Il dilemma curdo

Tue, 24/04/2018 - 10:36
di
Edward Hunt (da Jacobin)*

All’esperimento democratico più promettente del Medio Oriente sarà permesso di sopravvivere? La risposta dipende fortemente dai capricci geopolitici dell’amministrazione Trump. Traduciamo e pubblichiamo un’attenta analisi del comportamento e le strategie degli Stati Uniti in relazione al rapporto con i gruppi combattenti curdo siriani.

Attraverso la guerra contro l'ISIS, gli ufficiali dell'esercito statunitense hanno ripetutamente elogiato le milizie curde in Siria per i loro sforzi sul campo di battaglia.
“Posseggono una volontà indomita” ha dichiarato enfaticamente lo scorso anno il Maggior Generale James Jarrard, comandante delle Operazioni Speciali contro lo Stato Islamico. “Sono stati dei combattenti feroci, leader eccellenti e sorprendenti strateghi”.
Lo scorso febbraio, il Generale Joseph Votel, comandante del Comando Centrale USA, ha detto al comitato del Congresso che i combattenti curdi costituiscono “la forza più efficiente sul terreno di lotta all'ISIS in Siria”.

Da quando lo Stato Islamico nel 2014 ha iniziato il regime del terrore in Iraq e Siria, le forze combattenti curde – consistenti in due gruppi principali, le Unità di Protezione Popolare (YPG) e le Unità di Protezione delle Donne (YPJ) – hanno effettivamente avuto un ruolo centrale nel respingere l'ISIS dai territori conquistati. Ma ciò che sorprende rispetto all’elogio costante da parte degli ufficiali statunitensi è che i curdi stanno anche combattendo per guidare una rivoluzione sociale di sinistra nella regione nord del Rojavadifficilmente un tipo di progetto che incontrerebbe l'approvazione dei politicanti nord americani.

Non sorprende, infatti, che non tutti nei circoli d'elite concordano con l'alleanza tra l'esercito USA e i rivoluzionari curdi. Quando l'alleanza ha iniziato a prendere forma, il Wall Street Journal ha messo in guardia rispetto ai “Marxisti alleati degli Stati Uniti contro l'ISIS”.
Lo scorso anno, l'ex diplomatico statunitense Stuart Jones ha implorato il Congresso di assicurarsi che il coinvolgimento crescente degli USA con le forze combattenti curde “non deve creare un monopolio politico per un'organizzazione politica che è davvero ostile verso... i valori e le ideologie americane”.

A Washington, una grossa preoccupazione è che i rivoluzionari curdi stanno scolpendo uno spazio anticapitalista che rigetta fermamente le premesse basilari di un ordine globale guidato dagli USA. Un'altra riserva importante è che i rivoluzionari curdi hanno legami storici con il Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), che il governo USA ha classificato come organizzazione terroristica. Mentre gli ufficiali militari statunitensi hanno ripetutamente negato l'esistenza di legami attuali tra le forze combattenti curde e il PKK, a Washington è ampiamente diffuso il credo che il YPG sia affiliato al PKK.

Con l'ISIS oggi di fronte alla sconfitta totale in Iraq e Siria, il conflitto interno rispetto al rapporto tra curdi siriani e Stati Uniti è giunto al culmine: Washington dovrebbe continuare a supportare i combattenti curdi o dovrebbe lasciarli al confronto con le tante forze ostili che stanno cercando di distruggere la loro rivoluzione?

L'approccio degli Stati Uniti

Quando l'amministrazione Obama decise di allearsi con i curdi siriani, non lo stava facendo per supportare una rivoluzione di sinistra – stava semplicemente cercando alleati per combattere l'ISIS.
Le forze combattenti curde “hanno fatto un passo in avanti in questa lotta”, ha spiegato l'ufficiale del Dipartimento di Stato David Satterfield all'inizio di quest'anno. “Sono stati gli unici a farlo. Nessun altro stato, nessun altro partito, nonostante le nostre offerte e insistenze, ha voluto prendere in mano questa battaglia”.

L'unico problema era che il governo turco non voleva che gli Stati Uniti si unissero ai curdi. La Turchia, parte della NATO, vede le YPG come un'estensione del PKK e, in quanto partigiano della lotta di liberazione nazionale dei curdi, un nemico dello stato turco. Di fronte a questa sfida, gli ufficiali americani hanno trovato una soluzione semplice: hanno chiesto ai combattenti curdi di unire le forze con i combattenti arabi e creare un nuovo nome con cui definirsi.

“Gli abbiamo letteralmente ripetuto loro che dovevano cambiare il proprio brand, sai, come vi vorreste chiamare oltre YPG”, spiega poi il Comandante delle Operazioni Speciali Raymond Thomas. “Dopo nemmeno un giorno hanno dichiarato che si sarebbero chiamati le Forze Democratiche Siriane”.
Con il cambio di nome, gli Stati Uniti hanno iniziato a rifornire le forze curde di supporto militare e insieme hanno raggiunto numerose vittorie contro l'ISIS. Le forze curde hanno difeso la regione di Kobanî da un lungo assedio, lanciato un'offensiva massiccia per conquistare la città di Manbij, e guidato l'attacco via terra su Raqqa, aiutando a respingere l'ISIS dalla città.

