Pubblichiamo due note, la prima di Piero Maestri e la seconda di Ilya Budraitskis a proposito del vertice della Nato e del contro-vertice contro la guerra, tenutisi a Varsavia. Il vertice del 8-9 luglio scorsi non è stato molto più che il consueto spot propagandistico e spettacolare con il quale i paesi dell'alleanza atlantica vorrebbero mostrare al mondo la loro forza e il loro impegno comune per la “sicurezza e la pace”. La realtà, oltre ai soliti conflitti interni alla Nato, è quella di un vertice senza particolari risultati né decisioni “storiche”. E che va visto in parallelo alle scelte diplomatiche e militari di questi giorni. L'articolo di Ilya Budraitskis esamina il vertice della Nato con gli occhi di un attivista no-war e oppositore alla politica di Putin. La nota che lo precede è un commento e un punto di vista da questa parte della “linea di contenimento”, concorde con il rifiuto della falsa alternativa “con la Nato o con Mosca”.
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La lettura del comunicato finale del vertice della Nato di Varsavia, oltre ad essere un esercizio noioso e un po' masochista, rende l'idea di quali siano le misure effettivamente decise, ma soprattutto di quale sia la retorica della narrazione che sostiene queste misure e l'immagine che l'alleanza atlantica vuole dare di sé.
Come scrive Ilya, sul piano direttamente militare le numerose righe dedicate alla Russia – e alla “minaccia” che rappresenterebbe nell'est Europa e in Medio Oriente – si risolvono nella previsione di una presenza rafforzata di militari Nato in Lituania, Estonia, Lettonia e Polonia, che ammonterebbe a tremila ulteriori soldati.
Allo stesso tempo viene sottolineata la necessità di rafforzare le capacità “ibride” (vedi articolo di Ilya).
Da notare, di sfuggita, che la Nato decide di rinnovare l'intervento militare in Afghanistan, malgrado diversi paesi dell'alleanza ne siano già usciti e in mancanza di una strategia di uscita da un pantano senza soluzione.
Ma questa retorica sulla minaccia russa si accompagna alla decisione del rafforzamento della collaborazione con Mosca in Siria e in prospettiva in Medio Oriente. Una scelta che prende atto dei risultati dell'intervento militare russo a fianco di Assad e del fallimento della strategia dei paesi che hanno sostenuto per i loro interessi questo o quel gruppo dell'opposizione ad Assad.
Qualche giorno dopo il segretario di stato statunitense Kerry è volato a Mosca per discutere una proposta di collaborazione diretta sul campo siriano.
L'obiettivo statunitense di stabilizzazione del Medio Oriente e della regione araba dopo le rivolte arabe e la guerra siriana è sempre stato chiaro a chi non legge la realtà con gli occhiali oscurati dall'ideologia, e oggi questa stabilizzazione ha bisogno di Mosca e della collaborazione dello stesso Assad.
Va sottolineato che il governo italiano rivendica da tempo la sua posizione di riapertura dei canali di collaborazione con Mosca e che la ministra della difesa Pinotti considera come una vittoria italiana aver convinto gli alleati a prendere questa strada.
In generale a Varsavia la Nato ha mostrato ancora una volta tutta la sua debolezza strutturale: se da una parte rappresenta l'alleanza militare più estesa a livello mondiale e quella con maggiori capacità offensive e tecnologiche, dall'altra parte continua ad essere attraversata da tensioni tra i diversi paesi membri, così da renderla più un consesso di mediazione politica tra i membri stessi che una reale struttura di intervento militare. Così, mentre si ribadiscono valutazioni politico-militari “sacrosante” (dal loro punto di vista), come rispetto alla presenza in Afghanistan o riguardo al confronto con la Russia, le posizioni dei diversi paesi sono spesso molto distanti, così come il comportamento conseguente. E le difficoltà interne all'Unione Europea, in particolare in vista dell'uscita della Gran Bretagna, accrescono la debolezza dell'alleanza atlantica.
Che non per questo rinuncia ad allargare le sue capacità potenziali, sia sul piano della spesa militare (nel comunicato si saluta il fatto che "Dal punto di vista collettivo, le spese per la difesa degli alleati nel 2016 sono cresciute per la prima volta dal 2009. In soli due anni la maggioranza degli alleati ha fermato o ribaltato il declino delle spese per la difesa in termini reali. Oggi cinque membri seguono le linee guida della Nato spendendo per la difesa almeno il 2% del Pil; dieci paesi membri utilizzano almeno il 20% delle proprie spese per la difesa in nuovi armamenti, ricerca e sviluppo"[1]) sia della preparazione di forze di rapido intervento e presenza verso est.
