Le espressioni dell'estrema destra emergente in America Latina

Wed, 26/09/2018 - 12:26
di
Meritxell Freixas*

In Cile, Brasile, Costa Rica, Colombia o Messico, approfittando dei nuovi scenari sociali e politici della regione, gli ultraconservatori, spinti dalla destra, stanno acquisendo forza.

“Qui la sinistra indottrina e lucra sulla memoria dei cileni torturati”. Questo è il messaggio che il gruppo di estrema destra cileno Movimiento Social Patriota (MSP) ha lasciato a Villa Grimaldi, uno dei centri di detenzione e tortura della dittatura di Pinochet, qualche settimana fa in piena preparazione delle commemorazioni per i 45 anni dal colpo di Stato.

Il suo portavoce, Pedro Kunstmann, ha assicurato che non si è trattato di un attacco né tantomeno di un atto negazionista: “Volevamo sottolineare che è tempo di voltare pagina, ci sono cose più importanti a cui prestare attenzione”.

Il movimento nato un anno e mezzo fa e ispirato alle esperienze europee di Casa Pound e Hogar Social, propugna un’ideologia “nazionalista” basata – come riportato sulla loro pagina web – “sulla protezione delle risorse naturali, sulla famiglia, l’identità, la biologia e la storia nazionale”. I suoi membri si considerano “né di destra né di sinistra”, ma ciononostante le loro posizioni sono profondamente xenofobe, razziste, misogene e omofobe. Sono favorevoli alla pena di morte e propagandano il rifiuto dell’“ideologia del gender” e dell’aborto.

Lo scorso 25 luglio, durante un’oceanica manifestazione a Santiago, in favore dell’aborto legale, libero e gratuito, l’MSP ha srotolato uno striscione che recitava “Sterilizzazione gratuita per le femminucce”, versando in strada sangue e viscere di animale. La mobilitazione si è poi conclusa con tre donne pugnalate, ma il gruppo di ultradestra ha negato qualsiasi responsabilità.

Qualche settimana prima avevano invece appeso un cartello con la frase “Daniela Vega è un uomo. La verità prima della pace”. In riferimento all’attrice transessuale che ha interpretato Marina nel film “Una donna fantastica”, vincitrice dell’Oscar 2018 come miglior film straniero.

“Non sono movimenti nuovi, di adesso, ma formano parte di quella deriva fascistoide, presente nel mondo ed in America Latina dagli inizi del XX secolo”, spiega a Publico il sociologo dell’Università del Cile, Miguel Urrutia, secondo il quale, ora, tali movimenti trovano crepe attraverso le quali manifestarsi “perché la destra tradizionale ha bisogno di soldati per la lotta politica conflittuale e violenta e così riattiva come se fossero “brace sociale” questi gruppi che stanno allerta e pronti”. La loro vocazione è “contenere i fenomeni di cambiamento sociale nella regione” conclude Urrutia.

L’MSP è diventato il volto più visibile del neoultraconservatorismo cileno ma non è l’unico attore importante. Poco più di un anno fa, con l’arrivo in Cile del cosiddetto “Bus della libertà” che tramite l’associazione “Hazte Oir” (Fatti sentire NdT) ha diffuso messaggi transfobici in varie città della Spagna e dell’America Latina, è diventato famoso il nome di Marcela Aranda. Eletta a portavoce del Bus, è stata consulente legislativa in diverse commissioni parlamentari nelle quali fa attività di lobby su temi come l’aborto, la differenza sessuale ed i diritti umani.