Ma gli ufficiali statunitensi hanno messo in chiaro che il loro sopporto avrebbe comportato condizioni rilevanti. A prescindere da quanti eroi delle forze curde sia fossero battuti in battaglia, gli ufficiali USA si sarebbero rifiutati di supportare la rivoluzione sociale che i curdi siriani stavano guidando in Rojava.
Quando i curdi siriani hanno fatto un passo in avanti ulteriore nel marzo 2016, annunciando la formazione di una nuova regione autonoma in Siria, gli ufficiali americani hanno dichiarato la loro opposizione. “Non supportiamo l'esistenza di zone autogestite e semi-autonome all'interno della Siria”, ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato John Kirby. “Semplicemente, no”.

Pochi mesi dopo, gli ufficiali americani hanno agito più concretamente. Dopo aver visto dei report riguardo alle forze speciali americane che indossavano pezze con il simbolo delle YPG – un segno della crescente solidarietà tra i militari americani e curdi – gli ufficiali hanno ordinato un'operazione speciale per rimuoverli e sostituirli.

Sebbene gli ufficiali americani abbiano continuato ad elogiare i curdi siriani, l'osso della contesa persisteva: gli Stati Uniti non avevano alcun interesse a promuovere l'esperimento di autogestione e giustizia sociale che i curdi stavano portando avanti. Anche il Comandante delle Forze Speciali Raymond Thomas, che aveva elogiato i curdi siriani per aver portato molti cambiamenti positivi nel paese, ha parlato dei combattenti curdi come niente di più che “nostri delegati”. Le forze combattenti curde, ha detto Thomas, sono “una forza surrogata di 50.000 persone che sta lavorando per noi e svolgendo il ruolo da noi definito”.

Nuove considerazioni strategiche

Con la guerra contro l'ISIS giunta quasi al termine, gli ufficiali dell'esercito statunitense sono in cerca di nuovi modi per utilizzare i loro alleati curdi, presupponendo che possano avere un'utilità nel plasmare l'esito della guerra in Siria.
Il conflitto in Siria infuria dal 2011 e ha portato con se le vite di centinaia di migliaia di persone. Stretto tra l'Iran e la Russia, il leader siriano Bashar al-Assad ha perpetrato una guerra devastante contro numerosi gruppi ribelli, molti dei quali erano stati supportati dagli Stati Uniti e da altri poteri regionali. Decine di migliaia di civili sono finiti al centro di questo fuoco incrociato, e milioni sono stati costretti ad emigrare.

La sconfitta dell'ISIS ha lasciato la coalizione a guida USA ben posizionata per giocare un ruolo diretto nella guerra. Come ha specificato il Segretario di Stato Rex Tillerson all'inizio di quest'anno, “gli Stati Uniti e la coalizione di forze impegnate nella guerra contro l'ISIS oggi controllano il 30 per cento del territorio siriano, una larga parte della popolazione e la maggior parte dei giacimenti di petrolio in territorio siriano.”
Preservando questa coalizione a guida USA, molti ufficiali sono convinti di poter rendere molto difficile per la Russia e l'Iran continuare ad operare in Siria. Essenzialmente, vogliono mantenere i legami con le forze curde e intervenire più direttamente nella guerra.

“Rimarremo per varie ragioni”, ha dichiarato l'ufficiale del Dipartimento di Stato David Satterfield, mettendo l'enfasi sull'importanza di creare nuove strutture politiche per un nuovo stato siriano “contrapposto all'Iran”.
L'ex diplomatico USA James Jeffrey ha identificato obiettivi simili: “Abbiamo detto ai turchi che i curdi sono un'alleanza temporanea, tattica e transitoria per sconfiggere l'ISIS”. Ha inoltre aggiunto che gli Stati Uniti avranno bisogno dei curdi per “contenere l'Iran” e per fare pressioni sulla Russia. “L'obiettivo è di dividere i russi dai siriani, dicendo che hanno scelto di rimanere per portare con la forza una soluzione politica alla situazione in Siria”.

A quel tempo, gli ufficiali USA hanno rivelato che stavano iniziando a trasformare i loro partner curdi in una forza militare di frontiera, 30.000 combattenti nella Siria del nord. Secondo il Segretario della Difesa James Mattis, una coalizione di forze ha addestrato ed equipaggiato i combattenti curdi per aiutarli nell'operazione di rendere effettivamente più sicura la regione. “Quindi verranno armati”, ha annunciato Mattis. “Direi al minimo, con fucili e mitragliatrici, questo genere di cose”.

Immediatamente, l'amministrazione Trump si è scontrata con resistenze significative. Il governo turco ha denunciato tale mossa, dichiarando di non avere alcun intenzione di permettere ai curdi siriani di continuare la rivoluzione in Rojava. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha minacciato “l'annichilimento” delle forze curde.

