Egitto: è tutto finito?

Wed, 19/02/2014 - 02:08
di
@costantino84

A tre anni dal 25 gennaio 2011 la controrivoluzione chiama la popolazione a ostentare nelle piazze e nelle strade del paese il proprio sostegno al regime. Dopo una vittoria referendaria al di sotto delle aspettative si accentua la strategia della tensione e la repressione più spietata. L’obbiettivo è di mettere a tacere la resistenza che in diversi modi e con diverse forme continua a essere presente e a lottare.

Non mi va di parlare della ricorrenza del 25 gennaio appena trascorsa. Non lo faccio perché significherebbe dedicare spazio all’autorità, al sistema, ai militari. Invece è necessario e doveroso andare oltre… bisogna parlare delle forme di opposizione, farle nostre, afferrarne le debolezze e i punti di forza. Adesso più che mai è necessario e doveroso essere ottimisti e cominciare dalle piccole grandi cose che nonostante tutto continuano a fare resistenza.
A questo proposito vorrei partire da una faccenda apparentemente banale a cui, a mio avviso, sarebbe stato necessario dedicare maggiore attenzione (anche se dal momento in cui non è stato fatto probabilmente mi sbaglio). Qualche giorno fa (intorno al 2 gennaio) L’Alto Consiglio delle Università ha deciso di prolungare di 20 giorni le vacanze accademiche di midterm nelle università egiziane (termineranno il 22 febbraio invece del 4). Studenti, professori e personale naturalmente ringraziano ma l’evento del tutto inaspettato non è per nulla casuale.

In effetti, ormai da mesi negli atenei egiziani è in atto una vera e propria guerra tra studenti e forze dell’ordine che non ha mancato di causare vittime (l’ultima è lo studente Sherif al-Sawi della Cairo University), feriti, arresti e sospensioni accademiche. Se si escludono le singole battaglie degli operai di qualche complesso industriale e le campagne degli attivisti per i diritti umani e civili (quella per il NoMilTrials per esempio) solo gli studenti sono riusciti ad opporre una seria e persistente resistenza alla repressione della giunta militare e dei loro governi fantoccio. Dentro le mura degli atenei le manifestazioni, all’inizio spesso guidate da gruppi e singoli vicino ai Fratelli musulmani o dagli “Studenti contro il colpo di stato”, non hanno mai smesso di abbassare la voce. Tuttavia a chi gridava giustizia per le centinaia di persone uccise a Rabaa o la liberazione di quelle ingiustamente imprigionate e torturate, prima la sicurezza interna e poi la polizia hanno risposto con la violenza e la repressione. Da qui, il 21 novembre 2013, ecco promulgata una legge che permette alla polizia di entrare all’interno degli atenei anche senza l’autorizzazione dei rettori, gli spari a misura d’uomo, i primi morti, i feriti e gli arresti. L’unione degli studenti - di tutti gli studenti - è presto fatta. Le richieste comuni prendono forma: fuori la polizia dall’università, libertà per gli studenti detenuti e per i prigionieri politici, dimissioni dei vertici universitari.

Negli ultimi giorni poi, approfittando anche della nuova insulsa legge anti-protesta , di fronte all’impossibilità di garantire lo svolgimento degli esami a causa delle proteste e dell’annunciato (e in taluni casi attuato) boicottaggio degli esami, rettori e Ministero degli Interni hanno autorizzato la polizia a stazionare (meglio sarebbe dire bivaccare) direttamente all’interno dei campus e presidiare lo svolgimento degli esami. A questo ha fatto poi seguito la decisione di prolungare il periodo di vacanza nella speranza (sicuramente vana) che alla ripresa delle lezioni gli animi “dei rivoltosi” si siano quietati e le forze di sicurezza abbiano potuto pensare a qualche ulteriore misura repressiva.
Ciò detto, un altro elemento deve essere preso in considerazione e concerne i risultati della farsa elettorale di qualche giorno fa. Perché a ben leggere i dati si evince che tra la stragrande maggioranza di persone che a votare non ci sono andate (i votanti sono stati il 38,6% dei 53 milioni di aventi diritto, ossia 20 milioni. La popolazione totale dell’Egitto lo ricordo è di circa 90 milioni) giovani e studenti hanno il primo posto.

Al di là della retorica di regime (fedelmente ripresa dalla stampa nostrana) il referendum ha messo in evidenza l’esistenza di una maggioranza, in fin dei conti nemmeno troppo silenziosa, che si colloca al di là delle urne (come nei due precedenti referendum) e del sostegno a un regime fascista basato in gran parte sul terrore ( il 25 gennaio è stato in questo paradossale. A Tahrir si celebrava il regime e nelle strade accanto polizia e baltaghiyya uccidevano ed arrestavano). Lungi dal dire che questa massa di persone uniche e differenti rappresenti una maggioranza rivoluzionaria è importante rilevarne la presenza e soprattutto la potenzialità. D’altronde in epoche così difficili “tout se tient” come ben dicono i francesi. C’è poi da considerare che gli ultimi anni della storia egiziana hanno dimostrato una capacità di mobilitazione (purtroppo anche in senso controrivoluzionario) del tutto imprevedibile e con forme “non egemoniche” che non chiudono le sempre più tenue speranze nella ripresa del processo rivoluzionario, almeno nel breve periodo. Gianni Rodari diceva che “il tempo della storia non è quello degli individui e le cose non maturano a stagioni fisse, come le pesche”. Vedremo come andrà a finire, insomma.
Quanto agli “attentati terroristici” delle ultime ore una cosa mi sembra evidente. Siano essi l’azione di un gruppo organizzato o siano essi delle vere e proprie “stragi di stato” (e hanno tutte le carte in regola per esserlo) comunque rappresentano il fallimento di una politica a corto raggio basata sull’astio, sull’odio e soprattutto sulla repressione indiscriminata. L’unico linguaggio che i militari conoscono.
Il 25 gennaio 2014, ne è un’altra prova.
Althawra mustamirra.