Sia l’MSP che Marcela Aranda hanno rapporti con l’ex candidato presidenziale della destra radicale José Antonio Kast e con il suo movimento Acción Republicana che ha ottenuto un 8% nelle ultime elezioni. Più a destra del presidente Sebastián Piñera, per il quale ha dato indicazione di voto al ballottaggio, Kast è la personificazione del neopinochetismo tanto da aver twittato: “L’11 settembre del 1973 il Cile scelse la libertà ed il paese che abbiamo ora lo dobbiamo agli uomini e alle donne che si sollevarono per impedire la rivoluzione marxista sul nostro suolo”. Il suo discorso di odio, protetto dal diritto alla libertà di espressione è fortemente sostenuto dai settori militari e da gran parte degli evangelici che stanno acquisendo sempre più importanza nella politica cilena.

Il ruolo degli evangelici

L’ingerenza degli evangelici nella politica cilena è recente, mentre in altri paesi della regione come il Brasile – dove vive una delle maggiori comunità evangeliche al mondo – questo fenomeno è presente da circa 20 anni. Nel parlamento brasiliano esiste il cosiddetto “gruppo evangelico” formato da 87 deputati e tre senatori; ma rappresentanti evangelici sono presenti anche tra i politici a livello locale, ne fa parte ad esempio l’alcalde di Rio de Janeiro Marcelo Crivella.

Uno dei pastori evangelici più influenti del paese e leader di una rete di più di 50 chiese, si chiama Salis Malafaia ed ha già provveduto ad impostare l’orientamento elettorale dei suoi fedeli per la prossima campagna elettorale. Attraverso i social, dove vanta oltre un milione e mezzo di follower, ha messo in guardia dai candidati di sinistra che appoggiano quell’“immondizia morale” rappresentata dai matrimoni omosessuali e dall’aborto; ha anche annunciato il suo appoggio al candidato dell’estrema destra Jair Bolsonaro, affermando: “in Brasile abbiamo bisogno di un macho come lui, che con la sua vita integra, guidi il paese e affronti il sistema corrotto”.

Il settore evangelico guarda con molto favore al discorso autoritario e religioso di Bolsonaro, leader del Partito Social Liberale (PSL), ex capitano dell’esercito e nostalgico della dittatura militare (1964-1985). Gli ultimi sondaggi (Ibope) rivelano che tra gli evangelici Bolsonaro vanta un 33% di intenzione di voto, oltre quella che è la sua media nazionale ed oltre i consensi di cui godono invece, con un 10% ciascuno, l’ecologista (ed evangelica) Marina Silva ed il socialdemocratico Gerlado Alckmin. A parte l’ultraconservatore Bolsonaro, questi sono gli unici candidati che possono vantare un certo potenziale elettorale tra gli evangelici.

Miguel Urrutia spiega come in Brasile “siano riusciti a costruire uno spazio di religiosità protestante ultrareazionario e irrazionale, una specie di ritorno al passato delle relazioni politiche, che mantiene delle sue peculiari caratteristiche, poiché alla concezione gerarchica della società e all’autoritarismo aggiunge l’elemento spirituale che conferisce ancora maggior forza”.

Secondo il politologo dell’Università Tecnologica Metropolitana (UTEM) Max Qutral, la chiesa evangelica ha ottenuto una maggiore capacità di influenza, al di là del culto, perché ha scommesso sui mezzi di comunicazione, soprattutto televisione e stampa, “per instaurare la sua visione conservatrice rispetto alle tematiche etiche e valoriali del dibattito pubblico”.

In paesi come Costa Rica, Repubblica Dominicana, Perù e Messico gli evangelici hanno guidato le proteste contro il movimento LGBTI. In Colombia si sono alleati con l’ex presidente Alvaro Uribe ed hanno svolto un ruolo fondamentale per la sconfitta della consultazione sugli accordi di pace del 2016 e nella vittoria del conservatorie Ivan Duque alle presidenziali dello scorso giugno.

Il monopolio del cattolicesimo nella politica, che fino a qualche decennio fa non aveva concorrenza, si è frantumato e ha ceduto terreno all’evangelismo che è penetrato con particolare forza nelle classi più basse della società.

