Madrid: un bilancio dopo due anni di “municipalismo”

Mon, 19/06/2017 - 11:42
di
Emmanuel Rodríguez*

Pubblichiamo di seguito un'interessante analisi di bilancio della Giunta Carmena a Madrid in cui l’autore, membro dell’Istituto per la Democrazia ed il Municipalismo, analizza i principali punti della politica di Ahora Madrid e le sfide per il movimento municipalista nella capitale spagnola.

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A metà mandato la macchina elettorale si è riattivata con la promessa (o il ricatto) di (dover) vincere nuovamente nel 2019. Abbiamo assistito a giochi di posizione, scambi di favori, perfino a qualche iniziativa velatamente celebrativa. In tale contesto preferiamo però valutare che cosa si è ottenuto, non secondo lo stereotipo del rapporto tra nuova politica e cittadinanza (che è sempre un nesso più immaginario che reale), ma dal punto di vista di quella che potrebbe essere un’agenda di movimento, di trasformazione della città. La questione non è quindi assumere il punto di vista dell’“opzione minima” (cioè che il Partito Popolare non vinca nel 2019), ma porsi nella concreta prospettiva di aprire spazi per conquiste sociali e per una costruzione politica.

In questo compito è necessario pensare anche ai limiti di ciò che viene chiamato municipalismo. In senso stretto il municipalismo, di matrice radicalmente federale e democratica, prende piede dal presupposto che i municipi possano essere l’unità politica elementare di una dimensione costruita dal basso verso l’alto. Il municipalismo individua la democrazia municipale, quale istanza fondamentale di un modello di democrazia che (tendenzialmente) si definisce emancipatrice rispetto al monopolio della politica da parte dello Stato e della rappresentanza come forma classica della democrazia liberale. È opportuno ricordare che questo principio, all’interno dell’ordinamento istituzionale spagnolo e a maggior ragione nell’unità amministrativa di Madrid, che comprende 3,2 milioni di abitanti, non è nulla di più di un’aspirazione, certamente non un obiettivo prossimo. Per la sua dimenzione e la sua posizione, Madrid è identificata direttamente con lo Stato. Il suo pesante bilancio, da 5 miliardi di euro, simile a quello di una Regione di media grandezza, lo rende un ambìto obiettivo per trame tra finanzia, imprenditoria e classe politica. Perciò, in questa città, la possibilità di far esistere il municipalismo si misura non solo nella proposta di radicale decentralizzazione istituzionale, tramite la costituzione di venti municipi e la contemporanea predisposizione di una serie di meccanismi di democrazia semi-diretta (da non confondere con il metodo partecipativo), ma soprattutto nell’assunzione di un certo livello di duro conflitto capace di modificare tali strutture istituzionali. La scommessa municipalista coincide, in definitiva, con un orizzonte politico costituente: un principio di mobilitazione prima ancora che un programma definito.
A contraddire l’ambizione di tale sfida, ci sarebbe da aggiungere che a Madrid la candidatura è stata assegnata ad una figura - quella di Manuela Carmena - che difficilmente poteva rappresentare o comprendere le aperture politiche prodotte dal 15M. Nella sua aspirazione a dover vincere per forza, Podemos di fatto ha imposto, con questa candidatura, un forte ridimensionamento delle aspettative, riducendo l’immaginario diffuso ad un semplice cambio di sindaco, anche se ovviamente in chiave di sicuro più progressista rispetto al PP. Per i settori militanti che avevano scritto il programma, la disillusione è giunta rapidamente. La sindaca ha infatti assunto il programma come un “mero suggerimento” e al contempo ha concentrato, nel giro di poco tempo, il governo della città attorno alla sua persona e a quella del suo delfino, Luis Cueto.
Ad eccezione di ciò che riguarda il bilancio e la politica espansiva che persegue e al di là delle forme e dello stile molto peculiari della sindaca, la continuità di fondo con ciò che potremmo definire “politica di Stato in chiave capitolina” è stata pressoché totale: promozione della città-impresa (turismo ed eventi come Bollywood), intangibilità dei vecchi poteri corporativi ben radicati nel bilancio pubblico (rinuncia alle grandi rimunicipalizzazioni, lentezza nel processo di audit sul debito, etc), rilancio immobiliare (con progetti ereditati dalla precedente amministrazione) e un discorso asettico sull'amministrazione e la responsabilità istituzionale rispetto a qualsiasi “tentazione avventurista”.

