Tutta colpa delle banche?

Tue, 25/02/2014 - 13:41
di
Marco Bertorello

Una vulgata diffusa punta l'indice solo su finanza e banche, come se questo fosse l'ambito in cui scaturiscono tutti i problemi di ordine sistemico. Certamente nessuno può sottovalutare lo sbilanciamento dalla sfera economica a quella finanziaria, ma andrebbe compreso come questo spostamento sia anche la risultante delle difficoltà nel sistema di produzione e di consumo. La ricerca di profitto nel capitalismo avviene sempre cercando la strada più semplice, più veloce e più remunerativa. Uno dei fondamenti dell'economia di mercato era il fatto che gli attori, perseguendo il bene privato, e consapevoli solo di ciò, riuscivano a perseguire anche il bene collettivo. Questa era la forza intrinseca del capitalismo. Ora sembrerebbe non esserci più.
Con ciò non voglio assolvere il sistema finanziario e quello bancario. Il cosiddetto “troppo grandi per fallire”, in particolare nel segmento finanziario, conduce a costanti aiuti a banche e dintorni. L'ultimo esempio è la richiesta di una bad bank per convogliare tutti gli investimenti tossici che le banche italiane hanno in pancia. Un'operazione di pulizia piuttosto dubbia e dove non è chiaro (per usare un eufemismo) su chi dovrebbero ricadere i costi. Ma è realistico addossare tutte le responsabilità al sistema bancario? É possibile scindere finanza e credito dall'economia reale?
A rischio di sembrare provocatorio, provo a ridimensionare la responsabilità delle banche. Una delle accuse più ricorrenti sostiene che le banche dopo aver ricevuto miliardi dalla Bce non abbiano dato ossigeno a cittadini e imprese. Ma i finanziamenti ricevuti nel biennio 2011-12 a tassi risibili sono stati ideati non per supportare l'economia, ma per trovare acquirenti di titoli pubblici che i paesi periferici non riuscivano più a reperire sul mercato. Il famoso Ltro è stato approvato per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani e non per altro. Dato che alla Bce è precluso il ruolo di prestatore di ultima istanza i titoli pubblici vengono acquisiti nel mercato secondario. Se è vero che le banche così senza alcuno sforzo e senza molti rischi hanno intascato denaro in prestito dalla Bce al tasso di 1-0.75% per impegnarlo in titoli pubblici remunerati al 6-7%, è anche vero che questo bel guadagno è stato offerto alle banche per raffreddare, almeno parzialmente, la crisi dei debiti sovrani. A posteriori gli stessi che ieri approvavano tali manovre oggi denunciano come le banche non abbiano aiutato l'economia reale. In realtà di quest'ultima in quel periodo pochi si preoccupavano adeguatamente.
In queste settimane si sente parlare di piani per favorire un maggiore impegno delle banche nell'economia in carne e ossa. Draghi, Unione europea, paesi come l'Italia stanno pensando a progetti per riportare le banche a far credito all'impresa. Ma quale rapporto esiste tra impresa e banche in tempi di crisi? Il dato da cui tutti prendono le mosse è quello che certifica la costante riduzione di credito alle imprese, cioè -5.6% nel solo 2013 per Banca d'Italia. Ma su quali siano le cause di tale contrazione poco si riflette. Certamente le motivazioni sono molteplici. Per le banche italiane è stato senz'altro più facile acquistare titoli pubblici che rischiare facendo credito ad attori dell'economia reale. I rendimenti erano maggiori e più garantiti. La stessa finanziarizzazione dell'economia ha reso più allettante l'impegno su tale fronte ben oltre i debiti sovrani. Ma è proprio sul versante dell'economia reale che nascono i problemi più seri. Evidenziare il cosiddetto credit crunch (l'inasprimento delle condizioni di offerta del credito) implica presupporre che persino in periodi di crisi, e questo è indubitabilmente uno di quelli, esista sempre una domanda d'investimenti che attende di essere finanziata e che le banche lasciano inevasa preferendo la speculazione. Ma la profondità della crisi dell'apparato industriale è tale da mettere seriamente in dubbio l'esistenza di una significativa domanda di credito inevasa. Le imprese solitamente cercano credito per espandersi ulteriormente durante una fase crescente del ciclo oppure per resistere a una fase di contrazione. Quel che oggi accade non è il primo caso, ma il secondo. La richiesta di credito equivale a indebitarsi aspettando tempi migliori. È ciò che sta avvenendo per tanta parte dell'apparato industriale italiano, dove si prova a mantenere i ricavi inalterati, alcune volte persino cedendo sui margini. Le voci attive sono spesso quelle sul versante finanziario, molto meno quelle del sistema produttivo in senso stretto. I dati sul calo delle produzione italiana sono a questo proposito indicativi. L'Istat sancisce un meno 3% anche per il 2013. Nel 2012 era stato negativo per il 6.7%. Nel 2011 era stato stazionario rispetto all'anno precedente. Il 2010 aveva registrato una crescita del 5.5% a fronte del crollo di oltre 17 punti del 2009. Una serie storica orribile. A questi dati corrisponde uno stallo sul versante dell'indebitamento. Basti pensare che nel 2008 i debiti finanziari dell'industria erano pari a 265 miliardi di euro e nel 2013 sono diventati solo 270. Non a caso nel medesimo periodo il calo degli investimenti industriali è stato pari al 25%. Confindustria ha paragonato la crisi italiana a una guerra. I consumi privati negli ultimi cinque anni sono calati del 9%, tornando ai livelli di 15 anni fa, e la disoccupazione cresce costantemente.
I dati sulle crescenti sofferenze bancarie riflettono tali processi. Il più significativo non solo cataloga in sofferenza oltre il 10% dei crediti bancari, ma registra anche un costante aumento. Segno dei fallimenti nell'impresa e delle sofferenze sociali. La finanza tossica non è finita, anzi la marea di moneta immessa nel sistema in questi anni ha consentito di farla tornare in voga, ma sono soprattutto le ristrutturazioni e i fallimenti aziendali, la perdita o la riduzione di reddito per la cittadinanza a impedire a un numero crescente di soggetti di poter far fronte ai propri debiti. È la crisi reale che fa crescere le sofferenze bancarie a cui vanno aggiunte le difficoltà intrinseche al sistema bancario stesso, conseguenza della sotto-capitalizzazione e dell'utilizzo di leve eccessive. Problemi esplosivi che vengono risolti con favori alle banche, come il decreto Bankitalia per far superare i test della Bce al sistema bancario nostrano. Operazioni di pulizia che servono a nascondere le difficoltà sotto il tappeto. Nessun intento di scagionare uno degli attori forti del sistema capitalista contemporaneo, ma solo la voglia di provare a focalizzare meglio i problemi che abbiamo di fronte. Banche e finanza la fanno da padroni, ma ipotizzare di spingerli verso un'altra funzione rischia di non centrare l'obiettivo. È il sistema nel suo complesso a non funzionare, ne abbiamo segnali quotidiani.