In sostanza da una parte la Nato continua la sua proiezione verso est, politica che ha fornito alla Russia l'alibi (fondato su fatti e non solo percezioni) necessario a riprendere le sue politiche di riarmo e una postura aggressiva motivandola come politica difensiva; dall'altro lato l'attivazione dell'alleanza continua ad essere resa difficile dai diversi interessi in gioco per i vari membri negli stesso scenari (gioco e scontro che a volte viene risolto da interventi esterni voluti solo da alcuni membri e da altri “subiti” diventandone allo stesso tempo complici – come fu in Libia nel 2011).
Visto da questa parte della linea di contenimento il vertice di Varsavia lascia intatta la convinzione della necessità di un superamento della Nato, del suo scioglimento e della necessità di una ripresa dell'iniziativa contro le politiche di guerra e quelle che rendono possibile le guerre in diverse parti del mondo. Sapendo che questa lotta deve avere al centro alcuni passaggi tra loro indivisibili:
- una battaglia contro le spese militari, che sono in sé negative (perché indirizzate all'acquisizione di strumenti di morte) e sono uno scandalo ulteriore mentre vengono tagliate le spese sociali, previdenziali, educative e così via;
- l'opposizione al commercio di armi, lavorando per una progressiva riconversione delle fabbriche belliche;
- l'opposizione a interventi militari “fuori area” del nostro paese e la complicità dello stesso in interventi di altri paesi attraverso l'uso del proprio territorio;
- l'opposizione alle dittature anche formalmente “nemiche” del nostro paese e/o alleanza e il rifiuto della collaborazione con esse, impedendo che vengano sostenute militarmente, con strumenti di intelligence, politicamente e diplomaticamente;
- la costruzione di una relazione diretta e solidale con tutti quei gruppi, organizzazioni, movimenti che si battono nei propri paesi contro la militarizzazione, per la libertà, la giustizia e la dignità. In particolare per quanto ci riguarda abbiamo il dovere di costruire un ponte con i pacifisti e gli oppositori al regime di Putin e con le forze rivoluzionarie arabe che lavorano per la partecipazione popolare e la libertà dagli autocrati ben integrati nelle dinamiche geopolitiche.
L'indivisibilità di questi contenuti non è voluta per escludere, quanto perché è l'unica possibilità di essere credibili agli occhi dell'opinione pubblica del nostro paese e di quelli con cui vogliamo lavorare. Non possiamo essere neutrali: stiamo con chi si è rivoltato all'ingiustizia nella regione araba, stiamo con chi si batte contro l'autoritarismo in ogni paese, al di là della sua collocazione geopolitica, sia la Russia, come la Turchia, l'Egitto come l'Arabia saudita.
Insieme ai pacifisti e agli attivisti sociali dall'altra parte della linea di contenimento abbiamo la necessità di contrastare da entrambe le parti la narrazione dello scontro e della preparazione allo stesso, contrastando sciovinismo e militarismo, costruendo relazioni solidali e sostegno reciproco.
[1] http://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_133169.htm
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Il principale risultato del vertice della Nato tenutosi a Varsavia gli scorsi 8 e 9 luglio è stata la proclamazione di una strategia di “contenimento” verso la Russia. Finora le conseguenze pratiche di questa dichiarazione sono modeste, in termini militari: un totale di tremila soldati stranieri verranno dispiegati in Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia. Molto più importanti sono gli aspetti politici legati alla decisione: la “minaccia russa” è definita prima di tutto come “ibrida”, cioè sotto copertura, esistente sul confine tra guerra e pace, politica statale e dinamiche sociali.
Il concetto di “ibrido” è centrale nell'attuale confronto tra Russia e Nato. Nel gennaio 2013 il generale Valery Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze armate della Russia, nella sua famosa dottrina preannunciava l'inizio di una “rivoluzione negli affari militari”. Incoraggiando il Cremlino ad imparare dalla “primavera araba”, Gerasimov sosteneva che al giorno d'oggi “l’attenzione ai metodi di conflitto applicati si è spostata verso l'uso a tutto campo di misure politiche, economiche, informative, umanitarie e verso altre iniziative non-militari, applicate in una forma coordinata con il potenziale di protesta della popolazione”.
In un'epoca in cui la guerra aperta tra stati sovrani sembra impossibile, la guerra nascosta permea la società. Ogni conflitto interno si trasforma in un campo di battaglia principale, nel quale la sola opzione è l'intervento militare. La militarizzazione ibrida cattura la sfera pubblica così che ogni azione interna possa diventare un'arma nelle mani del nemico.
Adottata dai governi come una fotografia esplicativa del mondo, l'idea della guerra ibrida diventa reale e acquisisce i tratti della politica di stato. Conseguentemente le classiche leggi di guerra non sono più valide e lo scontro apre ad una serie di taciti, tanto che anche i segni della dissolvenza incrociata (morhping) devono essere decifrati non tanto dai politici quanto dai militari. Ogni mossa ottiene una contro-mossa opposta, che a sua volta riceverà una risposta. Dall'espansione della Nato verso l'Europa dell'est e la guerra tra Russia e Georgia a metà degli anni 2000, il conflitto ha girato intorno una serie di reciproci segnali fantasmatici che gradualmente sussumono tutte le varietà di manifestazione sociale, dalla battaglia riguardo la chiusura pubblica dell'informazione (le attività di Snowden e Assange) ai movimenti sociali di massa (la rivoluzione siriana, le proteste a Mosca o il Maidan a Kiev).
