Il gioco dell'oca

Sat, 15/02/2014 - 16:23
di
Marco Bertorello

Le attuali dinamiche della finaziarizzazione sono paragonabili ad un gioco dell'oca in cui si rischia di non raggiungere mai la fine, di tornare sulle solite caselle. Dopo lo scampato pericolo di un crollo verticale definitivo del sistema finanziario, si era aperto, perlomeno, un dibattito sulla necessità di autoriformare il sistema per renderlo meno insicuro e più solido. Dopo sei anni si può concludere che ci si è accontentati della sopravvivenza.
L'unica vera arma utilizzata per arginare la crisi, l'unico interventismo estraneo ai meccanismi automatici del mercato, è stata l'immissione nel sistema di una enorme massa monetaria. Tale scelta ha permesso di raffreddare la crisi nei paesi anglosassoni prima e quella dei debiti sovrani poi. Ma almeno dal 2013 sono via via emersi i rischi di nuove bolle. I numeri sono particolarmente significativi. Dall'inizio della crisi le banche centrali hanno aumentato la liquidità globale di circa il 70%, negli ultimi due anni le sole banche centrali di Usa, Gran Bretagna e Giappone hanno stampato moneta per 2.700 miliardi di dollari. I risultati sono stati inferiori alle attese, soprattutto sul fronte dell'economia reale. Per non dire di come tali provvedimenti procrastino i problemi, espandano un'economia fondata sul debito, rimandino all'infinito la chiusura del rapporto tra creditori e debitori.
I limiti di questa operazione di salvataggio della finanza a mezzo della finanza incominciano ad affacciarsi anche sullo stesso crinale dell'economia finanziaria. Si afferma, infatti, una sperequazione tra domanda e offerta negli investimenti finanziari. Troppi soldi per pochi collocamenti adeguati. Il miliardario Warren Buffet con la sua consueta capacità di fotografare le contraddizioni esistenti sostiene che «i rendimenti privi di rischi sono diventati rischi privi di rendimenti». E così questa imponente liquidità si aggira in cerca di investimenti sempre più redditizi compatibilmente a un contesto che li riduce. Il risultato è l'abbassamento dell'asticella che fa scattare l'allarme sui pericoli. Diventano nuovamente appetibili titoli di stato di paesi ritenuti a rischio insolvenza e persino i titoli che fino a qualche anno fa erano definiti tossici come i Cdo sono tornati in voga, cioè quei prestiti obbligazionari che attraverso la tecnica della cartolarizzazione impacchettano una serie di bond o derivati, oscurando il profilo dell'investimento stesso. Solo negli Usa nell'ultimo anno il loro valore nominale è aumentato del 40%. Il crollo in corso dei rendimenti oltre ad aumentare nuovamente il rischio finanziario complessivo, rende impraticabile per polizze assicurative e fondi pensioni la possibilità di rastrellare sui mercati rendimenti corrispondenti a quelli garantiti all'atto della stipula, obbligando questi comparti a ristrutturare in futuro.
Si aggiunga che gli accordi di Basilea 3 sulla regolamentazione, con l'avvicinarsi della loro entrata in vigore (nel lontano 2018!), grazie alle pressioni del settore vengono progressivamente depotenziati, aumentando la leva finanziaria per le banche, cioè il rapporto tra riserve di capitale necessarie e impieghi, evitando così la necessità di significative ricapitalizzazioni, adottando criteri meno stringenti sull'esposizione ai derivati, finendo per favorire nuovamente la grandi banche d'investimento. Non a caso tali decisioni sono state accolte in questi giorni con entusiasmo dai titoli del settore in tutte le borse.
La dimostrazione migliore della profondità delle contraddizioni esistenti sono la sterilizzazione del cambiamento intervenuta e le modeste operazioni di maquillage nella regolamentazione oltre che una politica monetaria ultra-espansiva dagli effetti imprevedibili nel medio periodo. Sembra proprio di essere tornati alla casella del via, peccato che non sia un gioco.