Gli investimenti nascosti dei “principi rossi” cinesi

Wed, 19/02/2014 - 02:40
di
Pierre Rousset

Una massiccia pubblicazione di documenti riservati mostra l'estensione delle attività finanziarie detenute nei paradisi fiscali da chi è al potere in Cina.

Nell’aprile 2013 il “Consorzio internazionale di giornalismo investigativo” ( ICIJ ) ha potuto beneficiare di una "fuga monumentale" di 2,5 milioni di documenti sulle operazioni di due tra i principali fornitori di servizi finanziari offshore: Portcullis Trustnet, con sede a Singapore, e Commonwealth trust Limited, localizzato nelle Isole Vergini Britanniche (nei Caraibi ). È stata l'occasione per un'importante indagine denominata "Offshore-Leaks” sull’importanza del ruolo giocato dei paradisi fiscali nell'economia globale.

Come conseguenza di queste rivelazioni sono scoppiati molti scandali che hanno coinvolto uomini e partiti politici, grandi fortune (i Rothschild), banche come Credit Agricole e BNP Paribas in Francia, settori economici vicini al Cremlino in Russia...

Sorprendentemente, questi documenti hanno anche coinvolto quasi 22.000 residenti nella Cina continentale o Hong Kong - identificati grazie al lavoro di diversi mesi da parte di un team di giornalisti, anche cinesi (trenta giornali sono associati a livello internazionale con ICIJ). Nel gennaio del 2014, queste indagini sono state rese pubbliche. Il quotidiano francese «Le Monde» tra il 23 e il 25 gennaio ha pubblicato un dossier di 12 pagine. L'editoriale del dossier osserva che i risultati dell'inchiesta lasciano "senza fiato", perché la grandezza delle fortune accumulate e l'impatto sull'economia globale superano ogni aspettativa: "Non esistono settori dell'industria cinese - da quello petrolifero alle energie rinnovabili, dallo sfruttamento minerario al commercio di armamenti - che non compaiano nei documenti disponibili all'ICIJ e ai suoi partner".

Trustnet, oggi conosciuta come PricewaterhouseCoopers, ha contribuito alla creazione di più di 400 società off-shore per i clienti provenienti dalla Cina continentale, Hong Kong e Taiwan. La banca svizzera UBS da parte sua ha contribuito a creare più di un migliaio di "entità offshore". Non sono solamente imprese e capitali privati, legali o meno, ad utilizzare i paradisi fiscali come le Isole Vergini, le Isole Cayman o le Bermuda: non lo disdegnano nemmeno aziende del settore statale, in particolare i colossi nazionali del settore petrolifero. Guerre nascoste si combattono in questo settore in cui il PCC può intervenire brutalmente incarcerando gli avvocati o i dirigenti di aziende caduti in disgrazia. L'universo estremamente capitalista dell'offshore è ora parte della vita economica e politica del regime post-maoista cinese.

Al centro dell'inchiesta del ICIJ si trovano i "principi rossi" - " legati per parentela o matrimonio" agli alti dirigenti del partito e dello stato - che hanno approfittato del segreto bancario per creare società off-shore o far confluire in queste le loro proprietà acquisite in maniera poco corretta: si tratta di uomini vicini all'attuale presidente Xi Jinping, del suo predecessore Hu Jintao, agli ex primi ministri Wen Jiabao e Li Peng, ma anche almeno quindici delle più grandi fortune del paese, membri dell'Assemblea nazionale, generali...
I paradisi fiscali permettono di creare imprese che sfuggono al controllo delle autorità, nascondere i veri proprietari di una società, operare con una grande opacità e riciclare denaro, essere quotate su un mercato finanziario straniero bypassando gli ostacoli giuridici ad un ingresso in borsa, falsificare il prezzo delle merci importate o esportate e permettono la dissoluzione quasi istantanea di una "entità" per evitare di essere perseguiti...
Tali paradisi accolgono anche i profitti della corruzione, tangenti e bustarelle, e una massiccia distrazione di denaro che permette di costruire «favolose ricchezze» al riparo dalla giustizia (per il momento) o dei regolamenti di conti all'interno del partito.

Le somme in gioco sono enormi. L'indagine del ICIJ rende evidente il ruolo delle istituzioni finanziarie occidentali nel funzionamento del sistema, a partire dall'UBS - la più grande banca europea di gestione dei patrimoni - o dal Credit Suisse: queste banche promuovono i movimenti di capitali occulti o illeciti, e in cambio i "principi rossi" aprono loro le porte del potere politico. In breve, l'attuale élite cinese si comporta come qualsiasi élite borghese!
Tutti concordano sul fatto che il capitalismo sia ormai dominante in Cina, ma alcuni ancora credono (a destra come a sinistra) che lo stato rimanga "comunista" (?) in quanto il Partito Comunista manterrebbe il controllo della politica economica. L'indagine del ICIJ conferma ancora una volta i rapporti incestuosi tra il potere politico e il capitalismo.
Prima delle riforme economiche avviate dal 1980 da Deng Xiaoping e successivamente del passaggio di Hong Kong (colonia britannica) alla Cina nel 1997, questa scalata dei "figli di" o delle "figlie di" (come Li Xiaolin , figlia di Li Peng) ai primi posti del commercio internazionale non sarebbe stata possibile. I privilegi di un alto burocrate di stato erano legati alla sua funzione. Il patrimonio di un borghese può essere ceduto, trasmesso alla sua famiglia. La differenza è enorme.
Tra un burocrate e un borghese ormai non esiste più alcuna muraglia cinese.

da europe-solidaire.org