Ogni movimento politico indipendente e ogni desiderio individuale di cambiare il proprio paese o il mondo intero, nel migliore dei casi, sono stati guidati verso la logica enfatica dell'ibridità.
Anche la risposta dello stato ad una minaccia ibrida non ha confini chiari: non è solamente una partita giocata con le armi ma anche un rafforzamento totale del controllo sociale. Il contrasto ad una guerra ibrida è stata la migliore giustificazione delle classi dirigenti a tutte le azioni dalla fine della guerra fredda.
La resistenza a questa logica devastante e paralizzante nei confronti della società dovrebbe essere il compito principale della sinistra attuale da entrambe le parti della nuova linea di “contenimento”. Ciò nonostante vediamo che una grande parte della sinistra, spesso malgrado le loro migliori intenzioni, è realmente inclusa nel gioco ibrido come parte del tentativo di “comprendere” o giustificare la crescente militarizzazione di una delle due parti. Per esempio in vista del vertice di Varsavia la rivista principale della sinistra polacca “Critica politica” si appellava al rafforzamento del sostegno alle truppe Nato come soluzione “realistica” all'aggressione russa in Ucraina. Il più grande partito della sinistra polacca, Razon (Insieme), ha preso una posizione simile, per quanto l’abbia sostenuta più cautamente.
Non è un segreto che, dall'altra parte, molti importanti membri della Linke tedesca limitino la loro posizione antimilitarista alla ripetizione sostanziale della propaganda del Cremlino, negando la presenza militare russa nell'est dell'Ucraina e giustificando l'annessione della Crimea come una legittima risposta all'espansione della Nato.
Questa frammentazione della sinistra lungo le due parti dello scontro geopolitico è costantemente provocato dalla mutua accusa di “ibridità”, come “utili idioti” o come agenti prezzolati al servizio del Cremlino o dell'Occidente. L'unico modo di contrastare questa tendenza (e per rilevare il grado di “sincerità” nella loro “comprensione” per Putin o la Nato) è la critica feroce dell'imperialismo e del militarismo come fenomeno globale e come parte della logica del capitalismo realmente esistente (questa è la principale tesi del classico lavoro di Lenin).
Queste difficoltà e, probabilmente, le questioni centrali per la sinistra europea sono state discusse al contro-vertice contro la guerra che si è svolto a Varsavia lo scorso 8 luglio. I partecipanti – attivisti antimilitaristi da Germania, Polonia, Finlandia, Stati uniti, Francia, Repubblica Ceca e Austria – hanno presentato differenti posizioni all'interno della sinistra europea che talvolta è andata molto vicino all'usuale “comprensione” verso Putin. Ma invece di lanciare le accuse di “utili idioti” vale la pena considerare perché, per esempio, la sinistra americana consideri il proprio governo responsabile di quasi tutti i conflitti militari e, in relazione a questo, perché la storica preoccupazione della sinistra tedesca riguardi la costante espansione della presenza di militari tedeschi fuori dai confini.
Nel mio breve intervento ho cercato di spiegare che si possa essere un vero socialista e anti-militarista in Russia opponendosi esplicitamente all'aggressione nei confronti dell'Ucraina, schierandosi contro il sostegno militare ad Assad e andando contro la pressione nei confronti dei paesi post-sovietici. E devo dire che la maggior parte dei partecipanti ha accolto questa posizione positivamente.
Il giorno successivo, il 9 luglio, solo poche centinaia di persone hanno partecipato ad una manifestazione contro la guerra nel centro di Varsavia. Questo scarso risultato è stato anche dovuto all'aggressiva campagna mediatica della stampa e della politica mainstream polacche, che quasi direttamente hanno tacciato chiunque si opponesse all'aumento delle spese militari polacche come agente del Cremlino (il budget militare polacco è aumentato del 20% solamente nell'ultimo anno). Anche la piccola manifestazione di Varsavia, naturalmente, è entrata a far parte dell'informazione di guerra. I media polacchi l'hanno quasi completamente ignorata (eccetto forse solo la Gazeta Wyborcza), ma Rt, Ntv e Life News ci si sono gettate come api sul miele.
Questa non è la prima volta né sarà l'ultima che il movimento antimilitarista rischia la manipolazione da parte dell'élite e da parte degli stati in una processione dagli infiniti segni mutevoli (vedi morphing, prima citato). L'unico modo per evitarlo è quello di negare in maniera forte e permanente la logica dello scontro nella quale le persone comuni di ognuna delle due parti diventeranno sempre vittime. E il principale slogan degli organizzatori della manifestazione polacca – “Né Mosca né Washington” – si sposa precisamente con questo compito.