Dinnanzi a questi elementi, vi è ancora margine per una strategia municipalista a Madrid o dobbiamo, senza troppe esitazioni, prendere atto del ritorno alla normalità istituzionale con l'unico vantaggio di una “sinistra rinnovata” che può tornare a vincere le elezioni?
È opportuno riconoscere che la mancanza di strategia politica è stata la caratteristica predominante di quasi tutti i settori dell'amministrazione municipale. Di fronte all'acquisita centralità di Carmena, la maggior parte dei consiglieri ha imparato rapidamente che la virtù principale di ogni politico è la sua propria sopravvivenza e che evitare qualsiasi scontro con la sindaca, sebbene possa avvenire per difendere quanto pattuito e promesso nel programma elettorale, è la priorità assoluta. Va da sé che i nuovi eletti abbiamo assunto esattamente il contrario di quanto ci si sarebbe dovuto aspettare da una matrice “di sinistra” e “movimentista”, ovvero l’idea che governare è un servizio svolto nei confronti dell’intera Cittadinanza (in generale e con la maiuscola). Un’idea che fa morir dal ridere imprenditori e politici di professione ogni volta che si riuniscono a cena nei ristoranti della capitale, ma che serve ai nuovi politici per giustificare la loro impotenza. O in altri termini, la loro totale mancanza di vincolo con un progetto di trasformazione, vale a dire con l’afflato municipalista che fece nascere la candidatura di Ahora Madrid.
Ma dietro il concetto di Cittadinanza non vi è alcuna definizione sociologica o economica e tanto meno un quadro delle tendenza e controtendenze con le quali dovrebbe fare i conti un qualsiasi progetto di città. Ciò che si intravede piuttosto è l’idea secondo cui è meglio non andare a toccare troppo la linea politica della sindaca, perché tanto la gente di base è conservatrice e moderata e poche volte capisce le “sperimentazioni”. Si può così intendere come l’unico termine della “nuova politica” che i consiglieri comunali sono riusciti a tradurre, la partecipazione, abbia avuto risultati così poco soddisfacenti. I processi partecipativi (soprattutto di carattere consultivo) sono stati infatti caratterizzati da numeri modesti e conseguenze mediocri in termini di democratizzazione (o di tendenza alla democratizzazione) delle istituzioni locali.

È dunque possibile un strategia municipalista? E in che cosa dovrebbe consistere, nelle condizioni date? Cercare di fornire una chiave di lettura che aiuti a rispondere a queste domande, forse può mettere in evidenza alcuni degli elementi che definiscono in negativo le politiche municipali. Tali elementi si possono riscontrare nella posizione dell’amministrazione comunale sul tema della casa: costantemente dalla parte dei proprietari, con un particolare trattamento di favore verso gli agenti finanziari e immobiliari (valga come esempio la singolare negoziazione con Bankia su una parte delle case sfitte ma già occupate, a favore di persone in emergenza abitativa), o la marginalizzazione della PAH (Plataforma de Afectados por la Hipoteca – il movimento che ha riunito le vittime della “politica” dei mutui sulla casa, esplosa con lo scoppio della bolla immobiliaria NdT) nelle negoziazioni bilaterali tra il comune e le banche. Tutto questo in una città nella quale gli sfratti continuano al ritmo di 50-150 alla settimana.
Altre evidenze negative risiedono nel trattamento riservato ai centri sociali, un comportamento che in troppe occasioni è stato tra lo squallido (ad esempio l’imposizione di licenze, come nel caso del centro sociale La Enredadera) e lo stupido, come nel recente caso de La Ingobernable. L’edificio di proprietà del comune è stato occupato dal Patio Maravillas dopo alcuni tentativi andati male di occupazione di edifici privati, ma anche dopo aver comprovato l’incapacità dell’amministrazione - all’interno della quale siedono sei componenti con un’inequivocabile passato nel movimento okupas - di trovare una sistemazione per questo collettivo (che peraltro ha avuto un ruolo centrale nel determinare la candidatura di Ahora Madrid).
Tale vicenda non è certo marginale, tanto meno per la destra cittadina. La situazione de La Ingobernable sarà oggetto del prossimo consiglio comunale. La mozione unitaria di PP, PSOE e Ciudadanos a favore dello sgombero è però contestabile con argomentazioni che nemmeno il consiglio comunale conosceva: la precedente cessione dell’edificio alla Fondazione Ambasz, dovuta all’amicizia della famiglia Aznar con l’architetto. Comunque è possibile che la sindaca, sostenuta ancora adesso dall’intero schieramento di coloro che appoggiano l’occupazione, possa alla fine lavarsene le mani disinteressandosi del ricorso amministrativo presentato dalla Fondazione, alla quale ha chiesto un mese di tempo per riformulare il progetto che aveva portato alla cessione dell’immobile. Un mese nel quale, nel frattempo, potrebbe esserci lo sgombero.
Considerato quanto sopra, è opportuno riconoscere che l’agenda sociale della città non solo non è certamente determinata dall’attuale “amministrazione del cambio”, ma che la stessa amministrazione è in balia di una forte inerzia conservatrice. Si può dunque concludere che l’unico municipalismo possibile (d’altronde è così sempre) può realizzarsi solo grazie ad un programma definito dal conflitto sociale e dai movimenti.

