La commedia dello shutdown

Sun, 02/02/2014 - 19:48
di
Felice Mometti

Stiamo assistendo allo showdown dello shutdown? E' il gioco di parole che circola sulla stampa americana per indicare che questa volta si possono correre dei rischi seri fino al "default tecnico" degli Stati Uniti. Una cosa ben diversa da un fallimento reale dello Stato ma, tuttavia, le conseguenze potrebbero essere pesanti per il sistema industriale e finanziario americano con ricadute su quello internazionale. Quello che è in atto dal primo di ottobre è il diciottesimo shutdown nella storia degli Stati Uniti. Il più lungo, 28 giorni, avvenne nel 1995 durante la presidenza Clinton. Come si vede la chiusura, per la mancanza del rifinanziamento federale, degli uffici dei servizi considerati non essenziali e la messa in libertà dei dipendenti non è da considerarsi proprio un evento eccezionale. Questa volta però gli attori recitano più parti nella commedia ed è cambiata la posta in gioco. Il colpevole, per tutta l'opinione pubblica "sinceramente democratica" americana e internazionale, è il Tea Party. La corrente razzista e ultraliberista del partito Repubblicano che ha bloccato i lavori del Congresso ponendo il veto sull'innalzamento del debito federale, stabilito per legge a 16.700 miliardi di dollari. Un debito più che raddoppiato negli ultimi 10 anni a causa soprattutto delle spese militari, dei finanziamenti a fondo perduto a banche, imprese, società immobiliari che hanno pensato bene di investirne di nuovo delle quote consistenti in azioni e titoli tossici.
Molti si stracciano le vesti davanti al "ricatto" del Tea Party che vincola l'innalzamento del debito alla cancellazione della riforma sanitaria voluta da Obama che è entrata definitivamente in vigore il primo di ottobre. La cosiddetta Obamacare più che una riforma del sistema sanitario americano, che discrimina in base al reddito, alla residenza e al colore della pelle, è un palliativo compassionevole verso coloro che sono molto al di sotto del limite di povertà. All'interno del partito Repubblicano si gioca anche un'altra partita oltre a quella che vede contrapposti i "veri" repubblicani ai razzisti del Tea Party. Una partita più dura, sebbene sottotraccia, che potrebbe cambiare la geografia del sistema politico americano. Si tratta dell'apertura della possibilità di governi di coalizione, di larghe intese per dirla all'europea, facendo leva sulla profondità della crisi economica. Un ragionamento che trova attenzione e sostegno in alcuni settori del partito Democratico. La crisi diventa l'occasione per ristrutturare anche il sistema politico e istituzionale del centro dell'impero, per adeguarlo al mutamento dei rapporti di forza e alle trasformazioni del ruolo degli Stati. Questa ipotesi si scontra, per ora, con la resistenza di Obama e della parte dei Democratici che lo appoggia. Non certo perché siano convinti della necessità di estendere la democrazia, il welfare e i diritti dei lavoratori e delle minoranze. Questa è una delle favole che si raccontano. Più concretamente hanno un altro progetto, che è emerso anche tra le righe delle dichiarazioni di Obama: un ulteriore rafforzamento dell'esecutivo e, per questa via, dei poteri presidenziali consolidando l'asse con i settori più dinamici del capitalismo americano e le correnti tecnocratiche del Afl-Cio, la federazione di 57 sindacati e 13 milioni di iscritti. Questi i motivi del braccio di ferro, non la misera riforma sanitaria. Intanto cominciano ad apparire le prime crepe nella strategia dei fautori bipartisan dello shutdown. Il Pentagono ha richiamato al lavoro 400 mila dipendenti civili, cioè la metà di tutti i dipendenti dei servizi federali chiusi, in base a una controversa interpretazione legislativa che permette:" di richiamare le persone il cui lavoro contribuisce al morale, il benessere, la prontezza delle forze militari". Un'iniziativa sostenuta dall'entourage di Obama che ha trovato il favore dei capi del Pentagono desiderosi di allargare il proprio potere, non più solo esecutivo ma anche "legislativo". Il Congresso americano ha votato all'unanimità - fatto piuttosto raro - un decreto che prevede, una volta che la crisi dello shutdown sarà terminata, il pagamento retroattivo degli 800 mila dipendenti pubblici costretti al congedo non retribuito. Obama sta vincendo? A metà ottobre si apre la discussione sull'intero bilancio federale e gli schieramenti si stanno rimescolando e riposizionando. Bisognerà vedere se lo scontro si prolungherà. Uno scontro che riguarda la ridefinizione dei poteri fino a toccare, secondo alcuni analisti, la stessa Costituzione americana. Le crisi del capitalismo servono anche a questo.