Tunisia: “dialogo nazionale” o “riscatto del regime”?

Wed, 05/02/2014 - 22:22
di
Fathi Chamkhi

Pubblichiamo questo articolo di Fathi Chamkhi, esponente del Fronte Popolare Tunisino. Chomkhi analizza lo stato dell’arte della rivoluzione tunisina, evidenziandone i pericoli e le contraddizioni ma anche tracciando una strada che possa ridare forza ed impeto ad un processo tuttora in atto.

Lo scorso 5 ottobre è iniziato il “Congresso nazionale per il dialogo” sulla base di una bozza scritta dal quartetto politico che patrocina questo dialogo. Di fatto si tratta di una riproposizione del dialogo nazionale lanciato dallo stesso quartetto nel maggio scorso, interrotto dall’assassinio del leader del Fronte popolare Mohamed Brahmi.
Solo le organizzazioni politiche rappresentate nell’Assemblea Costituente hanno accettato questo dialogo. I suoi compiti sono quelli di concludere la redazione della Costituzione, promulgare una nuova legge elettorale, fissare la data delle elezioni e mettersi d’accordo su un nuovo governo provvisorio con ampi poteri che dovrebbe essere presieduto da una personalità indipendente, tutto questo nell’arco di un mese.
Il Fronte Popolare è stato isolato da questo processo, solo 3 dei 14 partiti che ne fanno parte hanno partecipato all’incontro. Alla fine l’obbiettivo sarà quello di tirar fuori Tunisi dalla crisi e di attivare una “transizione democratica”.
Questo "dialogo" rappresenta però l’opposto di quello che centinaia di manifestazioni, sit-in e scioperi, che hanno riunito in tutto il paese migliaia di persone, chiedevano. Il loro obbiettivo infatti era ottenere lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale Costituente (ANC) e di tutti i poteri che da essa scaturiscono, specialmente il governo provvisorio. Questo movimento rivoluzionario accusa gli islamisti e i loro alleati di aver tradito la rivoluzione, di essere responsabili dell'aggravarsi della crisi e del deterioramento della sicurezza nel paese. Questo significa anche la cancellazione definitiva del mandato elettorale da dove deriva la legittimità a governare di Enhadda.
Nel corso dell'ultimo quarto di secolo, l'economia locale è stata strutturata e focalizzata sul mercato estero e i benefici sono stati ampiamente raccolti dalle forze della globalizzazione capitalista neoliberista. Il risultato di questa rapina a mano armata è stata una enorme distesa di insicurezza, esclusione e povertà. Questo sistema aveva bisogno di un potere politico repressivo per essere mantenuto per un periodo di tempo più ampio.
Rompendo l'equilibrio di forze che ha permesso alla ricca minoranza di sfruttare la maggioranza, i poveri, le classi oppresse, grazie alla sollevazione rivoluzionaria, sono riusciti a cacciare il dittatore Ben Alì e a creare le condizioni politiche per rompere tutte le catene che li hanno condannati alla miseria e sottoposti all'oppressione.
Ma il processo rivoluzionario deve ancora affrontare molti ostacoli. Da un lato, i dubbi, le ambiguità, l'opportunismo dei partiti di sinistra e la mancanza di fiducia della classe operaia e della gioventù. Dall’altro l'adesione di un parte del movimento rivoluzionario al blocco controrivoluzionario. Infine, l'ostinato rifiuto della minoranza dominante, che detiene il potere economico e politico, a soddisfare le esigenze più urgenti delle classi lavoratrici, insistendo sulla fuga in avanti del capitalismo neoliberista, continuando con la sua politica di austerità, i suoi inganni e la sua ideologia reazionaria con le sue molteplici sfaccettature.
Se a questo si aggiunge l'enorme pressione esercitata dalle forze imperialiste sulle principali organizzazioni sociali e politiche, si ottiene un'idea delle forze controrivoluzionarie che cercano di tagliare la strada per l'emancipazione e la libertà per le classi lavoratrici e i giovani. Questa crisi rivoluzionaria accelera la trasformazione della crisi sociale in crisi economica, finanziaria, politica ed ambientale. Seguendo il percorso di Ben Ali, accelerando la liberalizzazione capitalista neoliberista dell'economia e il rafforzamento delle misure di austerità sociale, Ennahdha semplicemente sta facendo cadere la maschera religiosa che le dava accesso al potere. Smascherando di fatto la natura borghese, corrotta e reazionaria mostrata in piena luce.
Per intensificare il processo rivoluzionario, è necessario mantenere la pressione delle continue mobilitazioni popolari contro Ennahdha, al fine di isolarli, per ridurre il loro danno ideologico, per limitare la pericolosità politica e sociale ed espellerli dal potere. Tuttavia, la direzione della FP, che è riuscita a stare alla testa del movimento rivoluzionario, è stata travolta nella direzione sbagliata dai partiti borghesi che l’hanno fatta aderire al Fronte di Salvezza Nazionale (FSN) che preparava il "dialogo nazionale". Una vera e propria ancora di salvezza per Ennahdha, che cade così in basso che a malapena riesce a mantenere la testa fuori dall'acqua.
