La destra europea, il problema della democrazia e la sfida di Podemos

Tue, 13/12/2016 - 19:11
di
Brais Fernández, Emmanuel Rodriguez*

Lunedì scorso ci siamo svegliati con una sensazione di sollievo. In Austria, l’hooligan “sensibile” Norbert Hofer ha conseguito il suo miglior risultato elettorale, scontrandosi però con la vittoria del “verde” Van der Bellen. In Italia, la svolta presidenzialista che Renzi voleva imporre alla Costituzione Italiana è uscita sconfitta di 20 punti percentuali di differenza di fronte al No alla riforma. Sono le uniche due note “positive” di una lunga serie di tornate elettorali negative (Brexit, Trump).

Viviamo un’epoca di false differenze. Seppure Hofer può rappresentare la posizione del nazionalismo identitario e razzista presentata come fosse di un "uomo comune" e Renzi il cosmopolitismo e l’europeismo aristocratici di un tecnocrata, i due sono uniti da un unico progetto e, paradossalmente, da una stessa illusione. Entrambi seguono la stessa tendenza che rafforza i poteri straordinari dell’esecutivo e del Capo dello Stato, rispetto al potere legislativo e al Parlamento. Entrambi sono sostenitori di una nuova forma di monarchia plebiscitaria di fronte ai vecchi sistemi di contrappesi di eredità liberale, ma anche dell’antifascismo democratico che produsse quasi tutte le costituzioni europee scritte nel dopoguerra. La differenza di intenzioni – che per Renzi sta nel modo di stabilizzare la politica italiana e rafforzare la sottomissione ai diktat europei, e per Hofer nell’esprimere la singolarità nazionale austriaca di fronte a quella stessa Europa – è poco più che superficiale. Entrambi coincidono nella volontà di mantenere viva l’illusione che i poteri dell’esecutivo siano il vero soggetto della politica contemporanea.

Però conviene ricordare che perfino il governo più ultranazionalista che possa uscire dal “ciclo populista”, dovrà scontrarsi con le forme più dure del potere reale attualmente esistenti: la finanza globale e una produzione completamente globalizzata che stampa in tutte le etichette dei prodotti il suo marchio made in the world. Vale la pena di ricordare che nel Brexit è stata implicata una parte della City di Londra, poco fiduciosa nel potere della sterlina come moneta globale dentro l’apatico orizzonte economico europeo. E che il protezionismo di Trump non andrà più in là della rinazionalizzazione di alcuni settori di una catena globale del valore per la quale non c’è alternativa, neppure in forma di un’autarchia di scala continentale.

La Spagna, inclusa (soprattutto inclusa) la nuova politica, non si sottrae a questa tendenza. Di sinistra o di destra, le reazioni politiche alla crisi in Europa si sono espresse nella stessa direzione di rinazionalizzazione e di rafforzamento dell’esecutivo come spazio di esercizio della sovranità popolare, qualunque cosa significhi quest’ultima. Continuiamo a muoverci nel terreno fangoso dell’“autonomia del politico”. Però che succede quando non si riesce ad arrivare al governo, o quando ci si riesce come nel caso della Grecia (o in misura minore in alcuni Comuni spagnoli), e questi stessi “poteri popolari” si vedono obbligati ad applicare le ricette imposte da livelli superiori? Sarebbe possibile la demolizione dell’Unione Europea con governi alla Le Pen nel centro ed Est Europa e alla Syriza nel Sud, tutto senza che non diminuisca nemmeno un po' il potere dei mercati finanziari?

In ultima istanza questo è il problema di Podemos e in generale di tutta questa pletora di realtà che, senza essere ascrivibile ai viola [Podemos, ndr], formano il “partito del cambio”. Sveliamo qui la questione che dovrebbe occupare almeno la metà del Congresso di rifondazione del partito, che si celebrerà a Vistalegre II. Non si parte, tuttavia, da zero. Il 15M si è posto questo problema in un modo originale. Da un lato, si proclamò membro di una internazionale delle nuove lotte; da lì la sua ispirazione nella Primavera Araba, il suo riflesso in Occupy e il suo slogan People of Europe Rise Up. Dall’altro, il 15M ha preso la forma di un processo costituente dal basso, che certamente, nel caso si fosse realizzato, avrebbe supposto l’inversione radicale di qualunque soluzione presidenzialista-governista.

Tuttavia, fin dall’inizio del 15M esisteva anche una tendenza opposta. Se ricordate, questa tendenza si espresse in modo sloganistico dicendo ad esempio che “il processo costituente è qualcosa che la gente non capisce”, o in forma più classica dicendo che “la situazione non è matura”. La stessa propensione a semplificare ha portato Podemos a rinunciare progressivamente all’idea del processo costituente, trasformandosi in un’operazione fondamentalmente mediatica e orientandosi inevitabilmente verso una soluzione statale e nazionale alla crisi. E’ ciò che è stato chiamato il “governo della gente”. Si noti bene, Podemos ha optato per continuare a suo modo la stessa linea della rinazionalizzazione e statalizzazione della politica che condividono i suoi avversari.

Bene, la questione è che non ci sarà un “governo del cambio”. Ciò che Podemos ha davanti è un lungo periodo di opposizione, nel quale l’illusione dell’“autonomia del politico”, ridotta a mera attività parlamentare, tenderà a generare frustrazione e disillusione. Fallita l’ipotesi del governo attraverso la macchina da guerra elettorale, qual è il progetto? Qual è la strategia? La riposta probabilmente passa per fare un giro dall'altro al basso, con la richiesta di democrazia che ci porta al di là dello Stato.

