettorale”. Renzi ha dichiarato che "La scuola è una grande occasione, deve creare cittadini, non solo lavoratori” aggiungendo poi "siamo il primo governo che mette 3 miliardi sulla scuola". Renzi si riferisce forse a cittadini precari, come i docenti che dopo l'assunzione o con la promessa di essa dovranno consegnare la loro vita nelle mani del loro dirigente scolastic. Per quanto riguarda gli investimenti Renzi si è dimenticato i tagli di 6 miliardi della legge Gelmini, quindi di fatto il suo governo si limita a rimediare ai danni e non restituisce il mal tolto neanche per l'intero importo.

Lo sciopero del 5 maggio manda un grande segnale dimostrando che è possibile opporsi anche alla retorica del “nuovo salvatore della patria”, che esiste una società pronta a scendere in piazza per riprendere la parola e smontare la “narrazione tossica” renziana. La piazza dimartedì, con i suoi numeri, manda un segnale forte anche ai sindacati: il ddl va ritirato, non emendato!

*Insegnate precaria.