Un'intervista istruttiva

Tue, 09/02/2016 - 09:15
di
Marco Bertorello

Su Repubblica di lunedì 8 febbraio Giorgio Napolitano ha rilasciato una lunga intervista a Stefano Folli, l'argomento è l'Europa. Non è l'intervista di un ex presidente ormai in pensione che esprime impressioni in libertà, ma una vera e propria espressione politica delle nostre classi dirigenti, di quello che pensano e di quello che le preoccupa nel confronto in corso tra governo e istituzioni comunitarie. Napolitano esprime bene questi sentimenti, poiché per lungo tempo ha svolto un ruolo centrale nella politica italiana in rappresentanza di interessi consolidati che fanno della moderazione e del realismo il proprio tratto distintivo. Continuità ed equilibrio sono i punti cardinali del pensiero e dell'azione di Napolitano, e non da ora. Per chi non lo ricordava più, come il sottoscritto, la serie televisiva 1992 ci ricorda come ai tempi di tangentopoli fosse il presidente di una Camera decimata dalla magistratura.

L'intervistatore mette subito in evidenza le perplessità dell'ex presidente sul tentativo un po' scomposto, secondo i tradizionali canoni, con cui Matteo Renzi prova a smuovere le acque sul piano continentale. Intendiamoci subito: il governo Renzi è in completa continuità con i suoi predecessori, basti rimembrare i contenuti della famigerata lettera di Draghi e Trichet del 2011 al governo Berlusconi per rendersene conto. Aumentare la libertà in entrata e in uscita nel mercato del lavoro, decentrare la contrattazione, privatizzare, liberalizzare i servizi pubblici. Tutti provvedimenti assunti o in via di assunzione da parte dell'attuale governo. Ciò su cui Renzi, però, sta provando a forzare la mano riguarda i temi di bilancio, con richieste di flessibilità sul rapporto deficit/Pil, su una serie di spese che dovrebbero restare fuori dal conteggio di questo rapporto, a partire da quelle per (respingere perlopiù) l'immigrazione.
L'idea secondo cui Renzi proverebbe a raggruppare i socialisti per dare forza alla propria trattativa appare a Re Giorgio un bene, «ma a condizione di non dimenticare che le intese in Europa dovranno essere comunque molto più larghe, in vista di decisioni condivise». Si passa, dunque, per le storiche famiglie dei popolari e dei socialisti, le quali nonostante il loro evidente logoramento, costituiscono le aree imprescindibili per la gestione del vecchio continente. Il terrore di Napolitano è che l'Italia svolga il ruolo di apripista, tra i paesi più grandi, per un ripiegamento su scala nazionale, «restare impigliati nella dimensione nazionale, anziché agire per fare un balzo in avanti nell'integrazione». Occorrerebbero invece, secondo Napolitano, scelte nuove della politica per superare l'austerità. Ma tale superamento sarebbe possibile affermarlo non attraverso la rivendicazione di maggiori margini di manovra negli equilibri di bilancio a livello nazionale, ma «sollecitando nuovi progetti di investimento a livello europeo e finanziandoli con nuove risorse sul bilancio dell'Unione. Ovvero attraverso fondi da raccogliere sul mercato per fronteggiare opere straordinarie per le migrazioni e la sicurezza». Peccato che negli ultimi anni proprio il bilancio dell'Unione sia stato ridotto, anche sotto i colpi di paesi come la Gran Bretagna, che ora sembrano addirittura con un piede fuori in considerazione del referendum messo in calendario dal governo conservatore. Inoltre i progetti da finanziare col mercato costituiscono la semplice riproposizione del piano di investimenti Junker, che attraverso un eccezionale effetto leva dovrebbe smuovere 315 miliardi mediante un fondo di risorse pubbliche di solo 21. Dalla sua formale approvazione, i dubbi sulla fattibilità non sono che aumentati.

Infine l'ex presidente chiede maggiore integrazione politica, con poteri e risorse per le istituzioni continentali «in un quadro nuovo di equilibri democratici». Qui il ritornello è su più unità, anziché meno. Sulle orme di Draghi chiede l'unione bancaria a completamento di quella monetaria, garanzie europee sui depositi, con un'autorità di bilancio da creare all'interno dell'eurozona, un ministro delle finanze continentale dunque. Un rafforzamento problematico, in quanto non si capisce verso quale direzione politica dovrebbe procedere. A un rafforzamento dell'eurozona i tedeschi non sono affatto ostili, dato che lo considerano un modo per stringere ancora di più i legami continentali a guida teutonica. Non a caso la proposta del super ministro delle finanze venne fatta da Schauble al termine dell'ultimo disastroso accordo con la Grecia. Tutte proposte con armi spuntate, ma che servono a proseguire con l'attuale impalcatura continentale, quella che consente di tenere in sella le classi dirigenti dei paesi aderenti, volte a rafforzare l'impresa dedita all'export. Il populismo spaventa, le strutture europee scricchiolano da più parti, e Napolitano, in rappresentanza dell'impresa internazionalizzata nostrana, chiede equilibrio, sostenendo che «è inimmaginabile qualsiasi svolta senza e contro Berlino».

Simili preoccupazioni emergono in questi giorni anche sul Sole 24 Ore a dimostrazione di come l'atteggiamento filo-governativo del quotidiano di Confindustria non sia un assegno in bianco. Di autonomia ci sarebbe bisogno (in tanti sono disposti a sostenere ufficialmente la campagna nazional popolare di Renzi), ma dentro il quadro dato. Peccato che la quadratura di questo cerchio è sempre più difficile da perseguire. Persino un certo populismo governativo risulta stretto tra propaganda e realismo, tra necessità e realpolitik. Una certa autonomia della politica ci fa capire come persino per i governi che fanno i compiti, la ricreazione concessa non sia abbastanza.
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