L’apparente ritirata delle istanze di movimento di fronte alle istituzioni, non deve comunque nascondere il fatto che la situazione di oggi è completamente differente rispetto a quella del 2014. L’esperienza amministrativa ha contribuito ad evidenziare fin da subito i limiti stessi della politica istituzionale e ha contemporaneamente favorito la possibilità di individuare rapidamente le crepe in un’amministrazione che per quanto non sia “amica”, è attraversata da due elementi di rottura che in qualche modo inficiano il suo carattere meramente istituzionale. Il primo è che la sua legittimazione dipende dal movimento 15M e dall’onda di cambiamento che ha determinato la candidatura di Ahora Madrid. Il secondo è la sua divisione in due gruppi consiliari (quello di Izquierda Unida e quello di matrice più municipalista, entrambi riuniti in Ganemos) che possono fungere da opposizione interna e nei momenti chiave arrivare a minacciare la rottura se le circostanze lo richiedono.
Quanto tratteggiato finora rappresenta, in forma elementare, sia la fisionomia dei poteri reali che agiscono sull’amministrazione di Madrid, che quella dei contropoteri effettivi e possibili. Il municipalismo madrilegno si trova oggi nelle condizioni di poter facilmente agire forme di conflitto, di sfruttare le contraddizioni interne al governo cittadino ed ottenere risultati concreti in materia di ri-municipalizzazioni (la CGT ha appena iniziato una campagna che va in questa direzione), di centri sociali e di servizi pubblici. La questione di fondo dei prossimi due anni, ben al di là dei preparativi per le amministrative 2019, è come organizzare in modo efficace il conflitto sociale, in modo da ottenere risultati concreti. A Madrid il municipalismo si presenta come articolazione di contropoteri cittadini, in un contesto caratterizzato da incessanti contraddizioni e dalla crisi sociale della città.

Come una sorta di breve nota strategica e come avvertimento rispetto a qualsiasi pretesa di camminare sulla strada della normalizzazione istituzionale, vale la pena evidenziare tre linee fondamentali che a Madrid possono essere determinanti per ogni progetto politico del futuro.
1) Il persistere della crisi iniziata nel 2008. A prescindere dalla ripresa economica, gli elementi di fondo sono molto simili a quelli degli anni centrali della crisi: assenza di qualsivoglia modello produttivo alternativo, che possa sostituire la speculazione finanziaria e immobiliare in Spagna (e specialmente a Madrid); assottigliamento della classe media con scivolamento verso il basso di ampli settori di società; progressivo aggravarsi della precarietà lavorativa e costante diminuzione del “lavoro formale”; contrazione nel lungo periodo della spesa sociale, intesa come meccanismo di redistribuzione, peraltro a volte solamente con valore palliativo. Come si può vedere, stiamo parlando di qualcosa di ben diverso rispetto alla “Cittadinanza” normata e pacifica immaginata dall’amministrazione.
2) Le contraddizioni della ripresa del ciclo economico, che sul piano territoriale implicano un rilancio anche nel campo immobiliare. Il problema è insito non solo nella fragilità della ripresa, ma anche nella debolezza della crescita basata sul mattone (appartamenti ad uso turistico, aumento del valore degli immobili e dei prezzi nelle zone più centrali). Ciò implica che gli effetti positivi della ripresa siano decisamente minori rispetto agli effetti negativi che essa produce: aumento degli affitti, nuovi sfratti e maggiore dipendenza dalla rendita immobiliare. In queste contraddizioni si aprono spazi interessanti di conflitto che vanno da un possibile nuovo impulso per la PAH alla proposta di costituire un nuovo sindacato degli inquilini.
3) La concentrazione di diversi problemi in quelle che possiamo definire le “zone oscure” della nuova politica, che a Madrid corrispondono ai quartieri popolari o più precisamente alle periferie, vecchie e nuove, poco o per nulla coinvolte (per non dire escluse) nella cosiddetta “politica del cambiamento”. In questi anni di crisi, il depauperamento di questi settori sociali è stato in qualche modo arginato dalle reti familiari, dal diffondersi dell'economia informale, del lavoro nero, etc. Ma è possibile che queste forme di supporto abbiano una limitata efficacia a medio termine. È dagli anni '70 che Madrid non viene attraversata da movimenti sociali e politici delle periferie e finora non ha conosciuto la complessità politica e sociale delle banlieues francesci o dei pockets multietnici di Londra o delle città del nord britannico industrializzato e decadente. Non c'è ragione per la quale questa calma apparente continui inalterata nei prossimi anni.

A partire da questi elementi si può definire la politica municipale per i prossimi anni. Una politica nella quale, ovviamente, la narrazione del “nuovo” (la cittadinanza, la partecipazione, il “governare asocoltando”, le “istituzioni della gente”) deve lasciare il passo a dinamiche di conflitto più efficaci e a risultati più evidenti.

*Fonte articolo: https://saltamos.net/dos-anos-municipalismo-madrileno/
Traduzione di Marco Pettenella