Egitto: debito estero e liberismo rimangono i cancri del Paese

Sun, 02/02/2014 - 19:16
di
Fadhel Kaboub

Pubblichiamo un'intervista fatta da Marcelo Justo, del giornale argentino "Pagina 12", a Fadhel Kaboub, economista egiziano dell’Università di Denison degli USA. Kaboub, certamente non un economista rivoluzionario, arriva comunque a proporre la cancellazione del debito egiziano, ritenuto odioso e illegittimo. L’esperto egiziano analizza lo sfondo economico del paese dalla caduta di Mubarak alla sconfitta di Morsi.

Il governo islamista di Morsi aveva una cosa in comune con Mubarak, entrambi aderivano fermamente al neoliberismo. L’attuale governo militare ha ottenuto aiuti fino a 12 milioni di dollari dai Paesi Arabi e, per il momento, ha evitato l’abbraccio del FMI ma non c’è nessun indizio che ci dica che questa strategia di legame con il Fondo non venga perpetrata in seguito. C’è qualche segnale di cambiamento nella politica economica che hanno portato avanti Mubarak e Morsi?
No, con il governo Morsi già avevamo un'agenda prettamente neoliberista, sia dal punto di vista del libero mercato che del commercio. Il suo programma si basava nella promozione del turismo, l’impresa privata, l’investimento straniero e l’apertura commerciale. Come Mubarak Morsi puntava ad uscire dalla crisi grazie alle esportazioni, per far questo c’era bisogno di investimento straniero per attrarre, solo per fare un esempio, le compagnie tessili che erano attirate dal basso costo della mano d’opera. Il governo attuale ancora non è così esplicito perché non sa come potrebbe reagire la popolazione. Di fatto sono stati più prudenti ed hanno ricevuto aiuti dal Kuwait, Arabia Saudita ed EAU cosa che ha permesso di evitare il ricorso all’FMI ma senza il loro aiuto il Banco Centrale Egiziano sarebbe in banca rotta.
Molti Paesi cercano di uscire dalla crisi tramite le esportazioni. Perché questo modello è tanto negativo per l’Egitto?
Il problema per i paesi in via di sviluppo che non possono competere con le nazioni a capitalismo avanzato è che alla fine più si apre l’economia per aumentare le esportazioni più si finisce per aumentare le importazioni. E’ quello che succede all’Egitto col suo deficit commerciale iniziato ad aumentare con le politiche di Mubarak. Quindi succede che per assemblare un prodotto dobbiamo importare una quantità enorme di materia prima, tecnologia ed altri beni. In Egitto tutto questo è ancora più acuto infatti dobbiamo far fronte anche al deficit energetico ed alimentare. L’Egitto infatti è il primo importatore di grano ed è tra i primi 5 per quanto riguarda il mais. Abbiamo bisogno di una valuta forte per comprare questi beni nel mercato internazionale e a causa degli alti prezzi attuali alla fine il risultato è che importiamo inflazione. Proprio l’inflazione dei prezzi alimentari è stata una delle cause delle proteste.
Ma nemmeno il modello precedente è riuscito a risolvere i problemi dell’Egitto.
Con il sistema statale precedente a Mubarak c’era una sorta di accordo tacito tra la dittatura e la popolazione, ovvero che la dittatura doveva provvedere a un minimo di benessere e a un minimo di sicurezza sociale e la popolazione non doveva protestare per la mancanza di libertà. Adesso c’è di fatto una politica neoliberista che sta colpendo la classe medio-bassa e i più poveri e approfondendo le diseguaglianze. Ma certamente non abbiamo né democrazia né libertà, l’accordo quindi è stato rotto; questo ha dimostrato la crisi politica.
Nel suo lavoro lei sostiene come il problema dell’Egitto sia strutturalmente quello della bilancia commerciale deficitaria. L’Egitto importa più di quello che esporta e fino ad ora si è indebitato per affrontare questo problema. C’è un'altra via d’uscita a parte quella di chiedere prestiti ai paesi Arabi o all’FMI?
Il problema non può scomparire chiedendo soldi e prestiti. Il punto è incrementare la produzione domestica in modo da sostituire progressivamente i prodotti che importiamo con produzioni egiziane, questo significherebbe un cambiamento culturale significativo. Abbiamo bisogno di una politica integrata dal punto di vista della produzione alimentare e agricola, dell’ambiente, della casa. Tutto questo non si sta assolutamente pensando, possiamo anche uscire dal collo di bottiglia in cui siamo per quest’anno ma il problema alimentare si proporrà l’anno prossimo essendo prettamente strutturale. I prestiti dell’FMI o dei Paesi Arabi non risolveranno certamente il problema.
Però il problema è anche questo, l’Egitto ha bisogno di questi prestiti per risolvere l’urgente problema alimentare, non può aspettare il risultato di politiche a lungo raggio.
Ma il punto è che le politiche con un orizzonte più lungo neanche si stanno pensando, quando chiediamo e otteniamo i prestiti da EAU o Arabia Saudita dovremmo pensare anche a come investire le risorse nella produzione energetica egiziana e nella nostra agricoltura. I prestiti dovrebbero essere vincolati a piani come questo, per questo motivo parlo della necessità di una sovranità finanziaria egiziana. Abbiamo la necessità di poter controllare i nostri debiti e i nostri investimenti, cosa che la politica neoliberista non permette.
Una parte del problema dell’Egitto è il debito estero che secondo lei dovrebbe essere definito odioso. L’Egitto dovrebbe quindi seguire l’esempio dell’Ecuador?
Esattamente. L’idea di debito odioso ha più di 100 anni e si basa sul concetto che se un debito è stato contratto senza che la popolazione lo abbia approvato o ne abbia avuto benefici, se a beneficiarne è stata solamente l’elite dominante allora il debito è illegittimo. Il problema purtroppo è che nella realtà per poter portare avanti questo discorso c’è bisogno o di un appoggio internazionale forte o di una ferma posizione ideologico-politica. Se gli USA decidessero di appoggiare questa strada non ci sarebbero problemi, già lo fecero con il debito iracheno dopo la caduta di Saddam Hussein, quando fecero pressione sugli altri Paesi arabi per cancellare il debito dell’Iraq.
Se il governo attuale continuerà a seguire questa agenda neoliberista si andrà incontro allo stesso destino degli ultimi decenni?
Se non si cambia la storia verrà ripetuta. Inoltre la crisi politica aggrava ancora di più la situazione perché le politiche neoliberista si basano sul turismo e sull’investimento straniero che saranno scoraggiati dalla repressione violenta in atto in Egitto.