Ora, salvare il partito islamico è l'ultima preoccupazione del regime economico dominante. Lo scopo della controrivoluzione è di far deragliare la rivoluzione! Tutti i bellissimi discorsi sul "migliore interesse della Tunisia", la "transizione democratica", " la salvezza nazionale", il "consenso nazionale", ecc. sono retorica meschina che cerca di nascondere alle masse questo obiettivo. Nel 1987, Ben Ali, i suoi partner e dei suoi accoliti, nascosero al popolo tunisino i dettagli del colpo di stato sotto un sacco di discorsi e slogan destinati a calmare i tunisini.
Il compito controrivoluzionario del partito islamico non è finito, le classi dominanti ne hanno ancora bisogno per reprimere il movimento rivoluzionario. Ennahdha però sta perdendo credibilità. Non ha dato nessuna risposta ai drammi sociali; Ennahdha ha perso gran parte della fiducia di cui godeva tra le classi lavoratrici prima di arrivare al potere, tradendo le speranze che alcuni hanno avuto in essa. La legittimità che ottenne alle elezioni è svanita. La controrivoluzione ha bisogno di una nuova situazione per porre fine alla resistenza sociale. Gli islamisti sono consapevoli di questo, ma sono paralizzati dal drammatico cambiamento della situazione in Egitto.
L'omicidio di Belaïd a febbraio, Brahmi dopo, a luglio, ha causato un vero elettroshock. Ennahdha, in assenza di una corretta reazione del FP, è riuscita ad assorbire l'impatto del primo omicidio. Ma, al momento, sta soffrendo gli effetti del secondo. La crisi politica, che è la più evidente, continua nonostante il "dialogo nazionale". La situazione economica e sociale piuttosto catastrofica, il degrado della sicurezza soprattutto considerando la proliferazione di gruppi jihadisti, così come gli errori e strafalcioni degli islamisti al potere, sono stati più che evidenti per una significativa parte della popolazione. In più la forte e adeguata reazione della direzione del FP, in risposta all’ultimo omicidio, chiamando il popolo tunisino alla mobilitazione per cacciare gli islamisti dal potere, ha contribuito a indebolire e isolare Ennahdha.
La chiamata del FP è stata ampiamente supportata. Il movimento è cresciuto ed è arrivato fino a Tunisi da tutto il Paese, concludendosi con le massicce mobilitazioni del 6 e 13 agosto nella Capitale. Parallelamente all’estensione e alla radicalizzazione del movimento rivoluzionario però le pressioni dei partiti borghesi, dei ministeri degli esteri dei paesi imperialisti, della direzione della confindustria tunisina spingevano il FP verso la via del "dialogo nazionale" .
Fin dall'inizio, Nida Tounes, il principale partito borghese, ha voluto portare il FP nel Fronte di salvezza Nazionale, nato poche ore dopo vaer lanciato il famoso "appello al popolo" del FP. L'obiettivo di Nida Tunes, versione modernista di Ennahdha, è chiara: da un lato fermare il FP, deviare la sua linea rivoluzionaria, e dall'altro, lavorare ai bordi di Ennahdha per costringerlo a normalizzare le relazioni con esso e creare intorno a loro una vasta coalizione politica la cui funzione principale sarà il supporto politico per il nuovo governo e con la missione di attuare l'accordo con il FMI istituito il 7 giugno. Per quanto riguarda le elezioni dipendono dalla capacità del governo e della coalizione politica che lo sostiene di realizzare la politica di austerità e di preparare il terreno per le elezioni che avranno lo scopo di consolidare la vittoria della controrivoluzione. Ma ancora manca molto perché tutto ciò si realizzi.
Possiamo dire che il FP ha sbagliato ad accettare il dialogo con questi banditi quando sono ormai tre anni che le masse hanno un'attitudine anti-imperialista e anti-capitalista piuttosto evidente? Non importano le ragioni di questo spostamento a destra, le conseguenze saranno disastrose per il processo rivoluzionario a meno che non viene corretta la direzione velocemente, mentre c'è ancora tempo per farlo. Il FP ha un bel da fare! C'è un processo rivoluzionario che dovrebbe portare a buon fine. Inoltre, è necessario correggere l'orientamento senza indugio riprendere la battaglia contro la politica di austerità e la liberalizzazione capitalista dettata dagli accordi con l'Unione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale. La mobilitazione deve continuare a spazzare via istituzioni e poteri emersi dalle elezioni del 23 ottobre e combattere in difesa delle libertà fondamentali.
Per migliorare le possibilità di successo in questi compiti, il FP deve continuare la sua costruzione, che ha abbandonato negli ultimi mesi a favore delle esigenze del FSN.
Traduzione di Dario Di Nepi