A cominciare dalla cosa più complessa, cosa chiamiamo “democrazia” quando essa non coincide con quelle che si chiamano istituzioni democratiche? Vi ricordate di quei vecchi concetti gramsciani recuperati dal passato dai leader di Podemos? Uno interessante e oggi molto in voga è ciò che il piccolo sardo chiamava “guerra di posizione”. Con questo tipo di “guerra” non faceva appello al fare entrismo nelle istituzioni rappresentative. Piuttosto ampliava il campo della lotta alla “società civile”, ecco, a tutta la costellazione di dispositivi e spazi nei quale si costruisce e vive il quotidiano. Nei termini degli anni 20, la strategia già non poteva basarsi unicamente nel doppio strumento “partito/sindacato”. Piuttosto, si trattava di generare una rete di dispositivi molteplici, capaci di contendere altri spazi della vita sociale. Quell’ipotesi è quello che potremmo chiamare contropotere. Ed è sicuramente la chiave per mantenere il cambiamento vivo aldilà dei risultati elettorali.
Non si tratta di una cosa semplice, però sta qui il nucleo centrale della politica futura.

Come si dispiega oggi il cosiddetto “populismo delle destre”, che sia sotto la guida di Hofer, Trump o Le Pen? Si dispiega fondamentalmente sulla base dell’offrire soluzioni facili (il ritorno al nazionale, il governo forte) ad un malcontento dovuto a cause molto complesse. Al contrario, la strategia del contropotere democratico comincia, per così dire, dalla disperazione. Passa per l’affermare che non c’è soluzione facile al problema della disoccupazione, ai salari miseri, allo smantellamento del welfare state; e certamente che la causa non sono i migranti, i “vagabondi”, i “sovvenzionati” o la dissoluzione dell’identità nazionale. Ma non passa neanche dall’affermazione secondo cui un governo di sinistra potrà risolvere questi problemi. Abbiamo la certezza che non potrà. Niente di più falso del detto di podemos secondo cui “è nelle istituzioni che si cambiano le cose”. Nonostante la sua crudezza, la scommessa per la democrazia e il contropotere afferma, tuttavia, che è possibile lottare.

La costruzione di poteri sociali alternativi si realizza quando soggetti sociali subalterni si costituiscono come soggetti politici in senso proprio. Questo è avvennuto con il movimento operaio, con le donne organizzate nel movimento femminista, con i nipoti degli schiavi nel movimento per i diritti civili, ecc. E furono questi movimenti a costruire ciò che tuttora persiste di realmente democratico nel nostro sistema istituzionale: dal suffragio universale ai diritti sociali. In politica, la democrazia è conflitto. La nostra epoca è straordinariamente complicata su questo terreno. Il punto di partenza, l’idea che “siamo tutti classe media”, è progettato per evitare qualunque frattura sociale e politica significativa. Nonostante ciò, il 15M e Podemos sono probabilmente il risultato del fatto che la classe media (tanto come “idea” che nella sua materialità specifica) ha cominciato a rompersi. Quali potrebbero essere le rivendicazioni politiche di questa figura sociale in decomposizione, quali sono i suoi conflitti, come si stanno organizzando. Ecco qui i punti chiave della politica attuale e di tutto il futuro orientamento strategico.

L’altro punto centrale del problema ha a che fare con la scala. Le èlite finanziarie politiche giocano dall’alto: negoziano tra Stati, generano una sovrastruttura come l’Unione Europea, impongono attraverso questa i propri diktat. Tuttavia, i conflitti continuano ad essere ancorati a livello locale, se non nel vecchio ambito nazionale. E qui ci scontriamo con tre possibili risposte. Da un lato, quella per cui accettando questa realtà la si utilizza come giustificazione dei suoi limiti e non come punto di partenza per superarla. Syriza e Tsipras sono disgraziatamente l’esempio più diretto di questa opzione. L’illusione dell’accordo con le istituzioni europee ha finito per portare al maggiore dei disastri: il partito che era arrivato al governo con il mandato di affrontare la Troika si è convertito nell’agenzia privatizzatrice che la socialdemocrazia tradizionale, decomposta e polverizzata, non era riuscita ad essere.
La seconda risposta è stata quella che potremmo definire “riformismo in un solo paese”. Che sia dentro la UE o uscendo dall’euro, questa posizione sostiene la possibilità di utilizzare le strutture nazionali come meccanismi di resistenza di fronte ai poteri europei. Il problema è che si può fuggire dall’Europa, però l’Europa ci verrà dietro.
La terza opzione non si pone il problema nei termini di riformare la UE, nemmeno ci promette fughe impossibili. Propone una strategia d’assalto che può cominciare in qualunque paese, sicuramente dall’anello più debole, come fase di incubazione di una pandemia. Così ha operato il 15M e così potranno operare le future ondate di movimento. Con un certo realismo, si può dire che la conquista di un governo può essere una tappa importante di questo processo. Però la cosa più difficile viene dopo: consiste nel resistere e prendere i confini come luogo di contagio. Comunque sia, la politica del cambio avrà qualche possibilità solo se non si vincolerà all’illusione ingannevole del governo e della politica nazionale.

*Brais Fernández è membro della redazione della Fondazione Viento Sur e militante di Anticapitalistas, area politica interna a Podemos. Emmanuel Rodríguez è storico, sociologo e saggista, editore di Traficantes de Sueños e collaboratore della Fundación de los Comunes.
Fonte articolo: http://ctxt.es/es/20161207/Firmas/9925/Poder-ejecutivo-estado-nacionalis...
Traduzione di Marta Autore.