Venezuela: il canto del cigno del chavismo?

Wed, 09/12/2015 - 15:27
di
Juan Agulló e Rafael Rico Ríos*

Diciassette anni fa, il 6 dicembre 1998, Hugo Chávez vinse le elezioni presidenziali in Venezuela con una schiacciante maggioranza (56.20%). Quel Paese sudamericano seppellì così il bipartitismo [codificato dal Patto di Punto fijo che regolava l’alternanza tra COPEI e AD] e uscì da un ciclo infernale di crisi e ristrutturazioni che si succedevano senza fine.

Ieri, esattamente 17 anni dopo, Nicolás Maduro, il successore di Chávez alla presidenza della Repubblica, ha perso il controllo del potere legislativo, che passerà in mano all’opposizione. Dopo 18 vittorie in diverse elezioni, questa è la prima sconfitta. A partire da ora è possibile che ci troviamo di fronte alla fine di un altro ciclo. La domanda è però questa: siamo al canto del cigno del chavismo? [non considerando il referendum del 2007, perso per pochi voti da Chávez che aveva proposto molte modifiche poco convincenti alla sua stessa costituzione].

Innanzitutto, è bene ricordare che si tratta di elezioni legislative, non presidenziali, e che quindi l’esecutivo continuerà a governare sino al 2019.
Tuttavia, la massiccia vittoria dell’opposizione, con oltre 100 deputati [1], le assegna la cosiddetta «maggioranza qualificata» che le consentirà, tra l’altro, di approvare o respingere qualunque legge, di votare la sfiducia al vicepresidente e ai ministri, di promuovere riforme costituzionali.
Inoltre, con la forza che ha ottenuto l’opposizione studia la possibilità di convocare un referendum per revocare il presidente della Repubblica. Per fare ciò, però, dovrebbe prima riuscire a raccogliere le firme di un quinto degli elettori iscritti e poi superare, nel referendum, il risultato ottenuto da Nicolás Maduro nel 2013.

L’opposizione non è ancora al potere, ma la sua vittoria indebolisce il governo chavista in carica nel mezzo di una acuta crisi economica, politica e sociale.
L’interrogativo però è questo: perché, dopo tante vittorie, questa volta il chavismo ha perso? Per rispondervi occorre porsi il problema di cosa è stato e di cosa è oggi il chavismo.

Sin dalle sue origini il chavismo si era basato su due importanti fattori:
1.La reazione alle ricette neoliberali e alla crisi di legittimità del bipartitismo, che non poteva risolvere il problema della grande diseguaglianza di una società profondamente fratturata.
2.Un progetto politico che, fin dall’entrata in scena di Chávez nel 1992, era orientato a superare la dipendenza dal petrolio e la pessima ridistribuzione dei suoi redditi.

E che è successo in questi 17 anni? Ecco alcune chiavi di lettura, una prima sommaria analisi il giorno dopo la sconfitta.

Prima chiave: lo scontro con gli Stati Uniti

Proporsi il controllo e la redistribuzione dei redditi del petrolio è equivalso, per il Venezuela, a una dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, che considerano ogni riserva energetica nel mondo (e a maggior ragione nell’emisfero occidentale) una questione di “sicurezza nazionale”. Questo primo scontro si è tradotto in una lunga serie di interventi mediatici, economici, politici – diretti e indiretti – del gigante del Nord contro il Venezuela, compreso il colpo di Stato dell’aprile 2002. Diciassette anni dopo, anche se il Venezuela ha diversificato gli acquirenti del petrolio, continua a dipendere da Washington.

Seconda chiave: la dipendenza dal petrolio

In questi 17 anni il chavismo è stato incapace di ridurre la propria dipendenza dai redditi petroliferi. Non è riuscito a costruire un tessuto industriale, né a incrementare la produzione agraria, né ad avviare un settore dei servizi mediamente competitivo. Anche se è stato capace di riservare al Paese una parte molto maggiore dei redditi petroliferi – cosa di per sé sufficiente a far infuriare le varie lobbies multinazionali – , non è però riuscito a liberarsi dalla dipendenza dal petrolio, con le relative conseguenze.
Sino a che il prezzo del petrolio è rimasto alto, il chavismo è riuscito a garantire la redistribuzione dei redditi petroliferi sulla base di programmi sociali che hanno migliorato sensibilmente le condizioni di vita dei settori più sfavoriti, ridotto in misura spettacolare gli allarmanti livelli di povertà e garantito a tutti assistenza sanitaria e istruzione gratuite.
Tuttavia, negli ultimi anni gli Stati Uniti, che continuano a privilegiare le energie fossili, si sono indirizzati verso il fracking, ma i Paesi produttori di petrolio non vollero diminuire la propria produzione: il risultato è stato una forte diminuzione dei prezzi del petrolio, con una drammatica ripercussione sull’economia venezuelana. È da questo momento che la scarsità dei prodotti di prima necessità, l’inefficienza, il clientelismo, la corruzione e una politica sociale destrutturata e disorganizzata hanno iniziato a minare le conquiste del chavismo.

