Una guerra per mettere fine alle prospettive di pace

Tue, 22/07/2014 - 18:19
di
Sergio Yahni (Alternative Information Center – Gerusalemme)

Le forze armate israeliane hanno attaccato la striscia di Gaza per colpire una formazione politica che aveva appena riconosciuto la sua sconfitta. Quando è iniziata l’offensiva era passato poco più di un mese dal patto di unità nazionale palestinese nel quale Hamas consegnava le redini del futuro del popolo palestinese nelle mani del presidente Abbas.

La sconfitta dei Fratelli musulmani in Egitto aveva portato la direzione politica di Hamas ad accettare la leadership politica e militare del presidente palestinese. Una richiesta che dal 2008 era il solo vero punto di discordia tra la direzione dell’Autorità palestinese e la direzione di Hamas. In cambio, Hamas sperava in un miglioramento delle sue fortune alle prossime elezioni palestinesi – il che sembrava abbastanza ottimistico visto come si stanno sviluppando le condizioni politiche della regione.

L’offensiva militare israeliana ha modificato lo sviluppo di questo processo trasformando Hamas nella indiscussa direzione della resistenza nazionale palestinese relegando Fatah e la sua direzione a semplici osservatori o aiutanti.

Sono già molti anni che il Likud ritiene che la superiorità militare israeliana ha la capacità di disegnare un medio oriente a misura delle necessità di Israele. Era la stessa idea del generale Ariel Sharon quando invase il Libano nel 1982.

Dal punto di vista militare, la sproporzione di forze tra Israele e la resistenza palestinese non potrebbe essere peggiore, soprattutto se si tiene conto del terribile isolamento della resistenza palestinese nella striscia di Gaza, ora che l’Egitto, suo principale protettore negli ultimi anni, è diventato il peggior nemico.

A differenza di Sharon, il tenente Netanyahu è un vigliacco e non aveva osato mettere sul tavolo questa operazione fino a quando non fosse stato convinto dell’isolamento politico della resistenza nella striscia di Gaza. Intanto il suo principale sforzo consisteva nel massacrare un’immaginaria opposizione in Israele colpendo a manrovescio un’inesistente sinistra.

Ma l’isolamento della resistenza a Gaza è talmente pesante che nelle condizioni attuali non può contare nemmeno sulla simpatia umanitaria del passato. Per l’occidente, così come per l’Egitto, l’unica alternaiva umanitaria è la resa della resistenza. La situazione è diventata talmente assurda che la Francia ha dichiarato illegali manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese.

Le poche voci di solidarietà che si sentono assomigliano ironicamente all’incitamento delle plebi romane al circo. O, peggio, gli ultimi alleati di Hamas – Turchia e Qatar – aspettano come falchi che il conflitto si plachi per poter finalmente utilizzare le riserve di gas naturale del fondo mediterraneo.

Invece, contro ogni logica, la resistenza non soccombe, al contrario entra nel suo quarto giorno di combattimento; non è poco, se pensiamo che le truppe egiziane il 6 giugno del 1967 si arresero dopo meno di un giorno di scontro con le truppe israeliane.

La resistenza palestinese sopravvive persino alla più crudele tattica israeliana: il massacro. Il massacro, che significa la distruzione del tessuto sociale del nemico, è stato lo strumento utilizzato da Israele in ogni occasione nella quale non abbia potuto avere un risultato a suo favore sul campo di battaglia. Il massacro di Sayayiah, dove quasi le metà delle vittime erano donne e bambine/i, non fu un errore né un eccesso quanto la ricerca di una rapida sconfitta della resistenza palestinese.

Ma la resistenza palestinese, chiaramente diretta da Hamas, non si spezza e continua a lottare. Né l’isolamento internazionale, né la superiorità militare israeliana, né il massacro di Sayayiah possono porre fine alla resistenza dato che questa sta difendendo gli interessi palestinesi e le masse appoggiano la sua azione.

L’Hasbara israeliana (la “diplomazia pubblica”, cioè la manipolazione dell’opinione pubblica, NdT) vorrebbe presentare la direzione della resistenza come un gruppo di militanti corrotti che vivono sotto terra, insensibili alle sofferenze della popolazione mentre questa paga il prezzo delle loro azioni. Se questa fosse la realtà, la stessa popolazione palestinese li avrebbe cacciati molto prima che cominciasse l’invasione israeliana. Ricordiamoci che se Hamas mantiene il controllo effettivo della striscia di Gaza, gli ultimi sondaggi assegnavano un consenso maggioritario a Fatah.

Allo stesso tempo, Israele teme la reazione internazionale, sa già per esperienza che le immagini che emergono da questo scontro colpiranno diverse sensibilità restituendo simpatia umanitaria alla resistenza palestinese. Per questo, prima ancora di iniziare l’offensiva, l’Hasbara risolse questo problema mettendo in dubbio le immagini che venivano pubblicate o si sarebbero pubblicate. Perciò l’Hasbara utilizza una vecchia realtà della regione: dato che il lettore europeo non è in grado nemmeno di distinguere tra Gerusalemme e Amman, Jaffa o Beirut, gli editori di giornali e dei canali televisivi non si sforzano granché per illustrare correttamente le proprie pubblicazioni. Allo stesso modo è facile mettere in dubbio se una fotografia è stata scattata nella striscia di Gaza o è stata presa dalla guerra civile in Siria.

L’Hasbara crea confusione mettendo in dubbio le veridicità delle immagini e dei testimoni, trasformando la confusione in un’arma contro la simpatia umanitaria. Ma anche l’Hasbara ha i suoi limiti e per quanto sia facile convincere la popolazione israeliana, né gli errori né i crimini possono essere nascosti al popolo palestinese che, al di là delle differenze politiche e religiose, rappresenta oggi una realtà insorgente che rende illusori gli obiettivi israeliani.

Molto prima che si arrivi ad uccidere l’ultimo guerrigliero palestinese a Gaza, la resistenza risorge in Cisgiordania, Gerusalemme e nelle comunità palestinesi all’interno di Israele.

Così, in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme, le notti di Ramallah, così celebrate dai poeti del passato, si sono trasformate in notti di ribellione nelle quali giovani palestinesi si scontrano continuamente con l’esercito israeliano.

Ma in questo mondo nel quale i socialisti hanno reso illegale la solidarietà, il popolo palestinese si trova tragicamente solo. I governi del mondo hanno dichiarato il loro appoggio al massacro, ma i popoli del pianeta ancora devono pronunciarsi.