I migranti nel centro del mirino

L’altro classico terreno degli attacchi razzisti e xenofobi dell’ultradestra è quello dell’immigrazione. Negli ultimi mesi, i paesi che accolgono le persone in fuga dai conflitti nell’aerea latinoamericana, sono stati teatro di tensioni e ostilità. Un dinamica che inizia ad assomigliare a quella che si vive in Europa negli ultimi anni e che obbliga a domandarsi se l’America Latina si stia incamminando sulla stessa strada.

Miguel Uttutia sostiene che “le migrazioni sono state considerate delle minacce da quando esiste una concentrazione di stati nazionali forti. Sono viste come un pericolo interno per una specie di trasferimento costante di persone che provoca paura nei confronti dell’altro, delle differenze, di ciò che non è compreso come qualcosa che (invece) è identico a noi”.

La “endofobia” è il concetto forgiato dal Movimento Social Patriotico cileno per riferirsi ad una presunta discriminazione che soffrirebbe il cileno rispetto alla preferenza accordata al migrante o allo straniero. Attraverso la pubblicazione di dati e notizie false l’MSP invoca l’espulsione degli stranierei, il blocco dell’immigrazione (specialmente quella proveniente da Haiti) e il rifiuto degli aiuti sociali o di stato a coloro che provengono da altri paesi. “Se non apporta, si deporta” ha affermato Pedro Kunstmann in un’intervista. Parliamo di un razzismo che in Cile si rivolge soprattutto contro gli afrodiscendenti haitiani e che si riproduce in vari luoghi dell’America Latina.

Oltre 400.000 venezuelani sono giunti in Brasile dalla frontiera di Pacaraima, nello stato di Roraima, dove a fine agosto si è registrato uno scontro tra migranti venezuelani e brasiliani locali che ha provocato il ritorno di 1200 venezuelani al loro paese e l’intervento dell’esercito brasiliano. Le autorità dello stato di Roraima hanno affermato che il flusso migratorio ha fatto collassare i servizi sociali ed hanno messo in allarme la popolazione rispetto ad un presunto aumento del numero dei reati, ad un incremento delle prostituzione e della trasmissione di malattie.

Nel caso del Costa Rica si registra il rifiuto nei confronti dei migranti nicaraguensi che fuggono dalla repressione del governo di Daniel Ortega. Il mese scorso, tramite i social, è stata convocata una manifestazione dal tono xenofobo, autodefinita “pacifica” e “nazionalista” che pretendeva di “recuperare” il parco La Merced – un luogo di incontro tra nicaraguensi, situato nel centro della capitale San José – per piantarvi una bandiera del Costa Rica. La mobilitazione che ha richiamato molti più partecipanti di quanti si pensasse, si è conclusa con tafferugli, insulti e aggressioni contro i nicaraguensi e con un bilancio di 44 arresti.

Max Quitra sostiene che la xenofobia in America Latina “ha a che vedere con il colore più che con la provenienza delle persone”. Nel caso cileno è chiarissimo che il rifiuto verso la comunità haitiana è massimo, più che quello verso altri migranti provenienti da altri paesi.

Urrutia concorda e aggiunge: “La società brasiliana è profondamente razzista nei confronti dei neri, tanto quanto quella cilena, come dimostrato dall’arrivo della migrazione haitiana. Prima lo era sempre stata nei confronti dei suoi popoli indigeni”. Il sociologo parla di “un razzismo proprio dell’America Latina, che in alcuni casi è peggiore di quello europeo perché ha tratti di sottomissione coloniale”. Secondo lui i razzismi si “completano a livello globale, non hanno una matrice universale, ma è come se esistesse una divisione internazionale del lavoro razzista”. E conclude: “ciascuno nel suo spazio risponde forme storiche di perpetrarlo (il razzismo) e tutte sono retrograde e violente”.

*Fonte articolo: https://www.publico.es/internacional/extrema-derecha-latinoamerica-expre...
Traduzione a cura di Marco Pettenella.