Terza chiave: il fallimento nella soluzione dei problemi endemici

Se si chiede all’uomo della strada perché il chavismo ha perso, la risposta è molto netta: scarsità dei prodotti, aumento dei prezzi, insicurezza. E tuttavia questi problemi, che hanno provocato un malessere sempre maggiore nella cittadinanza, sono problemi in gestazione da diversi anni, sono il prodotto di inerzie strutturali che il chavismo ha creduto fosse sufficiente denunciare per poterle superare. Non è stato così. Il governo si è difeso sostenendo che tali problemi sono indotti da chi ha interessi contrari al processo bolivariano: ma questo argomento, questa volta, non ha convinto la maggioranza della gente.

Quarta chiave: la mancata istituzionalizzazione

Il chavismo è stato incapace sia di arrivare a una istituzionalizzazione che garantisse le conquiste sociali, sia di disegnare un nuovo modello di Stato capace di reggere in modo sostenibile ed efficiente un sistema politico ed economico orientato all’eguaglianza e alla giustizia sociale.

Quinta chiave: la radicalizzazione dell’opposizione

L’opposizione non è solo eterogenea: è anche profondamente divisa. La violenza di strada scatenata agli inizi del 2014 da Leopoldo López e María Corina Machado ha eroso a fondo la leadership di Henrique Capriles Radonski, che si era prefisso un accordo di minima col chavismo su alcuni punti chiave, come l’insicurezza cittadina. Questa divisione dell’opposizione ha fatto sì che negli ultimi 17 anni i settori radicali di estrema destra prendessero l’iniziativa politica, impedendo qualunque accordo fra governo e opposizione e creando un clima di permanente ingovernabilità che ha ostacolato l’applicazione delle politiche governative.

Sesta chiave: l’eterogeneità del chavismo

Anche il chavismo non è omogeneo. L’endemico malessere sociale che ha dato origine al chavismo agglutinò in un unico movimento diverse sensibilità politiche, diversi settori sociali, diverse concezioni del Paese, militari e civili. Questa eterogeneità ideologica, che ha rappresentato un elemento di forza nel bloccare gli assalti della destra, ha tuttavia ostacolato la messa a punto di politiche chiare e coerenti. Il chavismo si è ridotto a essere più un sentimento unitario di settori politici e sociali eterogenei contrapposti a una classe dominante [quella del bipartito AD-COPEI] che una dottrina politica nettamente definita.

Questa sconfitta è un campanello d’allarme non solo per il chavismo, ma anche per la sinistra in generale, quando questa deve passare dalle intenzioni, dal discorso a favore dell’eguaglianza e dalla denuncia delle ingiustizie sociali, a governare con politiche credibili che rispondano alle concrete necessità dei cittadini.

Conclusioni

Il risultato delle elezioni di ieri può trarre in inganno. Nel 1972, in un piccolo libro dal titolo Venezuela contemporánea, ¿un país colonial?, lo storico Federico Brito Figueroa sosteneva che quel Paese era, in gran parte in conseguenza della produzione-dipendenza petrolifera, un eccellente esempio di colonialismo post-decolonizzazione. È vero che sino a un certo punto Chávez l’ha fatta finita con la tutela straniera, ma non così è stato con la dipendenza dal petrolio e le sue nefaste conseguenze sociopolitiche. Lo farà l’opposizione?
Per quanto possa sembrare banale, quel che è certo è che di fronte alla forte polarizzazione della società venezuelana l’opposizione deve assumere con responsabilità la sua vittoria, cosa di cui sino a ora non ha dato molte dimostrazioni. La sua vittoria è dovuta più all’incapacità del governo di risolvere i problemi che affliggono il Paese che a propri meriti.
Il voto per l’opposizione, proprio per sua natura, è un voto “contro” più che un voto costruttivo, e non va dimenticato che le politiche della cosiddetta Quarta Repubblica, con i suoi vecchi dirigenti ancora in campo, non riuscirono neanche loro a risolvere gli eterni problemi: dipendenza dal petrolio, distribuzione della ricchezza, diseguaglianze, marginalità, insicurezza.
Comunque sia, il chavismo – che non si riduce solo a questo governo – ha lasciato una traccia profonda nella coscienza politica del popolo venezuelano, rappresentando un prima e un dopo nella storia di questo Paese, con una capacità e una forza sufficienti a rinnovarsi e a produrre nuovi attori e movimenti che si affaccino sulla scena politica venezuelana e latinoamericana. Nessuno si azzardi a ritenerlo sconfitto.

* Juan Agulló è sociologo (geotlati@gmail.com); Rafel Rico Ríos è ingegnere nel campo delle telecomunicazioni (@rafaelricorios)
Testo pubblicato da Correspondencia de Prensa, 7 dicembre 2015 (germain5@chasque.net), tratto da http://www.rebelion.org/
Traduzione di Cristiano Dan per il sito di Antonio Moscato: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=a...

[1] Ulteriori dati divulgati dopo la pubblicazione di questo articolo assegnano 110 deputati all’oppositore MUD e 55 al chavismo; due seggi sono ancora da assegnare.