L'amministrazione Trump ha quindi parzialmente capitolato di fronte al governo turco, permettendo all'esercito turco di invadere e conquistare Afrin, uno dei tre cantoni del Rojava. Da gennaio a marzo, le forze turche hanno lanciato un attacco che ha ucciso migliaia di civili e obbligato 200.000 curdi a lasciare l'area. Solamente quando la Turchia ha minacciato di espandere le operazioni militari nelle zone rimanenti del Rojava – spingendosi tanto lontano da dichiarare implicitamente l'attacco alle forze USA – sono stati respinti dall'amministrazione Trump. Incontrando gli ufficiali turchi, Tillerson ha annunciato che le forze americane sarebbero rimaste di stanza in Mangij, una città che le forze combattenti curde avevano aiutato a liberare dallo Stato Islamico.

Al crescere delle tensioni tra il governo USA e turco, l'amministrazione Trump ha dovuto affrontare un'ulteriore sfida. A febbraio, le forze siriane pro-regime supportate da quelle russe hanno lanciato un attacco sulle forze curde stanziate nell'est della Siria. Gli ufficiali USA, consapevoli del potenziale coinvolgimento russo, hanno deciso di rispondere con attacchi aerei, uccidendo migliaia di persone, incluse dozzine di russi.

L'incidente, che avrebbe potuto facilmente degenerare in peggio, ha mostrato come il conflitto possa spingere velocemente gli USA e la Russia a scontrarsi in battaglia. E mette a nudo le minacce esistenziali che i curdi siriani continuano a confrontare mentre proseguono la loro rivoluzione sociale. Non solo sono stati minacciati di essere distrutti dal governo turco, ma sanno anche che Assad non ha alcuna intenzione di lasciare che la rivoluzione vinca. Senza il supporto (limitato) dell'esercito militare USA, forse probabilmente starebbero già affrontando invasioni da fronti multipli.

Cosa accade dopo?

Con le forze turche e le forze siriane pro-regime che testano il coinvolgimento dell'amministrazione Trump nei confronti dei suoi partner curdi, gli ufficiali a Washington sono al momento impegnati in un acceso dibattito su cosa fare in futuro. Mentre sono ampiamente d'accordo che la guerra contro l'ISIS sta finendo, non trovano una quadra sulla scelta di restare o meno in Siria, direttamente coinvolti nella guerra.

A gennaio, l'ufficiale del Dipartimento di Stato David Satterfield ha dichiarato che “il Presidente si è impegnato, in quanto questione strategica, a non lasciare la Siria. Non vogliamo dichiarare vittoria e andarcene”. Il Segretario di Stato Tillerson conferma la decisione, annunciando che gli Stati Uniti “manterranno la presenza militare in Siria”.

Allo stesso tempo, molti ufficiali hanno iniziato ad insistere che era tempo di iniziare a prepararsi per la ritirata dalla Siria. A febbraio, l'ex ambasciatore USA in Siria, Robert Ford, ha messo in guardia il congresso da ogni tipo di impegno militare USA lungo termine: “Alla fine, i nostri alleati curdi siriani e siriani arabi devono giungere ad un accordo con Assad”, ha argomentato, “a meno che siamo preparati a mantenere una presenza militare indefinita, e che l'accordo sarà sbilanciato sulle richieste di Assad perché sarà lui a buttarci fuori”. Ford è preoccupato in particolare di come l'alleanza con i curdi impatterà nelle relazioni con la Turchia e la politica USA verso l'Iran. Ha avvisato il Congresso di considerare cautamente le priorità strategiche nella regione.

“Se la priorità degli Stati Uniti è usare l'alleanza con le forze curde siriane come un martello contro lo Stato Islamico, poi sarà molto più difficile lavorare con i problemi che insorgeranno dalla Turchia e dall'Iran. Dall'altro lato, se decidiamo ora che la priorità debba essere l'Iran, allora abbiamo bisogno di capire come possiamo arrivare ad una specie di accordo con la Turchia”.

All'interno dell'amministrazione Trump, gli ufficiali stanno facendo gli stessi ragionamenti. Alcuni più anziani vogliono che i curdi facciano un accordo con Assad così che gli americani possano ritirare le truppe dalla regione e tentare un accordo con la Turchia. Altri dicono che bisognerebbe continuare a lavorare al fianco delle forze curde per mantenere la pressione su Assad e sfidare apertamente il coinvolgimento della Russia e dell'Iran.”

Al momento, gli estremisti hanno il sopravvento, convincendo Trump del bisogno di mantenere le forze militari USA nell'area. Ma non è chiaro quanto a lungo saranno in grado di mantenere la loro posizione.
In definitiva, la questione principale è se l'amministrazione Trump continuerà a supportare quelle forze che hanno avuto un ruolo così fondamentale nella sconfitta dell'ISIS mentre, allo stesso tempo, costruiscono la strada per un'avanzata ulteriore nella lotta di liberazione curda. Alla fine, la decisione di Trump potrebbe determinare se all'esperimento democratico più promettente del Medio Oriente sarà permesso di sopravvivere.

*Fonte articolo: https://jacobinmag.com/2018/04/syrian-kurds-rojava-trump-united-states-s...
Traduzione a cura di Federica Maiucci