I gasdotti di Putin che cambieranno il volto del Medio Oriente

Tue, 30/01/2018 - 11:38
di
Marco Petrelli*

In un futuro prossimo il gas metano cambierà gli equilibri del Mediterraneo orientale. Fra pochi mesi, infatti, la Federazione Russa taglierà il nastro al gasdotto che, partendo dalle regioni di Krasnoyarsk, di Irkutsk e della Yakutia, spingerà verso ovest oltre 60 miliardi di metri cubi all’anno. Una struttura futuristica figlia di un progetto ambizioso - 700 miliardi i rubli spesi - che permette a Mosca di garantirsi un consistente approvvigionamento energetico interno e di imporsi sul mercato internazionale quale principale fornitore di metano ad Europa ed Asia - un ramo del condotto, infatti, va verso la Cina.

Ma il network energetico russo altro non è che una articolazione di una più vasta rete di gasdotti che interessa anche il Mare Mediterraneo e che coinvolge Iran, Turchia e Siria. E il tutto in un tratto di mare nel quale una joint venture italo-greco-israeliano-cipriota tenta di aprire nuovi canali di distribuzione del metano attraverso lo sfruttamento di Zohr e di Leviathan.

La concorrenza

Mentre i cantieri della Tap (Trans adriatic pipeline) dividono politica ed opinione pubblica nostrana, Eni si è già messa in moto da tempo per individuare e sfruttare risorse nel Mediterraneo meridionale. Nel 2015, l’annuncio di aver individuato un grosso giacimento al largo dell’Egitto, Zohr, forte di 850 miliardi di metri cubi di gas. Nella stessa area, poi, si estendono il Leviathan - 750 miliardi di metri cubi di gas - e Tamar - 350 miliardi di metri cubi -, che Israele ben tutela da interessi stranieri specie da quelli del vicino nemico libanese. Ma, per quanto ingenti, le risorse sottomarine impongono un elevato costo in termini di tecnologia e lavoro per essere estratte, ragion per cui i paesi Italia, Israele, Grecia e Cipro hanno raggiunto un accordo intorno al programma East Med Pipeline, network che dalle coste israeliane e cipriote giunge fino alla Grecia e, da qui, al mercato europeo.

La Russia non ci sta

Mosca lancia la sua contromossa: venerdì 19 febbraio Gazprom ha annunciato l’intenzione del Governo turco di estendere un braccio della Turk Stream al fine di trasportare metano verso l’Europa meridionale ad un ritmo di 15 miliardi di metri cubi all’anno.

“La sezione sottomarina di Turk Stream – si legge sul sito turkstream.info – si estenderà dalle strutture terrestri (onshore facilities) nei pressi del villaggio Kiyikoy fino alle coste del Mar Nero (…) Dalle coste russe, in prossimità della città di Anapa, il gasdotto si aggancia alla rete russa Gazprom”.

Dunque, una linea di approvvigionamento concorrente a East Med Pipeline nonché continuazione del più ambizioso piano russo di sfruttare le risorse del Golfo Persico. Come? Attraverso la Iran-Iraq-Syrian Pipeline, 10 miliardi di dollari per oltre 100 milioni di metri cubi al giorno attraverso 5600 km.

Mosca fornisce tecnologia militare e civile alla Siria dagli Anni Settanta, è schierata nel Paese in quattro località Hama, Homs, Tartus e Latakia e difficilmente abbandonerà la repubblica araba al termine della ormai lunga guerra civile. Anzi, cercherà di giocare un ruolo di primo piano nella ricostruzione del dopoguerra a partire dal vertice di Sochi del 29 e 30 gennaio prossimi.

La “cinta” di Putin

Gas attraverso la Siria, TurkStream e grandi investimenti in Uzbekistan, Paese storicamente legato a Mosca e dove, nel maggio 2017, la holding statale Uzbekneftegaz ha annunciato un piano di sviluppo del settore energetico da 30 miliardi di dollari: a guardare Turchia, Iran, Siria e Uzbekistan sulla carta geografica sembra di trovarsi di fronte ad una sorta di cintura che dalle sponde del Mare Mediterraneo raggiunge il cuore dell’Asia e tinta dei colori della Federazione russa.

Troppo presto per capire quali siano, sul lungo periodo, le intenzioni di Putin. Certo, invece, che l’intreccio diplomatico, militare ed economico russo miri a segnare profondamente gli equilibri geopolitici dell’area: isolare gli alleati degli Usa in Medio Oriente - Israele e Arabia Saudita -, porsi come interlocutore privilegiato con i Paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano e sul Mediterraneo, evitare che la concorrenza di East Med Pipeline possa danneggiare gli affari del Cremlino in campo energetico.

Ma non solo: quell’angolo di mondo è anche un trampolino di lancio verso l’Africa, dove già Mosca e Pechino stanno investendo in infrastrutture, sviluppando così una nuova rete di business in un Continente che abbonda di materie prime, dagli idrocarburi ai diamanti, dal cobalto all’uranio.

*Fonte articolo: http://eastwest.eu/it/opinioni/open-doors/russia-medio-oriente-gasdotti